Italia 90 – Living Human Treasure

Written by Recensioni

L’album di debutto della band inglese è una partita vinta a mani basse.
[ 20.01.2023 | Brace Yourself | post-punk revival ]

Aldilà di ogni ovvia allusione puramente calcistica, la prima volta che avete sentito nominare gli Italia 90 avrete probabilmente pensato all’ennesima, sensazionale band indie-pop proveniente da una qualsiasi sperduta periferia italiana; una di quelle che fanno ballare i teenager e li accompagnano a braccetto nell’avventura dei loro primi amori adolescenziali, una di quelle band innocue, che vanno e vengono come le maree, sorridono sempre nei servizi fotografici, con i testi farciti di nomi di farmaci e cocktail (ogni riferimento è puramente casuale, ma nemmeno troppo).

E invece, sorpresa: gli Italia 90 (che, per l’appunto, si pronuncerebbe correttamente “Italia Ninety”), a dispetto del loro moniker così accattivante, vengono da Brighton e già da tempo hanno base in South London. Verosimilmente la formazione dal mood più british che la terra d’Albione ci possa offrire in questo momento: Les Miserable (voce), Bobby Portrait (basso), J Dangerous (batteria) e Georgie McVicar (chitarra) sembrano usciti direttamente da “This Is England” di Shane Meadows e conquistano all’istante con la loro aria sorniona e annoiata.

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La loro musica si incastra alla perfezione fra un tassello e l’altro dell’enorme, multiforme puzzle del panorama post-punk revival contemporaneo d’oltremanica, sebbene a tratti tale collocazione risulti effettivamente un po’ riduttiva. Spoken word e chitarre infuriate ci portano facilmente ad assimilarli ai classici Wire, The Fall e Gang Of Four, ma le loro influenze sono in realtà decisamente più variegate: sul piatto abbiamo suggestioni jazz, echi new wave, sfuriate post-hardcore, il tutto condito da una discreta dose di abilità tecnica e folle creatività.

L’ennesima band il cui destino è stato rovinosamente ostacolato in partenza da due anni di pandemia, ma che ora riaccende i motori e riparte in grande stile con questo Living Human Treasure.

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L’album si apre senza fronzoli con la diretta, aggressiva Cut: lo stesso ticchettio stillicida e le medesime chitarre quasi dissonanti dal sapore industrial/noise si ripresentano anche nei primi minuti della successiva Leisure Activities, che si apre poi a sonorità decisamente meno oscure e più catchy, grazie anche ad un basso funkeggiante che ricorda vagamente i Minutemen di Double Nickels on the Dime.

Magdalene è un perfetto esempio di oscuro art punk che corre dritto e rapido sul filo di una lama e spicca per il suo testo violento ed impegnato: si tratta infatti di una pesante invettiva contro gli abomini delle “Magdalene Laundries”, istituti femminili gestiti dalla Chiesa Cattolica allo scopo di rieducare le donne giudicate in contrasto con gli stereotipi dettati dalla società benpensante nell’Inghilterra e nell’Irlanda del XIX secolo.

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Torna alto l’umore con New Factory: un pezzo allegro e divertente che ci riporta alla memoria la leggerezza del sound indie rock dei primi anni 2000 (Interpol, Bloc Party) e persino i primissimi Clash. The MUMSNET Mambo ci sorprende con un’inaspettata e melodica inversione di rotta, una breve e piacevole incursione nel jazz accompagnata da un cantato in stile monocorde e inespressivo già caro a Grian Chatten dei Fontaines D.C..

Il meglio della lussureggiante new wave degli anni 80 infonde linfa vitale in Funny Bones, uno fra i pezzi più geniali del disco, impreziosito dalla presenza di Cecilia Corapi, voce dei Qlowski; Golgotha fa invece un nuovo salto in avanti nel tempo e si sposta su territori già di recente battuti da Squid e black midi, fra fulminei cambi di ritmo e minacciose pause. A chiudere l’opera, infine, un vero e proprio gioiello: Harmony, una sorta di suite magistralmente divisa in in tre parti, un inno ripetitivo e ossessivo che lascia spazio ad una parte più ipnotica e meditabonda per poi esplodere in tutta la sua furia sul finale.

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Potremmo riassumere l’essenza di Living Human Treasure citando il testo di Competition: “freedom to choose, freedom to lose”. La libertà di scegliere e il coraggio di essere dei perdenti, forse, in una scena ormai satura di band che in un’ottica arrivistica e nel disperato tentativo di scalare una classifica finiscono troppo spesso per copiare sé stesse, nel vano tentativo di non confondersi nella massa; la libertà di rinunciare al podio dei vincenti, ma mai alla propria autenticità.

È proprio questo il potenziale degli Italia 90, così genuini e proprio per questo fuori dal coro, la loro capacità di spaziare efficientemente da una soluzione stilistica all’altra senza mai risultare patinati, né perdere la propria personalità o risultare banali e scontati.

Quindi, arrivata inaspettatamente e quasi senza accorgermene all’ennesimo ascolto in loop, lasciatemelo dire – permettetemi il mediocre gioco di parole e un prevedibile riferimento sportivo: noi facciamo il tifo per gli Italia 90.

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Last modified: 14 Febbraio 2023