Libera La Festa 2025, la provincia alla ribalta

Written by Live Report

Il nostro resoconto dell’edizione 2025 del festival della provincia bergamasca, divenuto ormai un vero punto di riferimento per tutta la scena undergound della zona (e non solo).

Si fa sempre un gran parlare del “potenziale nascosto della provincia”, spesso a sproposito e con stucchevole retorica. Quando però la provincia è la famigerata provincia bergamasca, “provincia che produce, adduce plusvalenza, a colpi di cemento, PM10 e connivenza” (Signor K dixit), è sorprendente scoprire un festival che fiorisce da più di quindici anni, un evento culturale e musicale di altissimo livello (lo scorso anno si esibivano i The Black Heart Procession, per dire un nome), uno spazio gestito da associazioni di volontari del territorio che coinvolgono le più disparate persone, offrendo intrattenimento per tutti i gusti: dal punk all’ottimo cibo regionale, dai dj set al mercatino artigianale… la sorpresa, dicevo, nello scoprire che una tale realtà (r)esiste nella provincia bergamasca, attirando ogni anno migliaia di persone, potrebbe essere finalmente un valido motivo per glorificare lo spirito e l’energia nascosti della provincia italiana.

Personalmente, da diversi anni, il Libera la Festa di Osio Sopra rappresenta un fermo punto di riferimento di mezza estate. Quest’anno, come lo scorso, ho la fortuna di essere in zona nelle date del festival, riuscendo quindi a presenziare alle prime tre date (sulle quattro proposte).

Giorno 1
Spread

Arrivo qualche minuto dopo le 21 e le esibizioni, puntualissime, sono già iniziate. Le danze vengono aperte dagli Spread, gruppo di casa che si presenta come grunge e alternative rock. Mi avvicino al palco secondario – quest’anno ben coperto da un ampio tendone – e cerco di godermi l’esibizione che purtroppo mi pare alquanto confusionaria. Molti strumenti sul palco, oltre ai classici basso/chitarra/batteria anche un violino e un sassofono. Il mood pare virare verso un muscolare prog strumentale su cui si innesta talvolta il cantato. I volumi parecchio alti ed impastati non aiutano la fruizione della performance esageratamente barocca.

Trieste

Approfitto dell’ultimo brano del gruppo precedente per mettermi in coda e ordinare un panino al lampredotto. Servizio e reparto cibo/birra di livello eccellente (come sempre al Libera), quest’anno con il vantaggio di esser meglio separato dal lato concerti, favorendo la fruizione di entrambe le modalità. Mi gusto il mio ottimo lampredotto in salsa verde al margine dell’area concerti, quando sale sul palco principale un power trio, sempre bergamasco, dall’attitudine più cameristica.

I ragazzi, dal monicker Trieste, propongono un dark jazz strumentale e sperimentale dal sapore Lynchiano, che ricorda molto da vicino la musica dei Bohren und der Club of Gore. I nostri sono all’esordio con un primo disco in uscita e si presentano solidi e godibili con la classica struttura ritmico-melodica di basso, contrabasso e un pizzico di elettronica ambient.

Carmelo Pipitone

Intermezzo di dieci minuti fuori dagli schemi per lo storico chitarrista dei Marta sui Tubi, Carmelo Pipitone. Il nostro sale solitario e armato soltanto della sua chitarra classica (ma opportunamente distorta) e si lancia in una serie di assoli e assalti melodici di stampo hard rock, di grande tecnica e impatto emotivo sul pubblico, chiudendo con un trionfale e scazzato lancio della chitarra allo zenit della performance. Penso che sia stato chiamato a recuperare l’esibizione acustica di antipasto ai live “elettrici”, precedentemente interrotta dal maltempo. E infatti qualche goccia inizia a scendere sparuta dal cielo di Osio…

C+C=Maxigross

Niente di cui preoccuparsi, perché a stretto giro salgono sul palco grande (e scoperto) gli headliner della serata, i veronesi C+C=Maxigross. Gruppo di culto, proveniente dalla Lessinia e fortemente legato al proprio territorio, propongono da quindici anni un pop folk psichedelico tanto di ispirazione internazionale e world music, quanto ben radicato alla cultura cimbra e bucolica del gruppo. Personalmente, li avevo seguiti soprattutto nelle prime fasi della loro personale e delicatamente rivoluzionaria traiettoria musicale. Persi di vista negli ultimi anni del decennio scorso, li ritrovo in grande spolvero con una formazione allargata, comprendente parecchia elettronica, cori femminili di influenza blues e strumentazione a fiato.

