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Frank Sinutre – Musique pour le Poissons

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Isi Pavanelli e Michele K. Menghinez sono i due mantovani che hanno dato vita a questo strampalato progetto dal nome in stile Rock Band demenziale. Sono loro i Frank Sinutre e sono loro a costruire l’Elettronica che ne consegue, a partire dalla materia prima, perché tanti degli apparecchi utilizzati per produrre suoni, altro non sono che strumenti idealizzati o messi insieme dallo stesso Isi Pavanelli. Pensiamo al reactabox (un controller midi che funziona con dei cubetti, ispirato a reactable) o al drummabox (una drum machine acustica basata su arduino). La loro arte, dunque, si mischia con la tecnica e si amalgama anche con le altre arti, perché se è vero che già in passato i due si erano confusi col teatro (La Colpa della Leonessa), questa volta sono andati oltre e, insieme a Musique pour le Poissons, potrete pescare un libro di narrazioni inedite scritte dallo stesso Michele K. Menghinez, dal titolo Racconti per Pesci dal Mare d’Aria, che non è congiunto a filo serrato con le undici canzoni, ma è un ottimo complemento, non certo il massimo per i più pedanti letterofili, ma sicuramente apprezzabile da chi ama scivolare nelle parole e farsi trasportare in una certa malinconia esistenziale.

L’Elettronica dei Frank Sinutre è una miscela beffarda di Dub, Ambient, Lounge e Reading Elettronici con voci in base e un esempio chiaro di cosa descrivano e vogliano essere è dato dalla rivisitazione di “Oye Como Va” la quale salta a piedi pari dall’omaggio al rinnovamento passando per una certa impalpabile ironia capitale che sembra sempre presente, anche quando non si sente. Musique pour le Poissons ha una sobrietà talvolta esasperata, tanto che alcune sezioni ritmiche e linee di basso paiono insuperabili per condurre Giovanni Muciaccia in uno dei suoi attacchi d’arte (“Clock Never Stops”) ma al tempo stesso è capace di infiammare e accompagnare l’ascolto con ritmiche avvincenti (“Someone’s Dub”, “Passa”) ora con vigore (“Life Is Just Waiting for a Big Party”), ora con restaurata voglia di scrutare l’intimità umana (“Musique pour les Poissons”, “Two Sea Minutes”, “Please Visit Sermide”), magari sperimentando nuove strade sonore (“I Am Going to Do Nothing”) e sfruttando tutte le carte messe sul tavolo dalla strumentazione classicamente Rock unita alle innovazioni elettroniche. Sgradevolmente Indieggiante “Iolanda Pini”, con il testo parlato e non cantato su una base Elettronica in perfetta tendenza Offlaga Disco Pax ma con una timbrica certo meno intrigante e più mediocre e, similmente la conclusiva “Una Possibile Storia su Dio”, che concede qualche cosa in più al Post-Rock, regalando uno Spoken Word che più che a Max Collini, deve a Emidio Clementi (Massimo Volume).

La formula dello Spoken Word è sempre più una prassi nell’Indie Rock ma allo stesso tempo si sta trasformando in un’arma a doppio taglio e in questo caso rischia di essere lo stesso coltello che darà il colpo di grazia a una band che avrebbe tanto altro da dire. Non che questo linguaggio canoro, se cosi si può definire, sia l’unico problema del disco. Ci sono anche composizioni non eccessivamente convincenti come “Life Is Just Waiting For a Big Party”, qualche lacuna compositiva, non tanto tecnica quanto estetica e idee troppo confuse. C’è però anche tanta voglia di mettersi in gioco, di provare a superare i propri limiti, di non aver paura di esprimersi, nel modo che si ritiene più opportuno e tutta questa genuinità artistica trasuda negli oltre sessanta minuti di Musique pour les Poissons. Prima di scegliere il voto penso a questo e penso che il giudizio serve veramente a niente perché dentro la nostra musica c’è qualcosa, a volte, che non si può spiegare a parole, figuriamoci a numeri. E poi mi ricordo che però devo metterlo un voto ma voi non siete certo costretti a leggerlo, ascoltate l’album piuttosto.

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I Cani – Glamour

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Il vero dramma de I Cani è lo stesso dramma di Checco Zalone: la mancanza, nella risposta del pubblico, di una zona grigia, di una scrollata di spalle e un mezzo sorriso, di un tenere il ritmo col piede pensando ad altro, o leggersi i testi e rifletterci sopra senza poi ascoltarsi più di due pezzi in fila. Complicità e amore, o intensissimo odio. Il dramma di Glamour sta tutto lì: nell’hype, nel fenomeno che lo distorce e lo moltiplica e alla fine ce lo fa vedere come non è, ossia, alternativamente, la voce di una generazione o il male del secolo, che trascinerà nel pressapochismo e nell’hipsteria la nostra già malridotta scena (?) musicale. E invece questo Glamour non è altro che un disco come tanti, che ha delle belle cose (ma belle davvero) e altre un po’ meno (un bel po’ meno). A me, personalmente, la svolta intimista di Niccolò Contessa è piaciuta: si perde quell’espressionismo sociologico che ha reso Il Sorprendente Album D’Esordio dei Cani quello che è stato, ma si acquista in bitterness, che per un autore è manna dal cielo. I testi sono il punto di forza de I Cani (e, in fondo, lo sono sempre stati): niente di eccezionale, intendiamoci, siamo lontani dalle vere voci nuove che girano in Italia (per fare qualche nome sparso a caso: Iosonouncane, o gli Uochi Toki). Però Niccolò sa scrivere, o meglio, più che scrivere sa raccontare, raccontarsi, scoprirsi nudo, apparentemente sincero, strafottente, fragile e tagliente, di fronte a noi, nel bene e nel male. Già questo dovrebbe essere un buon motivo per rispettare il personaggio (che poi, certo, fa anche il furbo e si diverte con le mode, con il gergo, con la ruffianeria decadente, ma fa parte del gioco, e ci sta tutto).

