Ansia, sudore, Serie A e tanta musica – Intervista ad Alessandro Gazzi

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Può esistere una qualche connessione tra la Serie A e il post-rock? Nello splendido universo parallelo di Alessandro Gazzi, la risposta è sì.

(Intervista a cura di Dario Damico e Vittoriano Capaldi)

Questa non è una intervista ad una band e nemmeno ad un organizzatore di un festival.
Questa volta abbiamo scelto una piccola deviazione nel mondo del pallone per chiacchierare con Alessandro Gazzi, ex centrocampista di Bari, Siena, Torino e Palermo con più di duecento presenze in Serie A e, come noi, genuinamente appassionato di musica alternativa. Di seguito il testo dell’intervista, durante la quale abbiamo ricostruito il suo percorso da ascoltatore, la musica che si ascoltava nello spogliatoio e prima delle partite, la sua nuova avventura da scrittore e il rapporto con la vulnerabilità.

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Ciao Alessandro, vuoi raccontarci innanzitutto come è nato questa tuo interesse e come ti sei avvicinato alla musica alternativa?

Premetto che non ho mai studiato musica o suonato degli strumenti.
Tutto cominciò in un pomeriggio piovoso, i miei avevano dei vinili e cominciai ad osservarli. Il primo album che ascoltai con più attenzione fu The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Da lì in poi, tramite anche qualche amico, cominciai a scoprire ancora più musica ed anche a comprare diverse riviste specializzate come RockStar, il Mucchio Selvaggio, BlowUp e Rumore.

Pian piano, con l’ascolto di gruppi come Radiohead e Smashing Pumpkins o di artisti più datati come Beatles e Neil Young, ho cominciato a scavare nei miei gusti e sono arrivato allo shoegaze, al post-rock e all’ambient.
Non ascolto tutto, per esempio jazz ne ho ascoltato pochissimo, il metal non mi fa impazzire, rap e hip hop sono molto complessi, ma ho cercato sempre di farmi una cultura per gusto e curiosità.
Un tempo c’era davvero un bel fermento, collezionare dischi sembrava quasi un lavoro.
Adesso, avendo tre bambine, mi sto concentrando anche su quello che ascoltano le nuove generazioni.

Riesci a andare a qualche concerto?

Attività concertistica poca devo dire, menziono quello storico concerto di Bruce Springsteen a San Siro nel 2003 che andai a vedere coi miei genitori e i Goodspeed You! Black Emperor, che ho sempre apprezzato molto, a Torino nel novembre 2015. In generale però, visto che quando facevo il calciatore avevo sempre i weekend impegnati, ho sempre prediletto l’ascolto su disco piuttosto che la dimensione dal vivo.

Come conciliavi la tua passione per la musica con i vari ambienti che vivevi attorno a te nel mondo del calcio, dallo spogliatoio agli allenamenti, eccetera?

La musica che si ascoltava in spogliatoio di solito era roba pop e commerciale che si discosta decisamente dai miei gusti. Non mi sono mai permesso di pressare chi aveva il controllo dello stereo in spogliatoio per mettere la mia musica, perché sapevo già che sarei andato incontro a delle figure. Ci ho provato ogni tanto, però ho sempre cercato di rimanere su scelte più pop possibili. Il momento in cui si ascoltava più musica però non era tanto nello spogliatoio, ma quando dall’albergo si andava al campo. Lì provavi a trovare la concentrazione giusta, ad isolarti, e con le mie cuffiette riuscivo ad ascoltare quel che volevo.

Le mie preferenze sono cambiate nel corso del tempo: nei primi anni prediligevo il rock, negli ultimi invece preferivo l’ambient, ad esempio ho ascoltato moltissimo gli Stars of the Lid prima delle partite, mi davano sensazioni di tranquillità.
Forse dopo tanti anni in cui sei sempre lì cercando di arrivare al match il più carico possibile, arriva un momento in cui devi un attimo scaricare la tensione, in modo da rilassarti un po’.
C’è stato anche un periodo in cui non ascoltavo completamente nulla, e magari mi concentravo sui suoni dello spogliatoio, come il fruscio dei vestiti, il rumore dei tacchetti, le parole.

Nel mondo del calcio hai trovato qualche compagno con cui condividere la tua musica?