Sul palco del Libera propongono una scaletta prevalentemente incentrata sull’ultimo, ottimo lavoro Nuova Era Oscura Vol.1, concept album sulla salute mentale in rapporto alla libertà dell’individuo e all’espressione artistica, in bilico tra passato e presente, biografia e fantastico. I brani sono maggiormente inquadrati e hanno perduto quella vena iconoclasta e di ricerca folkloristica degli esordi ma sono comunque di una delicatezza e una precisione cristallina che li rende estremamente emozionanti, in particolare la preghiera onirica di Madre.

Ahimé, dopo una ventina di minuti di esibizione la pioggia aumenta di intensità (fortuna ho con me il fido k-way) e restiamo una manciata di persone sotto il palco, fino ad un vero e proprio nubifragio che a momenti spazza via il gazebo del mixer. L’esibizione viene interrotta per svariati minuti, finché tornano le condizioni ambientali per riprende con i pezzi conclusivi (sempre dall’ultimo album, su tutti il clubbing saltellante di Adattamento) che fanno ballare i pochi fedeli tornati sotto il palco e rappresentano la degna conclusione di uno sfortunato ma intenso e a suo modo memorabile live.

Gotho

Le esibizioni dal vivo però non sono ancora finite e lasciati i nuvoloni a spiovere ci si rifugia di nuovo sotto il fradicio ma resistente tendone per ascoltare i torinesi Gotho. Il duo, agghindato di tutto punto da space-predicatori di una qualche divinità cyber-aliena, propone uno space metal a base di ipnotici e graffianti tastieroni sostenuti da un incalzante drumming. Niente da dire, esibizione oltremodo divertente e divertita che arriva dritta al punto facendo scaldare l’umido e infreddolito pubblico bergamasco al ritmo indiavolato dell’algido metallo 80s. Provato dalla serata travagliata, abbandono il dancehall sugli ultimi brani, così da asciugarmi per bene ed essere pronto per le prossime serate

Giorno 2

La serata non inizia sotto i migliori auspici: un altro potente nubifragio si sta abbattendo sulle provincie di Bergamo e Lecco proprio verso ora di cena. Rimango indeciso fino all’ultimo se farmi questi 30 km di strada col rischio di dover aspettare in macchina la fine del temporale. Guido in un clima sospeso e di incertezza, tra il cielo che rasserena a nord e inquietanti nuvoloni neri verso sud-est (direzione Osio).

Arrivato in paese (più in ritardo del solito) in quello che sembra un clima post-apocalittico, mi viene il sospetto di esser da solo e che la struttura di Libera la Festa non abbia retto l’urto dell’ennesimo temporale. E invece… bancali a scavalcare le zone maggiormente allagate, volontari che indefessi sistemano e asciugano i tavoli, qualche coraggioso che termina la cena, e Spinozo che sta ultimando la sua performance intimamente cantautorale sotto il tendone, con una discreta presenza di pubblico. Ascolto distrattamente mentre mi dedico al mio pulled pork e la seconda serie di live al Libera la Festa 2025 può effettivamente cominciare anche per me.

Ooopopoiooo

Nessuna aspettativa particolare dal primo gruppo che si esibisce sul palco principale, Ooopopoiooo, di cui non conosco nulla a parte il cacofonico nome e che vengono da Bologna. Come al solito, le esibizioni più memorabili sono quelle più inaspettate e vengo immediatamente calamitato dal peculiare duo, che si esibisce con un armamentario fatto di elettronica, voce in loop, violino, strumenti giocattolo (megafoni, polli di gomma, raganelle, e chi più ne ha più ne metta), e soprattutto theremin (di cui i due, scoprirò poi, sono virtuosi di fama internazionale). L’esibizione, dicevo, è un ottovolante di emozioni e storia della musica, dopo un primo brano spiccatamente elettronico che vira quasi alla dub, si passa ad una specie di filastrocca dadaista in cui la musica si scompone e ricompone seguendo la surreale narrazione, con un procedimento che ricorda molto quello del mitico Musica Per Bambini.

Il talento sprigionato sul palco dalla coppia è impressionante, espresso attraverso una cover jazz sui generis e un pezzo che lambisce la lirica/musica sacra (sbalorditiva anche l’estensione e duttilità vocale degli artisti); passando per la musica popolare cilena con una cover de La Partida degli Intillimani, e un divertissement di musica contemporanea giocando sul suono allitterato delle parole “bar” e “berio” (ipotizzando un incontro ad un caffè col noto compositore). Concludendo infine con l’altrettanto psichedelica e surrealista title track Elettromagnetismo e Libertà, che suggella il trionfale live di un’oretta scarsa, in cui i nostri catturano in toto il trasversale pubblico bergamasco (e di sicuro si guadagnano un nuovo fan).