Ciò che rende un po’ meno è l’impianto musicale generale, giusto una scusa per dire ciò che si deve dire in modo che la gente ci si muova sopra, poco o tanto che sia, che tenga il tempo con la testa, o che fischietti il motivetto. Per non parlare del lato vocale, ovviamente inesistente (non credo che qualcuno voglia definire Niccolò un “cantante”). Rispetto al primo disco c’è più profondità, grazie forse anche all’apporto produttivo di Enrico Fontanelli (Offlaga Disco Pax), ma siamo sempre dalle parti di qualcosa che se lo ascolti non lo ascolti per la musica (ma si può dire di tanta musica italiana di ieri e di oggi, e di per sé non è un male, è la media). Ecco, leggevo tempo fa un articolo sul cinema americano contemporaneo. Si diceva che ormai la critica (cinematografica) non serve praticamente più a nulla (ammesso che sia mai servita ma da qui si fa della filosofia). I blockbuster muovono maree di soldi, il marketing è aggressivo, la comunicazione assordante, il pubblico decide. Cosa vi posso dire de I Cani che già non sapete? Vi posso ripetere cosa ne penso io: checché ne sia della polarizzazione delle opinioni generali, a me Glamour sembra un disco come tanti altri, con brani che mi hanno convinto (“Roma Sud + Theme From Koh Samui”, che non si capisce proprio cosa c’entri qui dentro, o il cantautorato saldato al Noise di “Introduzione”, o il divertissement paraculo di “San Lorenzo”, dalle parti di un Samuele Bersani), e altri molto meno (“Corso Trieste”, una mutazione così così, o “Non c’è Niente di Twee”, ruffianissima e caramellosa).

Glamour lo ascolto anche un paio di volte, piacevolmente. Poi lo metto via. E, guarda un po’, non mi ha cambiato la vita. A voi?

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Diaframma – Preso nel Vortice

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Il tempo passa inesorabile per tutti, è inutile cercare di ingannarlo. I Diaframma dell’ormai super testato Federico Fiumani sembrano portare sulle spalle il fardello fastidioso della  primissima (e bellissima) New Wave italiana non senza qualche cedimento. A proposito, Siberia (disco che non ha bisogno di ulteriori presentazioni) quest’anno compie trent’anni ed esce con una edizione delux da veri intenditori nostalgici. Si era annunciata e poi subito smentita una reunion live con Miro Sassolini saltata (o forse mai accordata) a colpi di interviste e post su facebook che non possono fare altro che far sorridere noi sfegatati “fen”. Ma sorridere a volte non basta. Questo duemilatredici dalle condizioni climatiche impazzite porta alla luce l’ultima fatica dei Diaframma chiamata Preso nel Vortice e attesa non senza un filo di scetticismo vista la prolifica attività del Fiumani che sforna dischi come fossero pagnotte. E qui una situazione imbarazzante si viene a sovrapporre tra la mia curiosità (resa irresistibile dalla personale passione per la band) e la delusione con la quale non vorrei tornare nuovamente a fare i conti visti i deludenti dischi precedenti. La mia paura è giustificata dal fatto che non ascoltavo qualcosa di molto buono dal 1994, anno in cui usciva Il Ritorno dei Desideri fatta eccezione per il personalissimo Donne Mie del 2006 targato interamente Federico Fiumani e qualche altro rarissimo episodio rilegato a singoli pezzi di altri dischi. Bene ma siamo qui per cercare di analizzare Preso nel Vortice. Il primo ascolto è stato di una delusione impressionate, non riuscivo a trovare parole per quello che stavo ascoltando, pensavo e ripensavo a quale fosse stato un elemento positivo ma più mi sforzavo e più la mia mente produceva merda in quantità industriali. Ho veramente iniziato ad avere paura. Una altra delusione non era poi così impossibile, anzi. Poi mi sono ricordato che Federico Fiumani ha bisogno di fiducia e che quel mio terrorizzante ascolto non era altro che figlio dei miei insensati pregiudizi (alimentati dai precedenti lavori), dovevo recuperare quella maldestra situazione e rendermi conto velocemente del disco che potevo perdermi, la situazione era diversa dalle ultime volte e questo disco nascondeva sorprese, non sensazionali ma comunque piacevoli sorprese. Ascolto nuovamente e qualcosa  già sta cambiando, poi affino l’ascolto e le cose vanno sempre meglio. Preso nel Vortice inizia a prendere una forma degna dell’artista che lo ha scritto. Preso nel Vortice si apre con “Atm”, una genialata pazzesca con la capacità di passare in pochi ascolti da pezzo pietoso a pezzo importante, gli arrangiamenti sempre e comunque ridotti all’osso confermano lo stile compositivo che ormai appartiene al songwriter fiorentino. I testi sono sempre bellissimi e in “Claudia mi Dice”e “Luglio 2010” questa spietata caratteristica trova ancora consensi favorevoli come fosse la prima volta. Con la partecipazione di Max Collini degli Offlaga Disco Pax in “Ho Fondato un Gruppo” il disco vuole stringere compromessi con le nuove generazioni musicali mantenendo vivo il ricordo di vecchi compagni come Marcello Michelotti (Neon) e Alex Spalck (Pankow) che danno la loro partecipazione al disco. Poi tanto valore con le capacità artistiche di Gianluca de Rubertiis e Enrico Gabrielli. Esiste anche una canzone che per qualche assurdo motivo è dedicata all’ormai più show man che musicista Piero Pelù (“Ottovolante”), e con questa abbiamo cercato di accontentare veramente tutti.  Preso nel Vortice  non resterà alla memoria come il disco dell’anno e per quanto mi riguarda non trova spazio neanche nella top tre dell’ultimo mese, rimane comunque una piacevole riscoperta alla quale in qualche modo riesco a sentirmi legato, la continua voglia di Federico Fiumani di rimettersi in gioco non deve mai essere sottovalutata, lui è l’artista immortale che riesce a tirare fuori cose bellissime e cagate pazzesche con una disinvoltura allucinante, Preso nel Vortice rimane un disco senza paura ma purtroppo le cose inevitabilmente cambiano e gli eroi non sono sempre gli stessi.

