“Diamanti Vintage” Juri Camisasca – La Finestra Dentro

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Anche l’affezione del pubblico, sempre più fitto, giovane, curioso confermò questo giovanissimo e introspettivo capellone milanese, Juri Camisasca, come una vera cometa oscura in quella scena contemporanea ed alternativa che poi erano i roventi anni Settanta; oramai la protest song, la canzone di protesta politicizzata, stava quasi per chiudere le ali, tanti erano gli eventi e le rivolte da indurla a smarrirsi da sola, avanzavano nuove necessità ma soprattutto nuove idee sonore e nuovi carotaggi interiori che si presero – a lato di un cantautorato visionario – una parte consistente della scena progressive imperante.

E appunto un eroe oscuro, delirante, sui borders dell’esistenzialismo minimale, si palesò in Camisasca con questo esordio discografico “La Finestra Dentro” – introvabile oramai – prodotto da Franco Battiato, allora filiforme sperimentatore metafisico, un disco che definire ossessivo è ben poca cosa, ricco, venato e svenato di pads atmosferici al limite della claustrofobia, interiore oltre le viscere, ma anche un profondo sguardo in tralice sulla fragilità dell’uomo e della sua precarietà di rapporti, tracce in cui sembra passeggiare un Kafka al limite di se stesso “Metamorfosi” fino a straziarsi “Scavando col badile” sul concetto che prima o poi l’animale (in primo piano sempre topi) avrà la dominazione sull’uomo; certo un disco per allora rivoluzionario nel senso stretto del contenuto, ma non di facile approccio se non dopo attenti ascolti, acustica ed elettronica si fanno la corte, poesia e analisi psicologica si contendono la tracklist come del resto l’intensità rovesciata di questo artista contende forse con sé stesso quella quadratura allucinata informale che si trasformerà in una nuova tendenza espressiva unica nella sua storia.

Nella penna di Camisasca gira molta disaffezione e non manca quell’autodistruzione morale tipica del disagio artistico, umano e sociale dei Settanta specie in “John” storia di un amico ritrovato e che la vita lo ha costretto a fare il travestito, in “Galantuomo” si cerca la negazione della vita e più sotto, nella finale “Il regno dell’Eden”, l’autore si “reincarna” in Dio, in un vero delirium tremens tra cori infantili, chitarre ed effetti elettronici che chiudono questo disco trasversale che già allora anticipava i tremendi tempi moderni della nostra mostruosa società. Un disco premonitore e a suo modo, esemplare, stupendo, che concede uno spicchio di sole in “Un fiume di luce”, unica traccia che ti fa alzare lo sguardo, lo stesso che appena finita ti ricade come ad un manichino senza più fili tesi

Amanti degli sconvolgimenti d’anima, spasimanti degli spiriti maledetti, fatevi avanti, questo disco è merce rara per chi è profondo.

 

Last modified: 17 Settembre 2012

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