Giulia Di Simone Tag Archive

Persian Pelican – How to Prevent a Cold

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How to Prevent a Cold è il secondo album di Andrea Pulcini (in arte Persian Pelican), ed esce a quattro anni di distanza dal disco d’esordio These Cats Wear Skirts to Expiate Original Sin. Le nuove canzoni nascono tra Roma e Barcellona e fermentano durante un anno di attività live proprio nella capitale catalana. Persian Pelican è un progetto di musica Folk manipolata geneticamente in cui cantautorato, Folk e quotidianità si mescolano per creare una magica atmosfera musicale in bilico tra il freddo della morte ed il calore dell’amore.

Apre il disco “Everyone With His Own Past” di cui è facile comprendere l’argomento, per poi proseguire con il singolo “There is no Forever For us”. Un brano dal video ironico che mostra il giovane artista in abiti da sposa intento a scavare una fossa tra gli alberi di un bosco, una lei total black con tanto di maschera anti gas, ed un morto (l’artista stesso) che alla fine viene seppellito. Beh un po’ come in “Back to Black” di Amy Winehouse non trovate? Il senso è il medesimo, e anche se qui non è il cuore a essere interrato ma l’intero corpo, la questione non cambia. A parte questo è difficile collocare Andrea Pulcini all’interno di un genere preciso, le parole più appropriate che mi vengono in mente ora per descrivere il suo stile sono: fanciullezza e profondità. Si, perché la sua voce è imponente, calda e importante mentre i suoni che lo circondano ricordano la spensieratezza della fanciullezza, di un carillon e di un’arpeggiante chitarra acustica. La quarta traccia “How to Prevent a Cold” oltre ad essere colei che intitola l’album è anche un’ottima, forse la più interessante traccia dell’intero disco. Un brano che ricorda l’immagine di un raccontastorie che t’incanta con le sue parole ed il suo sorriso smagliante mentre giace al centro di una distesa verde infinita, magari una prateria irlandese. Stupendo inoltre è il mix tra pacate dolci voci e chitarre acustiche, in contrasto con una batteria incalzante e travolgente. Tutto il disco continua verso questa linea, tenendo sempre la voce in primo piano e suoni dolci e spensierati come contorno. Molto bella è l’acustica, delicata e sensibile traccia “Dorothy”, che vede la partecipazione di archi malinconici e di cui è stato girato un fantastico videoclip, dove una pallida donna sempre in nero (come a simboleggiare la morte dell’amore) è intenta a ballare, giacere, guardarsi su di un tavolo al centro di un prato.

Un disco che osserva la dualità e l’ironia che l’amore rappresenta nel profondo di ognuno di noi, tra freddezze e fiamme ardenti, tra casualità e normalità. Un disco che si sofferma a  pensare e analizzare quelle sottili contraddizioni che spesso vengono ignorate.

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KuTso – Decadendo (Su un materasso sporco)

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La vita moderna ti stressa? Non hai prospettive lavorative? Peggio di così non poteva andare? Allora stai Decadendo (Su un materasso sporco) come i KuTso, che però al posto di piangersi addosso ci ridono su e riescono a far spuntare il sole in faccia persino a un depresso in una giornata uggiosa. Fanno un rock ironico, ma se per caso sentendo queste due parole vi sono venuti in mente gli Skiantos vi sbaglite di grosso, perché quello è rock demenzialementre i KuTso sono appunto: ironici. Il loro primo full-lenght è un mix di testi sarcastici che enfatizzano la verità, musica travolgente che non ti fa stare fermo, e travestimenti assurdi con cui si prendono in giro da soli. Un po’ come i Gogol Bordello per intenderci.