Personalmente ne ho conosciuto uno, si chiama Luigi Giorgi e ho giocato con lui al Siena nel 2011. Sa suonare la chitarra ed è estremamente appassionato di musica alternativa. Con lui è capitato e capita ancora di scambiarci qualche consiglio musicale o qualche disco. Ricordo che gli regalai un album di St. Vincent e da lui ricevetti Slave Ambient dei The War on Drugs, davvero bellissimo. Arrivò nel mercato di gennaio, era di fianco a me e dopo pochissimo iniziammo a parlare di musica; abbiamo continuato così per sei mesi.
È stato curioso, non mi era mai capitato prima.

E invece hai qualche racconto divertente in merito a compagni che ascoltavano musica totalmente differente dalla tua? Non so, magari qualcuno che ha avuto da ridire sulla roba che ascoltavi tu…

Se cominciavo a mettere su la mia musica, ero totalmente preso di mira. Sono comunque gruppi ostici, è normale che possano non piacere, ci può stare. La regola credo sia la musica pop, sono io che ho preferenze un po’ più particolari; in ogni caso, non mi offendevo. Una volta sono riuscito a far ascoltare gli Animal Collective e negli ultimi anni ad Alessandria, quando entravo in palestra, provavo a mettere alcuni dei miei brani. Anni fa avevo scritto un articolo per L’Ultimo Uomo in merito a questi tentativi.

A proposito di articoli, vediamo che sei impegnato con la scrittura, prima col tuo blog, poi con il tuo libro Un lavoro da mediano. Ansia, sudore, Serie A che è uscito lo scorso anno. Questa tua scelta di scrivere si è mossa già quando eri un calciatore professionista o è arrivata dopo il calcio?

Ho cominciato a scrivere a 31 anni facendo un lavoro sull’aspetto mentale della performance con una psicologa.
Lei mi ha incoraggiato a scrivere e quindi da lì sono nati il blog e infine il libro, ma avevo iniziato già prima che smettessi di giocare. Anche il fatto di scrivere è legato molto alla musica: quando scrivo, anche inconsciamente, prendo spunto da ciò che ascolto, come nel caso di quando ho scritto un racconto intitolato Dieci Minuti per l’antologia letteraria Per rabbia o per amore edita da 66th and 2nd. Tutto in fondo è collegato ed intrecciato.

Nei tuoi scritti hai parlato del periodo in cui hai sofferto una sorta di ansia e paura, e più in generale hai messo a nudo la tua umana debolezza e vulnerabilità, cosa che non accade spesso tra gli sportivi professionisti.
Come leghi quel senso di vulnerabilità alla musica che ascolti?

Credo sia un po’ difficile che un essere umano non abbia paura. Nel mio libro, per ansia intendo quello stato di attivazione insito prima di una gara a livello competitivo; l’ansia bisogna saperla modulare, ma senza di essa non può esserci una prestazione.
Sicuramente il legame che c’è tra la vulnerabilità e un certo tipo di suoni è dovuto al fatto che questi ultimi vanno più in profondità nelle cose, quindi l’animo umano può vivere un numero infinito di emozioni. Il fatto di essere vulnerabili e avere un determinato approccio alla musica fa parte della ricerca dentro sé stessi dei propri lati forti e anche di quelli deboli. Siamo esseri umani, bisogna andare incontro alle proprie difficoltà e saper accettare le proprie debolezze.

In merito all’ansia, non credo a quelli che si sentono superuomini; magari c’è un periodo in cui un fuoriclasse può sentirsi forte in tutto, ma sono momenti nel corso di una vita. Hanno ansia i ragazzi che giocano nelle serie minori e hanno ansia anche quelli che giocano ad alto livello; poi c’è chi è più forte e chi un po’ meno, è parte del carattere. Non credo però che nelle fragilità ci siano solo cose negative, anzi, spesso nelle persone fragili si possono scoprire tesori che magari altri non hanno.

Non credi che in ambienti sportivi come quello di una squadra maschile di calcio non esporre le proprie fragilità possa in qualche modo diventare un limite?

Guarda, vuoi o non vuoi, uno può sembrare forte ma magari interiormente sta vivendo dei momenti difficili e in un ambiente competitivo lo percepisci, al di là di quello che esponi.
Quando c’è grande competitività, c’è sempre chi fa leva sulle debolezze degli altri, fa parte della selezione per arrivare ad alti livelli e bisogna saperlo accettare.
Di certo però si può sopravvivere e si possono trovare strade alternative e chiavi per rendere al meglio.

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Per concludere, abbiamo chiesto ad Alessandro di mettere a punto una playlist con un brano a testa estratto dagli album che hanno accompagnato la sua carriera da calciatore.

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Last modified: 16 Settembre 2023