Cyril Cyril

Nemmeno il tempo di riprendersi dalla meraviglia della performance precedente e già si va sotto con il prossimo duo, Cyril Cyril da Ginevra. Quest’anno la quota internazionale del Libera è rappresentata da un’accoppiata di band molto peculiari dalla Svizzera francese, di cui i Cyril Cyril rappresentano la prima (ridotta) versione. Complimenti agli organizzatori per il coraggio e la competenza nel proporre tali chicche underground in un festival di questa tipologia. Il gruppo in questione, sottoinsieme dei più variegati Yalla Miku, propone un post-punk (in questo caso veramente, “whatever it means”) con influenze folk e psichedeliche. Il duo si compone del front-man cantante, armato alternativamente di chitarra o banjo e del ferino batterista che cura anche la componente elettronica dell’esibizione.

Un paio di brani un po’ timidi, fino al singolo marziale e pseudo-rappato Microonda Sahara, che non sfigurerebbe in un futuro album dei Fontaines D.C. Quindi il cantante annuncia “ora che ci siamo conosciuti, possiamo passare all’esibizione vera e propria” e da lì in poi la performance decolla.

Travestimenti da cavalieri medievali con tanto di timer da fine del mondo (che mi ricorda molto da vicino una performance situazionista à la Monty Python), cartelloni che decretano il classico nichilista “no future”, maschere indossate coinvolgendo gli spettatori, ma soprattutto tanta varietà (e qualità) musicale che spazia dall’etno-folk, alla new wave, al krautrock, a sostegno del sentito messaggio ambientalista e pacifista. La connessione tra band e pubblico sul finire del live è assoluta e i presenti sono come ipnotizzati dal carisma e dall’energia del duo, che ci regala un’altra esibizione assai coinvolgente e peculiare.

Gotto Esplosivo

Seguono i Gotto Esplosivo, ragazzoni di casa e beniamini del pubblico fin dalle prime battute col loro folk regional-danzereccio a base di chitarrone, fisarmonica ed incalzanti ritmi spagnoleggianti. Non riesco ad apprezzare particolarmente la performance che mi pare tanto ammiccante e “scenica” quanto arida nella sostanza della proposta musicale, raggiungendo però in pieno il suo scopo di portare la gente a ballare e scatenarsi senza pensieri.

Yalla Miku

Per chiudere la serata il piatto forte, gli Yalla Miku, ovvero la formazione ginevrina dei due Cyril che si sono esibiti poco prima ampliata con l’aggiunta di un cantante folk eritreo munito della tipica Krar (praticamente una chitarra cava e senza manico), una techno girl interamente dedita a tastiere ed elettronica e una bassista.

Come è lecito aspettarsi, musicalmente la formazione risulta più brillante ed estrosa rispetto al duo, ma perde qualcosa per quanto riguarda impatto ed emotività. La commistione di generi è assoluta, passando da un ethno-folk di ascendenza africana e mediorientale alla dub elettronica, dalla psichedelia al post-rock in un frullatore di influenze e contaminazioni che genera un cortocircuito artistico sempre originale ed interessante, assimilabile all’art rock dei conterranei Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, all’etno-psych degli Altın Gün o dei nostri C’Mon Tigre.

I musicisti si muovono sul palco da vero collettivo, condividendo le responsabilità e ruotando spesso la formazione (e talvolta anche strumenti), alternando il ruolo di lead singer tra praticamente tutti i componenti. Una piacevolissima sfida all’ascolto per gli spettatori a cui vengono tolti punti di riferimenti e certezze, quindi liberi di lasciarsi trasportare da questa musica ibrida, meticcia e stimolante, ricca di sfumature sempre diverse.

Giorno 3

Terzo e penultimo (ultimo per me) giorno del Libera la Festa, curato, come da tradizione, dall’associazione Bergamo Sottosuolo. Questo significa che stasera gioco “in casa” con una bella selezione di emo-core, post-hardcore e noise. Anche Giove Pluvio si prende una vacanza, graziando la serata con un clima fresco ma asciutto. Arrivo puntualissimo avendo quindi il tempo di concedermi un primo piatto dalla cucina del mitico Joe Koala: strozzapreti luganega e finferli, con una spolverata di ricotta salata. Un’altra ennesima hit anche dalla cucina del festival.

Snüff

Ad aprire i live “elettrici” spetta agli Snüff, gruppo padovano tra garage e grunge che avevo già avuto modo di incrociare in un qualche altro festivalino estivo. Nonostante questo genere un po’ troppo sgangherato non riscontri pienamente i miei gusti, apprezzo la grinta che il trio mette sul palco, a partire dalla front-woman, stand-up drummer e cantante di gran garra. Fanno da degni sparring partner basso e chitarra opportunamente martellanti e distorti, come da manuale garage. In particolare il chitarrista in tenuta da Les Claypool, conferisce colore alla performance con il suo cantato tanto graffiante quanto la distorsione della sua chitarra. Un piacevole antipasto.

