REM Tag Archive

3 dischi ••• Aoife Nessa Frances • Country Feedback • Huge Molasses Tank Explodes

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Tra le uscite di venerdì scorso, due ottimi esordi e un sophomore che non delude.
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Luna Park è il nuovo disco di Davide Solfrini

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“Riviera Noir”. Se fosse un romanzo, potremmo descrivere così il nuovo lavoro di Davide Solfrini, che ci porta in una riviera adriatica lontana dai riflettori, dalle luci di un “Luna Park”, giusto per citare il titolo, in un insieme di storie sospese nel tempo, ognuna con un suo mondo sonoro di riferimento. Un piccolo mondo stretto, caotico e talvolta grottesco, dove le storie degli individui si accalcano nel poco spazio ed al contempo si perdono e appassiscono. Per questo nuovo lavoro il cantautore prosegue nel suo percorso musicale tra influenze americane, REM, Dream Syndicate, Grant Lee Buffalo ed alcuni elementi New Wave, nuovi spunti, tutti al servizio della canzone e del testo. Davide Solfrini ha suonato il disco quasi interamente da solo, dividendosi tra diversi strumenti, come chitarre, elettriche ed acustiche, piano, tastiere, programming, con la collaborazione di Gabriele Palazzi Rossi e Francesco R. Cola alla batteria, Paolo Beccari all’armonica ed Omar Bologna alla chitarra. Dal vivo Davide Solfrini proporrà i brani in diverse vesti, in versione acustica da solo o accompagnato da Omar Bologna, per i live invernali o con la band al completo per l’Estate 2015. Luna Park il nuovo album dal 20 Gennaio 2015 in CD ed in tutti gli store digitali da New Model Label.

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Evacalls – Seasons

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Piove sempre, sembra non esserci più nessuna soluzione. Scariche elettriche cadono dal cielo plumbeo, l’elettronica degli Evacalls contraddistingue positivamente l’esordio discografico Seasons. Un sound proveniente dagli anni 80 ma visibilmente riadattato alle moderne concezioni di suono, campionamenti rincorsi dalle chitarre e sinth in continua evoluzione. Diventa tutto molto chiaro già dal primo pezzo “The Second Winter of the Year”, un titolo premonitore di quello che stiamo vivendo in questo particolare cambiamento climatico. La voce prende gran parte della scena, a volte sembra somigliare a quella di Paul Banks, ma è soltanto una questione di sensazioni, soprattutto causate dalle aperture delle canzoni come nel caso di “Give me a Reason”.

Gli Evacalls provano a personalizzare un genere strasuonato, un genere maltrattato negli ultimi anni, un sistema di fare musica diverso dai soliti preconfezionati pacchetti commerciali. Seasons suona otto tracce completamente diverse tra loro, ogni canzone contraddistingue una volontà d’espressione, il cuore salta in gola durante l’ascolto di “No Silneces”, apertura alla Joy Division. Poi tanta emozionalità e la voce riesce ad intraprendere uno stile decisamente Post Punk. Basso energico e sinuoso nella più sensuale “Two Lines”, le chitarre suonano alla Rem primo periodo, il risultato è piacevole ma forse troppo semplice e già suonato. E’ il rischio da correre quando si rielabora musica “datata”, si rischia di assomigliare troppo a qualcun altro, si rischia di lavorare invano senza ricevere gloria. Preferisco di gran lunga la parte elettronica Post Punk degli Evacalls, in quella circostanza riescono a dare il meglio della loro produzione, riescono a creare delle ottime canzoni evitano banali sgambetti. Infatti, in “Mondey” ritrovano la loro dimensione, riescono a riprendersi la fetta d’orgoglio che gli appartiene. Il resto è composto bene ma non regala neanche una piccola briciola di soddisfazione. Seasons è un disco che potrebbe piacere a tutti, gli Evacalls non sono una band capace di creare tendenza, sono capaci di svariare in tanti generi e quindi abbracciare varie tipologie di pubblico. Ho provato delle belle sensazioni soprattutto nella parte iniziale del lavoro, alcune cose mi sono piaciute parecchio e altre meno ma nel complesso Seasons merita di essere apprezzato. Gli Evacalls hanno tutto il tempo necessario per dimostrare di aver messo apposto le idee e di crearsi una propria identità musicale.

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“Diamanti Vintage” Rem – Document

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I REM,  band capitanata da Stipe,  ha già forzato i pareri critici del popolo underground americano, è riconosciuta in tutti gli stati ove ci sia un ballroom per suonare rock, in ogni piazzale di un college dove poter giostrare in santa pace accordi e melodie elettriche, ma si rimaneva comunque nel seminterrato della notorietà, ancora aggrappati al mondo degli outsider, e occorreva un qualcosa per fare il grande salto, il passo grande verso l’uscio “di casa”.
Prova e riprova arrivano ad incidere dischi di ottimo livello, ma sempre lì ad un centimetro dal tutto; l’occasione gli viene data dal produttore Scott Litt, e nasce “Document” il quinto di carriera e picco discografico che li catapulta immediatamente nel giro che conta, un disco che non suona solamente ma parla di politica e di diritti civili, un registrato che fece e fa spessore culturale oltre ogni limite di ascolto, e che tutt’ora rimane il manifesto “programmatico” dei REM per tutti gli anni a venire. Canzoni che rimangono appese alla storia del rockerama mondiale, canzoni destinate a cambiare per sempre gli obiettivi sonori dell’accademia alternativa di milioni di altre band e che praticano la libertà ed i sogni di generazioni che vogliono finalmente esibire i loro ideali di autodeterminazione.
Michael Stipe alla voce, Peter Buck chitarra, Mike Mills basso e Bill Verry alla batteria, sono un “quadrilatero” di poesia che si aggancia immediatamente ai refrain, quelle quasi filastrocche che si attaccano all’orecchio come un tic e che non se ne vanno più, e con queste nove tracce realizzano un disco il cui suono diventa il marchio e il modo di dire “suono alla REM”, il simbolo universale di una classe unica e mai contestata; pop alternativo e nomade, rock espansivo e quadrato, tutte caratteristiche che porterà la band di Athens (Georgia) a vendere cifre da capogiro, ma non si montano la testa, riescono a rimanere loro stessi convincendo chiunque con quel mood di semplicità che li contraddistingue. Document è un disco di rinnovamento, un distacco sonoro dai precedenti lavori che apre un nuovo corso ed una nuova “inquietudine” per tanti rivali e per altrettanti detrattori, ma la storia cancella tutto e rimangono nell’aria gli inni contro i privilegi e le assurdità “Finest  Worksong”, “Welcome to the occupation”, la rivisitazione del brano degli WireStrange”, oppure chi non ha mai versato una lacrima ascoltando “Fireplace” o cantato a squarciagola sudando e gioendo a mille con “It’s the End of the world as we know (and I feel fine)” e “The one I love”?   Nessuno può dire di no.

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