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Nuovo disco per i Diaframma

Written by Senza categoria

Preso nel vortice esce il 22 ottobre! Alé!”. Sono queste le parole con cui Federico Fiumani annuncia  sul suo profilo Facebook  l’uscita del nuovo disco dei Diaframma contenente quattordici nuove tracce che, pur mantenendo lo stile degli ultimi anni, presenta numerose novità,  tra le quali la collaborazione con musicisti come Enrico Gabrielli dei Calibro 35 e Gianluca de Rubertis de Il Genio, e con cantanti come Marcello Michelotti dei Neon, Alex Spalck dei Pankow e Max Collini degli Offlaga Disco Pax. Intanto in occasione del trentennale, per gli amanti delle vecchie sonorità, è disponibile la ristampa di Siberia, indiscussa pietra miliare del Rock italiano, in una edizione limitata in 999 copie deluxe. Ad ognuno il suo Diaframma, insomma.

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Dimartino + Stazioni Lunari + The Electric Flashbacks

Written by Live Report

Note Sulle Ali di Farfalla @Teramo (Villa Comunale) 07/09/2013

La mente era lì che viaggiava verso il paradiso, pensando a Federica Moscardelli e Serena Scipione (due studentesse tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila nel 2009), per molti degli accorsi a questa manifestazione che, giunta alla sua quinta edizione, ha saputo fidelizzare il suo pubblico e creare anche un po’ di turismo culturale in una regione come l’Abruzzo. Per loro, e anche gli altri presenti, l’evento aveva quindi un sapore diverso rispetto al classico concerto Rock o al solito festival Indie.

Sembrava quasi, per citare parole alla Battiato “un rapimento mistico e sensuale” quello che sono riusciti a creare gli artisti che vi hanno partecipato. La sera del 7 settembre finalmente lo spettacolo “Stazioni Lunari” ideato da Francesco Magnelli (membro fondatore di BeauGeste, C.S.I. e PGR ed in passato collaboratore dei Litfiba) è approdato in terra abruzzese in occasione della quinta edizione di “Note Sulle Ali di Farfalla – Notte per Federica e Serena”, manifestazione di solidarietà che ha ospitato precedentemente artisti quali Afterhours, Marlene Kuntz, Bandabardò, Brunori Sas, Calibro 35, Offlaga Disco Pax, Bugo, I Cani e Pan Del Diavolo e che si svolge ogni anno a Teramo in ricordo delle due studentesse Federica Moscardelli e Serena Scipione, tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila.

scaletta dimartino

scaletta Dimartino

La cornice dell’evento è stata la Villa Comunale nel quale erano presenti anche stand alimentari, una mostra fotografica curata da Dante Marcos Spurio, un mercatino musicale, un’esposizione artistica di Massimo Zazzara, una di moda a cura di Joele, giovane stilista teramano, con i suoi figurini ideati appositamente per l’occasione e persino una di Alessandro Paolone con le sue creazioni astratte su cotone egiziano. La serata è stata aperta da Dimartino, gruppo musicale indie pop italiano originario di Palermo che prende il nome direttamente dal suo leader, il cantante e bassista Antonio Di Martino.

Qualcuno dei presenti probabilmente lo aveva già visto anche in occasione del Soundlabs Festival a Castelbasso (Te) essendo il target del pubblico lo stesso ma riascoltarlo dal vivo seppure per un breve set di dieci canzoni è stata un’emozione non da poco. La sua scaletta infatti includeva tutte le canzoni più conosciute del gruppo, da “Venga il Tuo Regno” a “Non Siamo gli Alberi” passando per “Poster di Famiglia” e “Maledetto Autunno”.

