Dal jazz all’elettronica passando per Londra – Intervista a Maria Chiara Argirò [ITA/ENG]

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Il racconto della sua esperienza da artista italiana all’estero, dagli studi di jazz ai concerti con i These New Puritans, fino ai suoi lavori da solista che l’hanno portata a suonare al The Great Escape.

Dal 10 al 13 maggio, Brighton ha accolto il The Great Escape, pilastro degli showcase festival internazionali che attira talenti e pubblico da tutto il mondo. Come precedentemente annunciato dal nostro Dario Damico, l’Italia è stato il lead country partner: con la partnership di Italia Music Export, undici artisti e band nostrane hanno avuto l’opportunità di esibirsi in giro per la città durante lo scorso weekend.

Ho avuto modo di parlare con Maria Chiara Argirò proprio in mezzo alle sue due esibizioni, programmate per il giovedì pomeriggio al Patterns, locale situato di fronte al famoso Pier, e il venerdì sera al Fabrica, una chiesa sconsacrata nel centro di Brighton.

***

Trasferita a Londra direttamente da Roma sud poco più di dieci anni fa per studiare jazz al London Centre of Contemporary Music, Maria Chiara nell’ultima decade ha collezionato molteplici esperienze, sia come session player per progetti quali These New Puritans e Kinkajous, che come artista, pubblicando quattro album dal 2016 ad ora. L’ultimo lavoro, Forest City, uscito un anno fa per l’etichetta statunitense Innovative Leisure (Allah Las, BADBADNOTGOOD), ha segnato un cambio di rotta che ha visto Maria Chiara avvicinarsi all’elettronica e sperimentare con Ableton Push. Registrato e prodotto autonomamente con l’aiuto del duo In a Sleeping Mood e di Alex Killpatrick, Forest City è anche stato il debutto dell’artista come cantante.

Quest’estate, Maria Chiara farà tappa ad alcuni dei principale jazz festivals d’Europa e porterà il suo Forest City anche in Italia al Viva Festival di Locorotondo (agosto) e allo Spring Attitude Festival a Roma (settembre)
Tutte le date qui.

(photo credits © Lara Magnelli)

[ITA]
Ciao Maria Chiara. Intanto grazie di aver trovato tempo per fare due chiacchiere…

Ma figurati, grazie a te.

Ieri hai fatto la tua prima esibizione del The Great Escape al Patterns e oggi replicherai al Fabrica. Com’è andata? Come ti è sembrata l’atmosfera?

Allora, io mi sono divertita come sempre. Io mi diverto tantissimo in qualunque contesto live. Ovviamente questo tipo di festival hanno sempre un po’ di problemi a livello tecnico, dato il grosso change over. Devi essere prontissima ed è abbastanza stressante. Però, come ti dicevo prima, io mi diverto, faccio una musica che amo suonare dal vivo (e si vede, ndr). Specialmente nei momenti di difficoltà tecnica cerco di tirare fuori il mio lato scherzoso, senza incupirmi.

Che ne pensi del concetto di showcase festival?

Venendo dal mondo tendenzialmente più del jazz, non ho avuto modo di fare tutti questi showcase festivals col mio progetto. Quando è capitato è stato come session player con altre band. Non ti posso dire che sia la mia cosa preferita… Però è una buona opportunità, soprattutto per testare nuove scalette. Io lavoro molto bene quando sono under pressure quindi alla fine lo stress di ieri è stato comunque utile, diciamo.

Torniamo un attimo indietro nel tempo. Se chiudi gli occhi e pensi a quando, più di dieci anni fa, ti sei trasferita a Londra… Cosa ti ha spinto? Come italiana nel Regno Unito, anche io faccio difficoltà a ricordarmi quale fosse quella fiamma, quella sensazione, e tendo più a rispondere con quello che ho raggiunto stando all’estero. Vorrei capire un po’ tutte e due, cosa cercavi e cosa effettivamente hai ottenuto spostandoti qua.

Quando mi sono trasferita a Londra ero sicura di starci soltanto un anno, pensa te! Tutta la mia famiglia, invece, era assolutamente convinta che una volta andata non sarei mai più tornata e infatti mi organizzarono una vera e propria festa d’addio. La verità è che in quell’anno io ho capito la svolta che questa città mi poteva dare dal punto di vista musicale. Ho capito che potevo veramente rendere questa mia passione la mia vita, ma non sto parlando soltanto di carriera, parlo propriamente di essere me stessa a 360°. Sentirmi libera, potermi reinventare in parte. Credo tu possa capire… Qua c’è modo di scoprire chi siamo. Questa è una cosa che sicuramente può accadere anche in Italia, con la differenza sostanziale per cui ci sono dei legami che sono sì importanti da mantenere (io amo la mia famiglia) ma che vanno secondo me sradicati, proprio per poter crescere a livello umano. E qui mi fermo, non voglio entrare in una sessione di psicoterapia (ride, ndr).