Il disco inizia con “Alé”, pezzo che ironizza sulla vecchiaia. Esce invece finalmente il sound sarcastico della band con la successiva e fantastica “Siamo Tutti Buoni”, dalle geniali e reali parole: sento nell’aria odore di morte, vi sputo addosso e strillo più forte, vagheggiate un mondo migliore ma state bene nel vostro squallore. Successivamente il tema cambia completamente e ci ritroviamo nelle orecchie una canzone d’amore in chiave ska, volutamente sdolcinata, ma mai noiosa. “Lo Sanno Tutti” (che faccio schifo aggiungerei io) è una dichiarazione di egocentrismo nuda e cruda che si conclude con un: salve sono dio. La quinta traccia“Questa società” è il rockeggiante singolo dell’album e dal divertente videoclip dove troviamo i quattro musicisti scellerati travestiti da animali all’interno di un fienile. Il testo dice tutto e il contrario di tutto, perché infondo oggi tutto è relativo vero? Il discorso continua con “Via dal mondo”, dove esce prepotente la rabbia verso i dirigenti che hanno giocato e demolito questo stato, continuando nonostante tutto a prendersi gioco della gente. Qui non c’è ironia ma solida verità spiattellata in faccia e condita da un contorno musicale rock ed intramezzi ska. Tra funk e rock è invece la divertente “Eviterò La Terza Età” in cui ribadiscono la loro amara visione per la società futura: i KuTso non intendono arrivare affannati, rincoglioniti e decrepiti all’interno di una casa anziani, ma preferiscono sentirsi vivi oggi ed illudersi di non stare morendo e marcendo. Quest’ultimo è un concetto molto caro alla band che infatti lo ribadisce anche nelle successive “Stai morendo” e “Precipiti più giù”. Conclude il disco una riedizione della loro precedente e più famosa traccia “Aiutatemi”, una rielaborazione che coinvolge anche Fabrizio Moro, Pierluigi Ferrantini (Velvet), Pier Cortese e Adriano Bono (ex Radici nel Cemento).

Ho solo parole buone parole per questa band, talmente troppe da sembrare mielosa, ma mi sono fatta grosse risate ascoltando questo disco, e credo ve le farete anche voi. Intanto vi lascio al loro video in modo che vi possiate fare fin da subito un’idea di ciò che vi aspetta.

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Stanley Rubik – Lapubblicaquiete EP

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Avete presente i Subsonica e i Velvet? Bene, fondete le due sonorità ed avrete gli Stanley Rubik, un misto di pop e sperimentazione elettronica che potrebbe sfondare e diventare un’alternativa alla decadenza dei pezzi che ultimamente girano all’interno delle più importanti radio italiane. La loro musica è cinematica, carica di tensioni, risolte o meno, tuttavia descritte con un’ironia latente e un sarcasmo tragicomico di fondo che richiamano lo stile registico di Kubrik: nei testi echeggiano spesso le ossessioni, le ansie e le speranze del tempo presente, tinteggiate con colori diversi e (quasi) sempre irrisolvibili come nel Cubo omonimo. Il progetto Stanley Rubik richiama a partire dal nome, le contraddizioni insite nella contemporaneità, sia a livello artistico che esistenziale.
Lapubblicaquiete è il primo EP ufficiale ed è stato realizzato in co-produzione con i sopra citati Velvet, quindi non c’è da stupirsi che le sonorità appaiono affini tra le due band. L’EP è composto da tre tracce, la prima “Abuso”, è caratterizzata da un beat di batteria elettronica semplice ma importante e da una voce condita da delay ed effetti radiofonici. L’abuso in questo caso non è sessuale, ma a volte diventa abuso di precarietà, un abuso da cui è difficile uscirne, un abuso che al posto di regalare indipendenza crea dipendenza.

La seconda traccia “Pornografia” da cui è stato estratto il singolo, esalta le capacità vocali del cantante Dario, che insieme al testo che apparentemente potrebbe sembrare una semplice storia d’amore, nasconde invece al suo interno una dualità ed una libertà di interpretazione molto più ampia. L’ultima traccia “Vademecum” – parola utilizzata in italiano per indicare un piccolo manuale tascabile che contenga informazioni utili e sintetiche – è forse la più interessante, variata e “multipolare”, oltre che la più lunga (quasi otto minuti sonori). La canzone parte con un intro di 1 minuto e mezzo, iniziando con un disturbante sintetizzatore che riproduce il rumore di una chiamata telefonica, per poi evolvere in una moderna sinfonia caotica ed infine esplodere insieme a tutti gli altri strumenti. Finito il caos inizia la quiete ed inizia il “manuale vocale”. Il testo, sempre contorto, metaforico e dalle mille sfaccettature – riscriverò il copione vecchio e tutto ridisegnerò, sorriderai e sentirai – è una vera e propria guida per riuscire a mantenere il “benessere”, quel benessere necessario per essere lucidi e riuscire a cambiare le cose, le cose intime, le cose pubbliche. Quel benessere necessario per cucire le ferite e tornare ad avere pace.


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Kandma – Demur EP BOPS

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Rilasciato sotto licenza Creative Commons, l’EP d’esordio di questi ragazzi di Pavia – Demur – è una notevole relase sperimentale realizzata con cura dei dettagli e con un ottimo lavoro di mixing e mastering. Il loro è un mondo al confine tra elementi di disturbo analogici e pacate ambientazioni eteree capitanate da una voce lontana e ultra riverberata. Un rock sperimentale che ti fa viaggiare e provare angoscia misto pace ad intermittenza. I Kandma decidono di aprirci le porte della percezione con “Lambda”, un pezzo che ricorda la quiete del cielo dopo una tempesta. Una scelta azzeccatissima come prima traccia, che prosegue anche con le successive “Pushing” e “Ursa”, più calme ma comunque disturbanti. Chiude l’EP “Three Hours”, cover di Nick Drave, artista che sicuramente ha influenzato notevolmente la band e che più assomiglia alle loro sonorità.