Dopo circa trentacinque minuti di spettacolo è stata poi la volta dell’attesissimo progetto Stazioni Lunari che in passato ha ospitato artisti del calibro di Bugo, Teresa De Sio, Piero Pelù (Litfiba) e  Daniele Sepe (per citarne solo alcuni) e che per l’occasione ha riunito oltre ai soliti Francesco Magnelli e Ginevra Di Marco, Cisco (ex Modena City Ramblers), Cristina Donà e Cristiano Godano (voce, chitarra e anima dei Marlene Kuntz). Il format è lo stesso di sempre, Ginevra di Marco a fare gli onori di casa, padrona in movimento da una stazione all’altra che determina successioni, movimenti e favorisce commistioni fra i diversi mondi musicali degli ospiti che sono disposte su tre pedane disposte su un palco con una scenografia tanto minimalista ed essenziale quanto attraente.

scaletta stazioni lunari

scaletta stazioni lunari

Lo spettacolo è aperto da “Del Mondo”, proveniente dal repertorio dei C.S.I. che recentemente hanno deciso di riunirsi senza il loro cantante Giovanni Lindo Ferretti per un breve tour che porterà Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Giorgio Canali e Massimo Zamboni in giro per l’Italia fino a dicembre accompagnati alla voce dalla carismatica Angela Baraldi.

Tornando invece alla serata del 7 dicembre c’è da dire che massiccia è stata la partecipazione del pubblico che si rivelerà sempre educato e composto (nessun tentativo di pogo, neanche durante i pezzi più animati). La scaletta in questo caso ha incluso invece pezzi provenienti dal repertorio dei singoli artisti (ad esempio “Lieve” e “Trasudamerica” dei Marlene Kuntz) e persino un sentito omaggio al genio musicale di Lucio Dalla (“Com’è Profondo il Mare”) e brani tradizionali della nostra penisola.

Gradita ed inaspettata sorpresa è stata la ricomparsa sul palco verso la fine del concerto di Antonio Di Martino che ha voluto lasciare così un suo ulteriore contributo alla serata che si è conclusa con l’esibizione al laghetto della Villa Comunale del nuovo progetto di  Tito, leader dei Tito & the Brainsuckers, The Electric Flashbacks e con un dj set a cura di VxVittoria C. & Marco Mattioli (COSEPOP). “Note su ali di farfalla – Notte per Federica e Serena” quest’anno ha supportato il centro antiviolenza “ La Fenice”, di cui è intervenuta anche una rappresentante che ha spiegato le attività che svolge durante una breve intervista.

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Rock contest 2013: esce il bando!

Written by Senza categoria

E’ stato pubblicato il bando della 25a Edizione del Rock Contest, il più longevo e importante concorso nazionale per gruppi emergenti organizzato da Controradio e Comune di Firenze. Tra i tantissimi artisti e band ormai affermate che hanno calcato i palchi del Rock Contest di Controradio possiamo citare (dagli anni ‘80-’90 in poi) Roy Paci, Bandabardò, Irene Grandi, fino alle più recenti scoperte, Offlaga Disco Pax, Samuel Katarro/King Of The Opera, Denise, The Hacienda, Blue Willa. Tutto l’iter del concorso è finalizzato alla crescita professionale ed alla esposizione mediatica dei gruppi: promozione radiofonica attraverso il circuito Controradio – Popolare Network, il web, i concerti in Italia, brani sul cd Rock Contest, giorni di studio di registrazione, i contatti diretti con gli addetti ai avori (discografici, giornalisti, promoter) promozione stampa (riviste musicali e siti web nazionali), distribuzione digitale dei CD dei gruppi tramite Audioglobe/Orchard, possibilità di produzione del CD d’esordio. La partecipazione al bando è assolutamente gratuita e sono previsti rimborsi per i gruppi che provengono da fuori Toscana (l’iniziativa si svolge a Firenze). La serietà del contest è garantita dalla presenza di nomi autorevoli in giuria, presieduta quest’anno da Mauro Ermanno Giovanardi. Per ulteriori informazioni, visitare il sito. Affrettatevi: il bando scade il 20 settembre.

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Starlugs – The Rite And The Technique