Frana

Ci si sposta sotto il tendone per l’esibizione dei Frana, gruppo che bazzica le scene dell’underground pesante italiano da una dozzina di anni e che potremmo definire “storico”. Nonostante li segua praticamente dagli esordi, non avevo mai avuto occasione di vederli dal vivo. Colgo così con grande piacere l’offerta di Libera di rimediare a questa mancanza. I nostri si presentano sul palco concentrati e raccolti, capitanati dal frontman hipster punk, mettendo in scena una performance senza troppo fronzoli ma sicuramente potente e d’impatto, dove il puro suono la fa da padrone.

I riferimenti musicali partono chiaramente dal post-hardcore/noise rock del Chicago sound anni ’90, canonizzato dall’indimenticato Steve Albini e i suoi Shellac (e decine di altri gruppi fighi di cui mi piace sempre ricordare i Distorted Pony), per arrivare alle interpretazioni più recenti del genere, che non disdegnano talvolta sonorità più smussate e meno intransigenti, ad opera di gruppi quali A Place to Bury Strangers.

Il muro di suono è notevole, coadiuvato dal tipico mixaggio bergamasco che non disdegna qualche decibel in più senza rinunciare alla dinamica dei suoni. Il risultato di questa esibizione schiacciasassi è certificato da un bel fischio alle orecchie dopo nemmeno un’ora di ascolto a pochi metri dal palco.

Gazebo Penguins

Conosco i Gazebo Penguins (headliner della serata), come un po’ tutti, dai tempi dell’iconico Legna (e del suo inno generazionale ho-perso-il-tram-delle-6). Dopo che furono tra gli alfieri della emo-ita wave degli anni ‘10 insieme a milanesi Fine Before You Came, li avevo un seguiti in maniera piuttosto altalenante, fino a re-innamorarmi del loro disco (a mio gusto attuale il loro migliore) della svolta “pop”, Nebbia, riscoperto in periodo Covid.
Al netto delle considerazioni personali e dell’eterogeneità della loro carriera musicale, c’è qualcosa nelle esibizioni dei Gazebo di quasi sciamanico. Saranno gli anni di esperienza e le centinaia (migliaia?) di concerti macinati dal gruppo ma le loro performance sprigionano sempre un magnetismo, un’energia, ed un coinvolgimento fuori dal comune.

Il nucleo del gruppo, composto dal duo Capra (chitarra) e Sollo (basso), si esibisce nella ormai iconica formazione uno di fronte all’altro, fianco al pubblico, separati dalle aste dei rispettivi microfoni e dall’elettronica. Inutile dire quanto la performance venga valorizzata dalla complicità sorniona dei due, che ne guadagnano in precisione senza perderne in potenza. I due, come di consueto, vengono supportati dai pestoni dello storico batterista Piter e dalla seconda chitarra, entrambi fondamentali per la resa complessiva di un live che procede senza pause, costantemente su di giri.

Il risultato è che, senza nemmeno rendersene conto, ci si ritrova sotto il palco, dito al cielo a saltare e pogare con i presenti, gridando a squarciagola frasi emo del tipo “è questione di un attimo e ci si perde davvero”. La magia avviene in pieno anche in questa serata con una scaletta (per fortuna) molto orientata al “best of” con tre brani da Legna e altrettanti da Nebbia.
Non importa quante volte li rivedrò, quanto decideranno di allontanarsi dallo stile più hardcore degli esordi, un live dei Gazebo sarà sempre uno dei migliori della stagione o, in questo caso, l’apice di uno stratosferico Libera la Festa 2025.

Chivàla

Asciugati i lacrimoni, non è ancora tempo di lasciare l’area concerti perché abbiamo un ultimo gruppo a chiudere la serata. Grande ressa sotto il tendone e grande attesa per i Chivàla da Bari. Sono molto curioso di ascoltare i ragazzi che fanno parte di quell’importante fioritura di gruppi revival screamo duro e puro ad opera delle nuove generazioni (bravi ragazzi!), a cui ascrivo gruppi come Votto e Put Pùrana, per rimanere sempre in Italia.

Più che agli italici capostipiti La Quiete/Raein, i nostri si rifanno ad uno screamo americano maggiormente orientato verso il chaotic hardcore e la violenza strumentale, stile Orchid e PG.99. Grande presenza scenica del cantante che si tuffa sul pubblico, numeroso e partecipe nonostante l’orario, in un tripudio di grida collettive in pieno stile hardcore punk. I nostri, in cinque sul palco, generano un arrembante wall of sound di distorsioni, al limite del metalcore, con volumi ancora parecchio sostenuti.

Dopo qualche brano mi discosto ad assistere alla conclusione del live da fondo tendone, onde evitare acufeni del giorno dopo. Per gusto personale preferisco delle interpretazioni più introspettive e di atmosfera della screamo nostrano (Radura), ma il gruppo è certamente valido e meritevole di essere seguito nel prosieguo della sua carriera.

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Last modified: 10 Settembre 2025