Tutto l’EP segue la vena sperimentale di Nick Drave, aggiunge l’ennesima sensazione che ti provoca ascoltare gli Explosions in The Sky e infine crea la stessa malinconia prodotta dagli Anathema. I Kandma sono una di quelle band che vai a vedere live e ti fanno viaggiare tra immagini sfuocate, a fine concerto ne esci sconvolto ma con il loro disco in mano (non mi sorprende infatti che  al loro primo live siano riusciti a vendere la bellezza di 100 copie).

 

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Waiting For Better Days – To Those Who Believe to be Left Alone

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Veloce e tagliente ma all’occorrenza melodico, ecco come si presenta il primo full lenght degli italianissimi Waiting For Better Days. Un disco oserei direi bipolare (nel senso buono del termine) in quanto sa di internazionale ma è completamente barese, è cantato quasi interamente in inglese ma non del tutto, ed infine suona Metalcore quanto Punk Hardcore. Incazzato e compatto fin dalla prima nota, non è solo suonato egregiamente ma anche confezionato come dio comanda. Un vero piacere per gli impianti stereo di alta qualità!

Un disco che parte tirato e deciso con “Dew on my Wings” e “Able to Understand”, due pezzi massicci dove growl e clean si alternano e ti fanno capire sin da subito che i WFBD sanno quello che fanno e lo fanno per bene. Poi però arriva la voce di Berlusconi ad introdurre “Purity”, e così finisci per ricordarti di stare ascoltando un disco di una band italiana che ha voluto dirti: “sei un italiano come me, un italiano che viene deriso e preso per il culo”. Subito dopo infatti parte la prima delle due tracce cantate in italiano “Mille Riflessi”, caratterizzata da un testo introspettivo e riflessivo in pure stile Linea77, come anche“Giorno Per Giorno”, brano però più incazzato e dal finale gridato e potente. Al confine tra Deathcore/Death metal è l’irriconoscibile cover dei Beatles  “Revolution”, in cui viene ribadita in modo subdolo la rabbia per la situazione incostituzionale italiana. Concludono l’album “Being Controlled” e “Land of Sunshine”, forse i pezzi più HC e californiani dell’album. Brani che pargono una versione più tecnica e maggiormente metallizzata di ciò che gli Anti-Flag hanno prodotto in For Blood And Empire, oppure i Lagwagon in Resolve.

Insomma i WFBD mi hanno convinto ed invogliato ad ascoltare i loro prossimi lavori. Forse lascerei a casa i pezzi in italiano e le cover, ma auguro comunque a questa band di sfondare e continuare con la convinzione che fino ad ora hanno dimostrato. Cercateli dunque su Spotify ed ascoltatevi l’album, poi se vi va di supportare la buona musica, comprate l’album e uccidete le vostre orecchie!

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Elf – Happy Seppia EP BOPS

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Cose strane succedono nel mondo di Elf, personaggio/band che ha deciso di creare un alone di mistero intorno alla propria identità. Ma Elf non esiste da solo, infatti dopo varie ricerche alla fine ho scoperto che altro non è che il progetto musicale partorito dalla mente di Samuele Palazzolo in collaborazione con Michele Colosio (drums and synth) Massimo Panella (bass) Sergio Alberti (synth, guitar, drums). Ecco dunque che questi individui hanno sfornato l’EP Happy Seppia, un lavoro che ti trasporta in un universo parallelo dove stati d’animo e suoni vengono mischiati per creare nell’ascoltatore un viaggio astrale completamente personale. Infatti se ascolti brani come “Computerspie” o “Loopstation Nation” (tra l’altro un titolo fighissimo!)provi delle sensazioni che non sai nemmeno definire a te stesso. Gli Elf osservano la vita e ci rimangono incastrati in quello che vedono, e così creano una musica in bilico tra psichedelia e sperimentazione: elettronici come i The Flaming Lips e alternativi quanto i Window Twins. L’EP è scaricabile gratuitamente, ed è un ottimo ascolto per chi ha voglia di un sottofondo musicale ricercato con cui lasciarsi guidare dall’immaginazione.