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C’è un paese, una città meglio, visto che conta cinquantaquattromila novecento otto abitanti ed è capoluogo di provincia, che ha generato in me contemporanee scariche d’intenso odio e amore, nel corso dell’ormai decrepito 2012. Da abruzzese, che per tutti i dodici mesi ha fatto la spola tra Pescara e l’entroterra (molto “entro”) aquilano, Teramo è stata sofferenza e diletto, tormento e soddisfazione. Ho visto una moltitudine di band emergenti nascere sotto le pendici del Gran Sasso mentre io, a Pescara, continuavo a vagabondare per locali danzanti, metallari e Dj Rock (sì, esistono i Dj rock, che cazzo credete?) cercando un gruppo che non c’è, o forse c’è ma ai pescaresi non gliene frega un cazzo. Tante manifestazioni sonore si sono tenute nel teramano, come le esibizioni live di Calibro 35, Bugo, I Cani, gli Offlaga Disco Pax. Cosi, se da un lato vedere l’esplosione di band come gli String Theory (che ho inserito nella mia top three annuale) stava facendo crescere in me l’amore e l’interesse per un territorio fino a ora quasi sconosciuto, dall’altro, vedere la facilità con la quale la gente del posto riesce a ignorare il dilagante fenomeno (il tutto si può notare con la scarsa partecipazione del pubblico ai diversi eventi programmati nella zona) mi fa una rabbia bastarda.
La mia ultima scoperta si chiama Starslugs. Ho il loro disco autoprodotto tra le mani, The Rite And The Technique e guardandolo mi rendo conto che quest’ammasso circolare di policarbonato non mi regalerà certo le dolci note di un pop cantautorale rassicurante e delizioso. Sotto il nome della band sono scritte in inglese le parole “One Straight Line -Do It Yourself” (una sorta di mini manifesto generazionale di una certa cultura punk underground nata negli anni ottanta e che mirava innanzitutto al rifiuto della major per poi diventare un vero modo di vivere) e più in basso, al centro della copertina, mi sembra di vedere un nero che con un ghigno a metà tra dolore e gioia, è intento a trapanarsi le cervella. Ancora più giù, sotto l’indicazione del nome dell’album, un altro sottotitolo nella lingua della regina d’oltremanica recita “una breve storia d’impressioni rubate da un ambiente ostile”. Diciamo che sembrano esserci tutte le premesse per non sperare di rilassarsi tranquilli durante l’ascolto.
Nella parte di dentro del libretto, a rincarare la dose, troviamo di fianco alla tracklist, l’immagine di un fucile smontato, di quelle che si trovano nei libretti d’istruzione, con tutti i numeri sopra ogni pezzo e in basso, ancora una volta in inglese, l’invito a copiare e diffondere l’opera ma non a rubare le idee contenute all’interno. Finalmente mi sento pronto a schiacciare quel pulsante e trasformare la guerra fredda della mia attesa in una pioggia di bombe soniche.
Intanto che ascolto, vi racconto chi sono gli Starslugs. Nati poco più di cinque anni fa in Abruzzo, sono semplicemente un duo (che si definisce Punk-Noise) composto da Danilo “Felix” Di Feliciantonio e Pierluigi Cacciatore, ai quali si aggiunge un batterista che viene dal passato chiamato drum machine Roland TR707 (il suo nome preciso sarà strettamente legato alla musica, come poi vedremo). Scrivono i pezzi nella lingua di Poe e Bukowski e la cosa è un bene (anche se i puristi, fascisti, nazionalisti magari, non la penseranno cosi) perché è il modo migliore di applicare la voce a questo tipo di suono in frantumi. La voce è come la tecnica e la bravura applicate a un qualsiasi strumento. Un chitarrista nel suonare mette insieme le sue capacità con la chitarra che preferisce per il tipo di suono che emette. Cosi chi canta, mette insieme le sue doti con lo strumento, rappresentato nel qual caso, dalla lingua scelta. Ogni lingua come ogni chitarra può essere più o meno adatta a un certo tipo di musica.

