40 Watt Sun – Perfect Light

Written by Recensioni

La ricerca della felicità per gli eredi illegittimi dei Red House Painters.
[ 21.01.2022 | Cappio Records | slowcore ]

Qualunque cosa tu abbia perso
qualunque cosa lasci
qualunque sia il tuo unico desiderio soffocato
ogni volta che la notte si stringe
Ovunque tu sia, la luce arriverà.

Il trio londinese ex Warning ,classe 2009, al terzo full length abbandona definitivamente ma non completamente l’iniziale strada doom metal per dedicarsi con fermezza allo slowcore e dare senso agli innumerevoli parallelismi critici con Low e Red House Painters alzati in occasione del bellissimo Wider Than the Sky di sei anni fa. Sulla scia di quel disco, Patrick Walker (chitarra e voce), Christian Leitch (batteria) e William Spong (basso) che in questa occasione chiederanno aiuto a musicisti extra band ponendo le basi di un possibile modo alternativo di creazione della propria arte, tornano ad emozionarci con canzoni intime, lente, colorate da cenni di folk e country come già ascoltato nella fenomenale band di Mark Kozelek, cui i 40 Watt Sun si fanno ideali eredi.

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La voce di Walker, ormai classico del genere, aumenta la portata emotiva dei brani struggenti come mai già dalla bellissima opening Reveal. Canzoni che suonano come ascoltare racconti di un vecchio amico con le lacrime agli occhi che ci ricorda quanto eravamo felicemente tristi una volta, tanti anni fa.

Purtroppo l’incredibile pezzo d’apertura si pone su un gradino talmente alto che quanto seguirà non sarà della stessa stoffa, eppure il disco ha ancora tanto da raccontare. L’arrangiamento esageratamente minimale di Reveal prenderà corpo in alcuni dei successivi mostrandoci l’altro lato della bellezza malinconica di cui è intriso l’album. La seconda traccia è sul livello della precedente tanto che un inizio come questo ci ha fatto sperare in uno di quei dischi che capitano poche volte nella vita. Il seguito scivolerà senza la stessa intensità in uno slowcore a tratti fin troppo ridondante ma con diverse chiavi di lettura, non sempre immediate.

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La parte lirica non delude le attese: “Lascia che la vita mi sollevi sopra l’oscurità del mio disegno e piegami nella tua luce perfetta”. L’inserimento di elementi chamber folk e country può far solo bene alla musica dei britannici che altrimenti rischia di impantanarsi nei cliché del genere che qui sembra voler essere dipinto con decisione quasi a marcare definitivamente l’abbandono al mondo doom. Se il precedente Wider Than the Sky rappresentava il ponte, questo Perfect Light non è altro che il primo passo di una nuova via, un passo non sempre fermo e puntuale ma certamente potente e restio a perdere forza.

In Perfect Light le “lungaggini” apparentemente inutili – presenti, ad esempio, in conclusione di Reveal – altro non sono che strumenti per scavarci nel cuore come un mantra, come una goccia d’acqua che scava la roccia, con calma, senza che nulla vada in frantumi, creando un solco armonico che riveli qualcosa di profondo. Ma non solo di emotività si tratta perché in brani come The Spaces in Between proprio l’eccessiva lunghezza diventa lo strumento utile per dare maggiori sfaccettature alla musica, con delle variazioni che molto devono alle derive folk dei Red House Painters.

Altro artista cui la band sembra trarre profonda ispirazione, specie nel lavoro chitarristico di Walker, è Sparklehorse, come evidente in Until, ma insistere nei paragoni è sminuire il valore stesso dell’album oltre che errare per via della semplicità di un genere che non agevola il compito di chi debba fregiarsi di originalità. Nella seconda parte, l’album sembra perdere intensità fino alla conclusiva Closure, creando una ideale spaccatura qualitativa nel disco che rende antipatico e complesso un giudizio omogeneo.

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Per sua stessa natura, Perfect Light è opera che non può essere valutata senza tener conto degli aspetti emozionali e queste canzoni hanno lo straordinario pregio di raccontare l’animo di chi le narra ma, nello stesso tempo, alzare il velo che separa la parte più superficiale della nostra coscienza dalla più intima, quella in cui si nasconde la tristezza e dove seppelliamo i desideri che sappiamo ci farebbero felici. Del resto non c’è nulla di più banale della felicità eppure è l’unica cosa che conta, essere felici.

Prendi ciò che è rimasto dietro i miei occhi.

Qualunque cosa tu possa trovare

perfezionala e rendila qualcosa di bello.

Ma la felicità non è qualcosa che si può raggiungere e mai lasciare, non è un obiettivo immutabile, non è un traguardo o un momento che si può fissare nel tempo a lungo. La felicità è solo un attimo nella nostra vita e sta a noi capire come riempire la nostra vita di tanti piccoli attimi di felicità; perché pensare di poter essere felici sempre e per sempre, cancellando dolore e sofferenza è solo negare la natura stessa dell’uomo. “Niente in questa vita è immutabile”: che sia nel bene o che sia nel male.

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Un disco come questo ha la capacità di ricordarci quanta sofferenza ci sia nella nostra vita ma anche che tra tanta sofferenza, c’è sempre il modo di infilare istanti in cui possiamo essere così felici che ci viene da piangere, attimi intensi in cui la nostra felicità è capace di brillare come una luce perfetta. La luce arriverà, se lo vorremo, ma sarà fatta di tante piccole luci perfette.

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Last modified: 5 Febbraio 2022