Sento che adesso, dopo 11 anni, sono proprio cresciuta ed ho collezionato esperienze che a mio avviso a Roma non avrei mai visto e mai vissuto. Per quanto io sia una persona molto grintosa, molto carica e anche determinata, non sarei chi sono oggi. Un’altra questione chiave di quel primo anno a Londra è stato anche il fatto che ho iniziato a confrontarmi con persone che venivano da tutto il resto del mondo. Mi sono resa conto che le prospettive su qualunque aspetto della mia vita sono in realtà infinite. I miei amici londinesi alla fine non vengono da Londra, ma da moltissimi paesi diversi.

È stata una piccola rivoluzione per me, un processo tosto ma bello… Tosto perché siamo lontani da delle facilità e semplificazioni, quelle che potrebbero renderti la vita leggermente meno incasinata… Tipo i genitori che ti preparano la cena e tu passi a prenderla.

Passiamo alla musica. Tu hai studiato al London Centre of Contemporary Music ma poi sei finita quasi subito a suonare con i These New Puritans, che col jazz c’entrano effettivamente poco e anzi sono sempre stati in una ‘scena’ diversa. Come li hai incontrati?

Qualche mese prima di finire il college ricevetti una e-mail da loro manager che diceva che stavano cercando una pianista. Mi diceva che avevano visto un mio video, credo l’unico video che io avessi mai messo su YouTube, di me che suonavo con una band. Poi li ho incontrati, non per una vera e propria audizione ma più per conoscerli e loro mi hanno accolta nella formazione live.

L’album che portavamo in giro era Field of Reeds, che è un disco che ha delle sonorità un po’ jazzey. Si trattava comunque di qualcosa di un po’ più sperimentale anche per i These New Puritans. Suonare con loro è stata un’esperienza incredibile per me. Mi ricordo perfettamente che i miei compagni di college erano impegnati a far festa e io invece ero in tour con un gruppo così! Letteralmente il giorno successivo alla fine dei miei studi ho iniziato a lavorare con la band. Ho avuto modo di fare dei concerti che mai avrei immaginato… Tu pensa che la seconda data era in apertura a Bjork! In quel momento ho davvero realizzato che avevo avuto modo di trovare quest’opportunità grazie a Londra. Con loro ho poi continuato a collaborare fino ad oggi. Credo di aver assorbito un po’ della loro essenza e di portarla con me in tutto quello che faccio.

Credo si possa dire che tu abbia frequentato parecchie ‘scene’ musicali diverse su Londra… Da italiana inserita in questi contesti, hai riscontrato qualche tipo di pregiudizio?

No, assolutamente. Forse è proprio perché sono italiana e non mi sono mai sentita legata, diciamo, ad una specifica scena. Io non sono la jazz pianist from South London! Spesso vengono date etichette agli artisti e musicisti ma a me è stato molto più difficile darle e questo è andato a mio vantaggio. Credo che, al contrario, quando ci entri dentro ad una scena e diventi parte di essa, allora inizi a vedere tutte le dinamiche sociali più complicate. Io alla fine sono un’outsider. Certo, è ovvio che questa non sia un’industria semplice in cui muoversi ed ho visto e subìto delle cose non piacevoli, ma è capitato di più nei tour. Tutta esperienza… Poi si va avanti.

Il tuo percorso da artista è stato sicuramente variegato finora, partendo dal jazz, esplorando poi l’elettronica e anche la musica ambient. Qual è la direzione che vorresti prendere sonicamente e musicalmente?

Più che di dove vorrei andare, parliamo di dove io stia già andando. Da persona iperattiva quale sono, ho già un disco quasi completo! In generale, io non riesco a predeterminare dove andrò musicalmente. Lascio che le cose accadano naturalmente: gli eventi nella mia vita, i miei ascolti, i concerti a cui vado… Vengono accolti. Cerco di trarre tutto quello che queste situazioni possono creare. In più, continuo ad esprimere la mia creatività al pianoforte, alla voce – elemento che sto esplorando sempre di più – con Ableton… E in questo sono molto fortunata perché la mia etichetta discografica non mi mette alcuna pressione, anzi, quando ho comunicato di avere un altro disco mi hanno chiesto se fossi sicura di essere pronta!

Magari avrò un blocco creativo prima o poi, ma finora non è mai successo. Credo che la mia formazione jazzistica mi abbia insegnato l’importanza dell’improvvisazione, una dote che mi permette di essere coinvolta in più aspetti creativi e di prendere quello che viene, facendone qualcosa di concreto. Ho molta voglia di esplorare al momento, soprattutto la parte elettronica e di processazione di suoni e voci. E poi ho voglia di essere diretta, di andare dritta al punto e semplificare, cosa che credo vada di pari passo con la mia crescita personale.