Ho finito di ascoltare il disco e lo riascolto ancora e ancora. Nel brano iniziale “Body Hammer” entra subito in scena la Drum Machine e lo fa in un modo che adoro. Martellate ossessive, ripetitive, lineari, quasi marziali preparano l’ingresso alle chitarre che sferragliano come motoseghe impazzite e alla voce che, per quanto possa essere lontana dal concetto platonico di bello assoluto, è perfetta nel suo trascinarsi contorta nello stile del grande Steve Albini. Ci siamo, ecco svelato il trucco. La presenza non della drum machine ma proprio di quella drum machine era un indizio troppo grande. Sull’opera degli Starslugs si staglia imponente l’ombra dei Big Black, la creatura Noise Rock, Post-Hardcore nata negli anni ottanta proprio dalla mente genialmente contorta di Steve. La sua creatura che più ho amato e apprezzato nel corso della mia vita. Aspettate, però, a giungere a conclusione. Non pensate di essere di fronte a una band di “copioni” che volevano provare a fregare un pubblico magari ignorante in materia. La storia è un’altra.
Il secondo brano “Nuke”, il mio preferito, è uno di quei pezzi che ti mette voglia di ascoltarlo ogni fottuto giorno che avresti voglia di spaccare il culo al mondo; inizia con echi vocali di stile industriale e il solito ritmo tormentato, ma quando entrano in scena le corde, ti rendi conto che questi ragazzi hanno capito come pugnalare le orecchie in modo masochisticamente piacevole. Mentre la voce si limita a urlare lamentosa, chitarra e basso creano melodie strepitose che ti entrano nel cervello come un cancro.
Se “Sad Sundays “ accelera il ritmo mantenendo intatta la natura Post-Hardcore degli Starslugs, con le successive “Sense Of Tragic” e ancor più “Betamax” e “Justice”, un sospetto diventa certezza. Dentro il tormento delle ritmiche di questo The Rite And The Technique c’è un’altra band che probabilmente, rispetto ai Big Black, saremo in meno a conoscere.  Le atmosfere tribali rievocate nel disco sono le stesse già raccontate dai Savage Republic, band Post-Punk californiana contemporanea dei Big Black, autrice di uno dei migliori lavori nel suo genere chiamato Tragic Figures (la formazione è ancora in attività e lo scorso anno ha prodotto Βαρβάκειος). La cosa che fa piacere è che, dopo aver ascoltato il disco e aver notato i chiari riferimenti ad Albini e i più nascosti alla band di Bruce Licher e Jackson Del Rey, sono andato a leggere la biografia della band teramana e questi due nomi sono gli unici inseriti nei loro riferimenti. Ciò significa due cose. Che, innanzitutto, gli Starslugs dimostrano una notevole onestà intellettuale citando in maniera schietta i loro riferimenti (calcolando che probabilmente il grande e ottuso pubblico non li avrebbe neanche riconosciuti, potevano fare i furbi e sottintendere i riferimenti). Infine, che, se volevano rifarsi a due grandi nomi del passato, l’hanno fatto in maniera egregia, riconoscibile. Il loro sound sembra la degna prosecuzione dell’operato dei due grandi gruppi degli anni ottanta e non una loro pessima copia e tutto questo è dovuto non solo alla loro bravura puramente tecnica e compositiva ma anche a tutto il lavoro di ricerca della strumentazione vintage fatta dai due. Il risultato è perfetto.
In “Uranus” sembrano riaffacciarsi (vedi “Nuke”) delle reminiscenze industriali, dark ambient proprie del movimento nato dalla mente di Genesis P-Orridge e i suoi Throbbing Gristle. Circa cinque minuti di note lente e ripetitive, quasi come una messa funebre in una chiesa sconsacrata. Non c’è nessuna parola ad accompagnare la voce. Solo corde acide e stridenti che pesano come il peccato originale nel cuore del nostro spirito.
Una voce meccanicamente in loop apre “Willie”, altro brano in classico stile Big Black che presenta una melodia nascosta tra il rumore, di quelle che non si scordano facilmente, mentre chiude l’album “Mishima”, l’ultima esplosione atomica, l’ultimo tassello della mia guerra fredda interiore, la bomba H che ha distrutto l’umanità nella mia anima.
Gli Starslugs non hanno sono preso Big Black e Savage Republic per rielaborarli e proporli con fredda imitazione. Hanno invece continuato un percorso tribale e rumoristico iniziato con Atomizer e che non poteva evidentemente concludersi nel 1992. Hanno ripreso la strada di un sound cosi semplicemente straordinario da essere fuori dal tempo, da essere talmente immediato e identificabile anche nel suo essere elementare. Sono stati capaci di creare melodie da materia tagliente e sanguinante come il Noise-Rock. È per questo che gli Starslugs mi sono piaciuti cosi tanto pur essendo probabilmente la band meno originale ascoltata negli ultimi dodici mesi. Perché la loro è una sorta di opera di recupero di sonorità che altrimenti sarebbero andate perdute nell’oblio dell’ignoranza.
Gli Starslugs hanno deciso di continuare la strada ideale di chi al mondo ha risposto con un beato vaffanculo.

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Bugo

Written by Interviste

In occasione del festival “Note su ali di farfalla” (https://www.rockambula.com/note-su-ali-di-farfalla-notte-per-federica-e-serena/), serata di beneficenza dedicata a Federica e Serena, le due studentesse teramane scomparse sotto le macerie del terremoto aquilano, abbiamo avuto il piacere di regalarci e regalarvi un intervista con uno dei protagonisti della serata che si è tenuta a Teramo venerdi 07 settembre. Insieme a lui, hanno partecipato ad uno dei più attesi eventi live del centro Abruzzo, Calibro 35, Offlaga Disco Pax, I Cani, Amelie Tritesse e Gesamtkunstwerk. Ma ora godiamoci la solita ironia, sagacia e candida follia del menestrello che viene dal nord. Signore e signore, ecco a voi Cristian Bugatti, in arte Bugo.

Ciao Bugo. Per prima cosa, come stai?

CIAO, ORA STO SDRAIATO.

Difficile che il nostro pubblico non ti conosca. Impossibile direi. Ma oltre il personaggio chi è Cristian Bugatti e chi Bugo?

GUARDA, A DIRE IL VERO IO NON MI CONOSCO. E’ TUTTA LA VITA CHE CERCO DI CONOSCERMI!

Raccontaci come e perché è iniziata la tua carriera.

NON PARLO MAI IN TERMINI DI CARRIERA. E’ LA PAROLA “CARRIERA” CHE NON MI PIACE, NON MI CI RITROVO. E’ UNA DI QUELLE PAROLE COME “CURRICULUM” CHE SERVE SOLO PER RUFFIANARSI LE PERSONE. HO INIZIATO AD AVVICINARMI ALLA MUSICA GRAZIE AD ALCUNI AMICI DEL MIO PAESE CHE AVEVANO UNA BAND. UN GIORNO ALLE PROVE MI CHIESERO DI PROVARE A SUONARE LA BATTERIA, MI VENNE NATURALE E COSI INIZIAI. DOPO DUE ANNETTI HO COMINCIATO A SCRIVERE CANZONI E HO ABBANDONATO LA BATTERIA. HO FORMATO UN GRUPPO NEL 1994, I QUAXO, CHE HO SCIOLTO DUE ANNI DOPO PERCHE’ MI SONO RESO CONTO DI ESSERE ALLERGICO ALLE DINAMICHE DI GRUPPO E VOLEVO CONTINUARE DA SOLO.

