Doriana Legge – La lista di cose belle

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Quando ti arriva da recensire il progetto di una giovane donna, italiana, con l’ambiziosa peculiarità di cantare nella sua lingua e non nel solito inglese posticcio che maschera carenza di contenuti, non puoi che esserne felice. Se musicalmente, poi non ti tocca ascoltare il solito cantautorato femminile poppeggiante, ma qualcosa di più aggressivo e rock (e quindi più nelle tue corde), puoi pensare che sia il tuo giorno fortunato.

Trent’anni, abruzzese, già voce e chitarra dei Queer Dolls (formazione alternative rock attiva del 2005 con alle spalle numerose esibizioni live e un demo autoprodotto intitolato “La sindrome di Cassandra”).

Ecco Doriana Legge alle prese col suo progetto solista, un Ep di cinque tracce tutte rigorosamente cantate in italiano, con arrangiamenti che spaziano dall’elettronica al rock.
La realizzazione tecnica dei brani è assolutamente impeccabile: si può dissentire sulla scelta di lasciare indietro la voce, completamente sovrastata dagli strumenti, ma questa è, a mio avviso, la primissima cifra stilistica che si palesa all’ascoltatore. Altro elemento assolutamente distintivo che emerge è il timbro. Personale, per quanto rischi sempre di rasentare il già sentito, caratterizzato da un mix di calore e glacialità, di distacco e freddezza, ma anche di carezze avvolgenti.
Doriana non ha una grande estensione (o se ce l’ha, sicuramente non punta su quella in La lista di cose belle), né si lascia andare a vocalizzi o momenti di virtuosismo: le linee melodiche sono semplici e molto spesso rasentano il parlato. Le tematiche affrontate, purtroppo in modo neppure tanto originale, sono le solite: l’amore in primo luogo, naturalmente malato o per lo meno causa di dolore e l’incertezza dei nostri giorni.
Palinsesti, in apertura, è forse la canzone più particolare sul piano musicale: dissonanze piuttosto forti che sembrano accoglierci nel mondo della cantautrice, mostrandoci ambienti fumosi e colori desaturati, su un tappeto musicale insistente, ipnotico, di matrice elettronica, che continua ideologicamente anche in Scambisti alla deriva. Decisamente più scura è Frank, con distorsioni piene e calde che troviamo anche nella successiva Per un nuovo ecosistema. Chiude l’Ep La memorabile resa (dei conti), che sin dalle prime note dichiara il suo debito fortissimo con Carmen Consoli: la cantantessa è sicuramente la stella polare di Doriana, come si poteva notare anche nei brani precedenti, soprattutto per la costruzione delle linee melodiche della voce, ma in questa brano anche la costruzione testuale, certi termini impiegati, la dirompente femminilità vendicativa rievocano prepotentemente la catanese.
Non mancano spunti vocali imputabili più a Paola Turci (soprattutto la strofa di Palinsesti) o a Irene Grandi (Frank e Per un nuovo ecosistema), in un’alternanza di trasparente pulizia vocale e graffiante incisività.

Doriana Legge ha una bella voce, lontana dagli stilemi del belcanto leggero della musica italiana, e vanta ottime intuizioni per quanto riguarda gli arrangiamenti, ma si sente la mancanza in ogni traccia di un elemento orecchiabile, che comunichi direttamente con la componente più intima e pulsionale dell’ascoltatore e che non richieda di essere filtrato, capito, metabolizzato. Manca un vero ritornello insomma. E manca, soprattutto, un po’ di originalità, il quid che renda le sue canzoni capaci di comunicarci davvero qualcosa che non sia già stato detto da altri.

 

 

Last modified: 4 Giugno 2012

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