In Forest City e specialmente nella dimensione live, ho sentito moltissimi elementi Thom Yorkiani, da The Eraser e gli Atoms for Peace fino ai Radiohead. Parlo non soltanto di suoni ma anche di struttura dei pezzi…

Assolutamente sì. Sono cresciuta ascoltando i Radiohead e si può dire che mi sia completamente ossessionata a tutti i loro lavori. Non ho mai pensato di fare un pezzo alla Thom Yorke e anche se sono sempre stata secchiona non ho mai ‘studiato’ la loro musica, ma ovviamente queste sono influenze che pervadono i miei lavori, che io lo voglia o no.

Per il resto, faccio fatica a ricordare che cosa ascoltassi mentre componevo Forest City. Sicuramente il jazzista Christian Scott, ma anche artisti della scena elettronica di LA, specie dell’etichetta Brain Feeder. Qualcuno ha pure detto che l’album ha degli elementi alla Flying Lotus

Nell’album tu esplori il dualismo tra natura e città. A Londra, questo contrasto, come te lo vivi?

Sinceramente? Bene! Una delle cose che preferisco di più di Londra è che, nonostante la sua grandezza e quanto possa essere dispersiva e intensa, sia piena di spazi verdi proprio in città, di foreste vere e proprie. Pensa ad Epping Forest, ad Hampstead Heath. Mi sento molto fortunata perché Londra mi permette di scegliere. Sono nata in città e non potrei mai essere lontana dal contesto urbano, ma la natura è sempre stata fondamentale per me, specie da un punto di vista psicologico. Comunque il disco non parla di questo, Forest City è un trip che mi sono fatta io nella mia testa… (ride, ndr).

Parliamo della tua esperienza con Gilles Peterson, un’istituzione musicale negli UK. Com’è stato essere ospite del suo show su worldwide.fm (RIP) e suonare nel suo famoso basement?

Gilles Peterson è un mito, una persona meravigliosa. È stato tutto molto emozionante. Il suo basement è minuscolo ed è pieno di vinili, tutti in totale disordine, fuori dalla copertina…

Allo stesso tempo, questa esperienza è stata una di quelle cose che, sì, mi ha emozionata e mi ha reso orgogliosa, ma non credo di riuscire a capire appieno la rilevanza di essere ospite nel suo programma. So di per certo che per un musicista inglese il valore di questa cosa sarebbe comunque stato diverso. In linea di massima, Gilles è una persona come lo sono io ed è stato bello condividere questo momento.

Tra l’altro, pare che proprio ieri qua al The Great Escape abbia chiesto di me. Voleva sapere cosa ho in programma per il futuro.

E per finire, quali sono gli ultimi cinque artisti che hai ascoltato su Spotify?

Fammi fare le cose per bene, fammi controllare sul mio profilo. Te l’ho detto che sono secchiona! Nosaj Thing, a cui sono legata anche in quanto label buddies. è un produttore stupendo. Salami Rose Joe Louis, con cui ho anche collaborato. Leon Vynehall, artista elettronico inglese. Poi ho sentito il pezzo di Flume e Damon Albarn: è incredibile, quando Damon entra con la voce io impazzisco. E infine, Kelly Lee Owens: tutto quello che fa è una figata.

[ENG]
Hi Maria Chiara. Firstly, thank you so much for finding the time to chat with me during such a busy weekend.

No worries, my pleasure.

You played Patterns upstairs yesterday and will be playing Fabrica later today. How did the first gig go? How are you finding The Great Escape?

Well, I had fun – I always do when playing live. Showcase festivals are quite stressful though, with their quick changeovers. You need to be ready to play and ready to leave. But I don’t mind; if it gets harder, I try to lighten the mood. That’s how I am.

What are your thoughts on showcase festivals?

Coming from the jazz world, I honestly only ever played a few showcase festivals in my life, mainly when touring with other bands. I am not going to lie, they are not my favourite thing, yet they’re a great opportunity to try a new setlist, for example. And personally, I thrive when under pressure, so they kinda work for me.

Let’s go back in time. What pushed you to move to London from Rome over 10 years ago? I’d like to know what your thoughts and hopes were back then, and if your expectations have been met.

When I decided to move to London I was sure it’d only be for a year! My family, on the contrary, put on a massive goodbye party for me as they envisaged I’d just remain in the UK. The truth is, I soon realised that London could allow me to make music my career but also to discover my true self, and sort of start from scratch on a few levels… I’m sure you know what I mean. You really feel free to be yourself here. I’m not saying this could have not happened back in Rome, but I’m sure that so many experiences I’ve done here I could have never even dreamed of if I stayed in Italy. I also believe you need to flee the nest to be able to grow. Now, let’s move on before I turn this into a therapy session… (she laughs, ed.)