È ancora l’amore per quello che fai che ti spinge a continuare? Considerando che hai all’attivo otto album, oltre a diverse collaborazioni e altro, non pensi che, a un certo punto, le idee possano esaurirsi?

LE IDEE SI ESAURISCO SEMPRE, E PER FORTUNA, ALTRIMENTI AVREI IL MAL DI TESTA! E’ PER QUESTO CHE CERCO SEMPRE NUOVE SOLUZIONI, PERCHE’ SE SCOPRO UN’ IDEA CHE FUNZIONA E PROVO A REPLICARLA, MI VIENE SEMPRE FUORI UN PASTICCIO. LE IDEE VANNO E VENGONO, ALCUNE FUNZIONANO, ALTRE NON VANNO PROPRIO.

Nel corso degli anni, ho notato una sorta di evoluzione melodica a discapito delle sperimentazioni lo-fi degli esordi. Come mai questo mutamento pop?

IO HO SEMPRE FATTO POP. NON HO MAI CONSIDERATO LA MIA MUSICA COME MUSICA SPERIMENTALE. ANCHE UNA CANZONE COME “SPERMATOZOI” E’ POP. SOLO CHE ALL’ INIZIO AVEVO POCHI MEZZI E LA QUALITà SONORA ERA QUELLO CHE ERA. IO CERCO DI NON RIPETERMI, CERCO DI LAVORARE IN TERRENI IN CUI NON MI SENTO SICURO.

Quest’anno hai duettato con Enrico Ruggeri nel brano “Il lavaggio del cervello” contenuto nell’album “Le canzoni ai testimoni” nel quale Ruggeri canta con diversi esponenti della nuova musica italiana (Dente, Linea77, Marta sui Tubi, ecc…). Come nasce questa collaborazione? Può essere la base per qualche progetto futuro o un episodio isolato.

CREDO CHE SARà UN EPISODIO ISOLATO, A MENO CHE RUGGERI NON VOGLIA FARE UNA COVER DI BUGO!

Come è nato il tuo ultimo album “Nuovi Rimedi Per La Miopia”?

E’ NATO DURANTE IL TOUR DI CONTATTI, NEL 2009. CI HO LAVORATO PER OLTRE UN ANNO E L’ HO COMPLETATO E CONSEGNATO AD UNIVERSAL NELL’ ESTATE DEL 2010. VOLEVO UN DISCO DIVERSO DA CONTATTI.

Torniamo a qualche anno fa. Parlami della splendida “Amore Mio Infinito”, ispirata al romanzo di Aldo Nove e presente nell’album del 2006 “Sguardo Contemporaneo”.. Scrivi spesso le canzoni ispirandoti a opere letterarie?

NO, IN GENERE NO. PERò ALL’ EPOCA AVEVO LETTO QUEL LIBRO DI ALDO E MI AVEVA COLPITO L’ AMORE DEL BAMBINO PER LA BAMBINA. E IO NON AVEVO ANCORA SCRITTO UNA CANZONE CON UN TESTO COSI “INFANTILE”.

Quando, con quale disco o canzone, in quale circostanza hai capito che avresti vissuto di musica?

CON “CASALINGO”. L’ HO SCRITTA NEL 1998 MA HO ASPETTATO IL MOMENTO GIUSTO PER PROPORLA.

Il vecchio tormentone/paragone con Beck (che oggi non ha più senso) ti ha più lusingato o infastidito, nel corso degli anni?

ENTRAMBE LE COSE.

Una delle cose che ho sempre trovato affascinante nel tuo modo di scrivere è l’attenzione per le piccole cose apparentemente insignificanti e la capacità di cantare la generazione della disillusione. Nel tuo ultimo album, “Nuovi Rimedi Per La Miopia”, ho notato invece una sorta di aria di speranza e tematiche più sentimentali e adolescenziali. Sembra che il giovane Bugo di qualche anno fa puntasse paradossalmente a un pubblico più maturo rispetto all’artista di oggi. Non è più il Bugo di “Spermatozoi” (che adoro) e mi è difficile immaginare un pezzo come “Comunque Io Voglio Te”, come un pezzo di quel Bugo? Chi o cosa ti ha cambiato? Stai ringiovanendo?

IO NON VOGLIO RIPETERMI, NON HA SENSO PER ME RISCRIVERE UNA CANZONE COME “SPERMATOZOI”. RIMANE UN BRANO UNICO PERCHè NON NE HO MAI RIFATTO UNO SIMILE. IO CERCO DI IMMAGINARMI NUOVE IDEE. NON AVEVO MAI SCRITTO UNA CANZONE IN CUI MI IMMAGINAVO UNA SORTA DI PERSONAGGIO CHE FA IL DURO E DICE CHE L’ AMORE è UNA SCELTA COME IN “COMUNQUE IO VOGLIO TE”. IO VOGLIO ESSERE SEMPRE DIVERSO, PERCHè DENTRO DI NOI ABBIAMO TANTI LATI, SIAMO DEI MULTIPLI. IO NON HO NULLA A CHE FARE CON LE TEMATICHE ADOLESCENZIALI, NON MI SONO MAI INTERESSATE. E NEL NUOVO DISCO NON C’è TUTTA QUESTA SPERANZA CHE TU CI VEDI. LA VITA è VANITà , E SEMPRE SARà COSI PER ME.