London has also allowed me to get to know people from all over the world and open my mind to different life perspectives. My friends in London are not from London; they come from lots of different countries and that’s amazing.

Overall, it’s been a beautiful journey, just a little tough. Life back in Italy would have been a bit simpler, I think.

Let’s chat about music. You studied at the London Centre of Contemporary Music but soon after college, you joined indie outlet These New Puritans as session pianist/keyboard player. How did you meet them?

Towards the end of my course, I got an email from their manager saying that they saw a video of me playing with a band on YouTube (pretty sure that was the only video I ever uploaded) and wanted to meet me as they were looking for a pianist to join them on tour. We soon after met and liked each other, and there you go…

The album I got to play live with TNP was Field of Reeds, a record that saw them experimenting with some jazz sounds too, so it all made sense in a way. Overall, it was an amazing experience. I remember I had literally just left college and all my mates were partying hard whilst I was touring with a brilliant band! The second night of the tour we played before Bjork and I remember thinking that it wouldn’t have happened if I hadn’t moved to London.

I still occasionally work with the band. I think I have taken some elements from their music and put them into everything I have done since.

You have experienced various London music scenes as an Italian musician. How has that been? Have you always felt welcomed?

I must say, yes. And I am pretty sure this is due to the fact that I never really belonged to a specific scene. I am not a jazz pianist from South London, you know? I don’t just fall under one music genre or category, I’m an outsider – which is great. Obviously, the music industry isn’t always an easy environment to navigate, and I’ve surely experienced unpleasant things – mostly when touring with other bands.

From a music perspective, your journey has started with your classic jazz education and it’s now led you towards electronic and ambient music. Where do you see yourself going in the future?

I’d rather talk about where I’m going already! I can never stay still and I must confess I’ve got a new record that’s basically ready to go. Overall, I can’t predict where I’ll go from a musical standpoint. I let things happen, I listen to records, I go to gigs, and let myself get inspired. I’m also exploring my skills – as a pianist, a singer, or with Ableton – and I feel very lucky to be able to do so. My record label is great in this respect, I never felt pressured in any way. When I told them my next record is almost ready, they asked me if I was ready!

Who knows, maybe one day I’ll hit a wall, but so far I’ve been feeling very creative. If there’s one thing I’ve learned from jazz, is to improvise and take it as it comes.

I also feel I want to simplify things and get straight to where I want to go – something I’ve been longing for in my personal life too.

When listening to Forest City and watching you perform the songs live, I couldn’t help but think about Thom Yorke and his solo record The Eraser, as well as Atoms For Peace, and, obviously, Radiohead. I’m not just talking about sound but also your songs’ structure…

Yep, that’s 100% plausible. I grew up obsessing about Radiohead so that makes sense. I never intentionally wrote a Radioheadey song, but I guess I learned by osmosis!

Besides them, I struggle to remember what I was listening to when writing Forest City. There was surely a lot of Christian Scott, as well as some LA electronic artists – I love the Brain Feeder label. Somebody told me my record reminded them of Flying Lotus

In the record, you explore the juxtaposition between nature and urbanism. As a Londoner, how do feel about this dualism?

No matter how big and intense London may be, I love it because it’s got so many parks and forests that are actually within the city. Think of Epping Forest and Hampstead Heath. I’m lucky cause here you can pick between the city and the forest. I was born in the city so I could never move away from it, but nature connection has always been crucial for my mental health.

Anyway, this is not what the record is about – that’s more of a weird trip I had going on in my head… (she laughs, ed.).

How was your experience with Gilles Peterson on his show on worldwide.fm (RIP) when you recorded a live session from his basement?

He’s undoubtedly a legend. I was really excited to be there. By the way, his basement is super tiny and there are vinyl records everywhere…

It was an amazing experience and I felt very proud to be there, though I think it would have been a much bigger deal to me if I had lived in the UK my whole life and had always listened to Gilles.

He is a very nice person and it’s been great to meet him. I actually just heard he asked about me yesterday, and wondered what my future plans are…

Last but not least, what are the last five artists/bands you listened to on Spotify?

Let me check, I want to do this properly! Nosaj Thing, one of my label buddies and a great producer. Salami Rose Joe Louis, whom I’ve previously worked with. Leon Vynehall, a brilliant English electronic artist. I’ve also been listening a fair bit to Flume and Damon Albarn’s track and absolutely loved it, especially when Damon starts singing. Lastly, Kelly Lee Owens: everything she touches turns to gold.

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(photo credits © Lara Magnelli)

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Last modified: 21 Giugno 2023