Che rapporto hai con il tuo pubblico? Oltre ai tuoi fan, ci sono ancora gli oppositori violenti (non necessariamente in senso fisico) che mi è capitato di vedere a qualche tuo live? Da dove viene quest’astio da parte di alcune persone? Perché chi non ti apprezza si arroga il diritto di offenderti e non fa la stessa cosa con altri artisti? Perché succede a te e non a Dente o Brunori?

SE DECIDI CHE VUOI ESSERE UN ARTISTA ALLORA PREPARATI ALLA CROCIFISSIONE. OGNUNO HA DIRITTO DI ESPRIMERE IL PROPRIO PARERE. IO NON SONO UN RUFFIANO, NON FACCIO MUSICA PER ACCONTENTARE GLI ALTRI, FACCIO LA MIA MUSICA E BASTA, CON TUTTI I RISCHI E LA FATICA CHE COMPORTA. CHI MI OFFENDE FA BENE, PERCHè ANCHE IO OGNI TANTO OFFENDO ME STESSO! ANCHE GLI ALTRI PERò DOVREBBERO OFFENDERE SE STESSI!!

C’è molta più elettronica nella tua musica. Scelta dettata dalla necessità evolutiva o cosa?

L’ ELETTRONICA FA PARTE DELLA MUSICA DI OGGI, NON POSSO FARNE A MENO E HO ANCORA TANTO DA SCOPRIRE.

Pensi di aver avuto dalla musica tutto quello che ti spetta?

NO! VOGLIO FARE UN DUETTO CON JIMI HENDRIX!

Che musica ascoltavi da ragazzo e cosa ascolti oggi? L’ultimo disco ascoltato e il tuo preferito?

HO INIZIATO CON DURAN DURAN ALLE MEDIE, POI TANTO RAP AL LICEO, DA JOVANOTTI AI BEASTIE BOYS. POI IL ROCK AMERICANO E MAN MANO MI SONO FATTO ONNIVORO. ASCOLTO TUTTO RANDOM, SENZA PENSARCI TROPPO. L’ ULTIMO ALBUM CHE HO SENTITO E’ “COEXIST” DEGLI XX. UNO DEI MIEI PREFERITI, SE NON IL MIO PREFERITO, è “THE PIPER AT THE GATES OF DAWN” DEI PINK FLOYD.

Cosa ti piace e cosa odi della musica italiana, del sistema musicale e del pubblico, a mio avviso sempre meno capace di scegliere e condizionato da tv e radio, nonostante mezzi a disposizione molto più imponenti rispetto al passato (penso al web)? Siamo un popolo di pigri o di ignoranti?

SI, MA QUESTO NON è UN MALE SE RICONOSCIAMO DI ESSERE PIGRI E IGNORANTI.

Qual è il futuro della musica italiana? Come te lo immagini?

COME è SEMPRE STATA. DIVISA, OGNUNO A COLTIVARE IL PROPRIO ORTICELLO, NELLA SPERANZA CHE QUALCUNO PASSI E COMPRI I NOSTRI FRUTTI.

E cosa ne pensi della scena Indie? C’è qualcuno che non sopporti o che non merita il successo che ha? Ti avviso che a questa domanda mai nessuno ha fatto un nome. Sembra esserci molto rispetto reciproco, a “telecamere” accese.

AHAHA! IO NON SOPPORTO NESSUNO!! NEMMENO ME STESSO!

Ho notato una tua particolare attenzione all’aspetto estetico (vedi gli abiti che indossi nelle tue copertine) eppure questo non si riversa necessariamente nella tua proposta musicale, come accadeva per il Glam Rock. Che rapporto hai con l’apparire?

CI GIOCO, CON L’ APPARENZA. SE METTO UNA MAGLIETTA COOL DICONO CHE SONO UN FIGHETTO. POI METTO UN PANTALONE STRACCIATO DICONO CHE SONO UN BARBONE.  E’ TUTTO UN GIOCO.

Quale è il tuo sogno di musicista e la tua paura più grande?

NON VIVO DI SOGNI. LA MIA PAURA PIù GRANDE SONO SEMPRE STATO IO.

Pensi di dover dire grazie a qualcuno per essere quello che sei e di dover mandare affanculo qualche stronzo che ha provato a fermarti?

NESSUNO PUò FERMARTI, SE NON TE STESSO O LA MORTE. TROPPO FACILE DARE LA COLPA AGLI ALTRI.

Che rapporto hai con la critica musicale?

NULLO.

Qualche anno fa, hai suonato a pochi chilometri dal mio paese, nella suggestiva location dell’Eremo di Celestino V. Hai qualche ricordo particolare, bello o brutto che sia, di quella serata?

NON RICORDO NULLA!

Il tour “Qualcosa di più importante” è quasi alla fine. Il bilancio?

5 MORTI E 2 FERITI. LA MAGGIOR PARTE è SOPRAVVISSUTA.

Quali saranno i tuoi prossimi passi? Ora vivi in India con tua moglie, se non sbaglio. Dobbiamo aspettarci contaminazioni esotiche?

PUò DARSI, è PRESTO PER DIRLO.

Dimmi quello che avrei dovuto chiederti e non ti ho chiesto. Poi, se vuoi, rispondi.

COS’ HAI MANGIATO STASERA? RISPOSTA: PASTA AL BURRO!

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