Nonostante questo sia un genere a me molto affine e trovi l’ultima traccia “Gentian” favolosa, devo riconoscere però che alla lunga questo lavoro risulta un po’ eccessivo e stancante. Paradossalmente monotono quanto sperimentale, ma andrei comunque a vedere un loro concerto ad occhi chiusi.

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Garaliya – Garaliya

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Due galli affascinati dalle immagini psichedeliche che finiscono per comporre musica dietro a delle drum machine, ecco chi sono i Garaliya. Il vinile è il loro cibo, il campionamento è la tecnica di degustazione, e i campionatori l’apparato digerente. Non producono musica di scarto, ma scatti di musica. Per capirci meglio il loro mondo assomiglia molto a quello di Aphex Twin, sia per le affinità noise che per la scelta di utilizzare delle visual importanti all’interno delle loro esibizioni, che trasformano i live in una vera e propria performance art. Lin MoRkObOt e Mizkey si sono messi insieme ed hanno creato i Garaliya, due galli cibernetici che al posto di cantare al mattino, preferiscono ruggire di notte atmosfere tekno-noise, jazz ed a tratti trip pop (trip come Hoffmann più che come i Massive Attack). Un progetto musicalmente diverso per l’Italia, o perlomeno per l’ascoltatore medio di musica elettronica. Un progetto per orecchie argute ed addomesticate al rumore, che mi auguro vivamente non diventi un live set pulito e senz’anima.

Sicuramente da assaporare live, perché é quella la formula in cui i Garaliya prendono interamente forma, e sicuramente da tenere d’occhio per tutti gli amanti dell’ IDM (Intelligent Dance Music). Se pensate ad un duo di musica elettronica convenzionale vi sbagliate, se pensate a due nerd forse ci azzeccate, sicuramente non sono due sprovveduti che aprono per la prima volta Ableton Live e pretendono di fare musica (come purtroppo succede spesso ultimamente).

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30 Miles – The Smiles of Rage & Paranoia

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Un colpo diretto in faccia, questo è The Smiles of Rage & Paranoia, dell’onesto Punk Hardcore che poco ha da invidiare alle band internazionali. Un disco di sano punk rock coi controcoglioni, e scusatemi il termine ma non ne ho trovato un altro più appropriato per descriverli. Sono in 3: Samuele (voce/cori, chitarra ritmica) Samy (batteria) e Daniele (cori/voce basso), e suonano compatti e decisi. Attivi dal 2010, condividono palchi importanti con dei veterani della scena come i Los Fastidios, finchè nel 2011 l’Indie Box si accorge di loro ed include il brano “Nobody” all’interno dell’ Indiebox Compilation Vol.6, che vanta brani firmati Antiflag, Casualties e Mad Sin. Ora sono più carichi che mai e sfornano The Smiles of Rage & Paranoia, con la determinazione di spaccare anche nei confini asiatici per Bells On Records. I 30 Milesmi hanno fatto tornare indietro alla mia adolescenza, rimanendo fiera delle mie radici punk e della scena italiana in generale.

Il singolo “Dancing In Her Eyes” di cui è stato realizzato anche un videoclip, è veloce, arricchito da cambi di tempo e accordi, riuscendo così a differenziandosi dalla semplicità e  dalla monotonia in cui il punk rock spesso ricade. Nei loro testi non si limitano a parlare di argomenti adolescenziali, ma scavano piuttosto nel profondo attraverso la psiche umana, come in “Nightlife” dove citano il caro e vecchio Einstein ed il suo Ego, Super Ego ed Es, cercando di comprendere le loro fantasie più nascoste nella mente e nell’insonnia. In “Here I Am” parlano invece della difficoltà di aprirsi e raccontarsi completamente nella società odierna, che spesso induce le persone ad indossare una maschera. Verso la fine del disco guardano invece lontano verso un mondo colorato con “LSD”, brano di cui è facile immaginare l’argomento principale. Insomma, se vi piacciono i NoFx ascoltateli e non ve ne pentirete, l’album completo lo trovate gratuitamente in streaming su Spotify, ed invece qui sotto potete gustarvi il video ufficiale.

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L’Industria Musicale Internazionale in Numeri.

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Visto che ormai siamo rimasti vivi anche dopo la profezia Maya, non è male guardarsi alle spalle e capire che cosa sia successo nel 2012 all’interno del mondo musicale in crisi. Insomma parliamo di numeri, vendite e nomi.
Non possiamo dunque non ricordare Adele, che non contenta del suo successo planetario con l’album 21 (8.3 milioni di copie vendute nel 2012 e 18.1 nel 2011) fa fuori anche nel 2013 la concorrenza vincendo il premio come Best Original Song ai Golden Globes con “Skyfall”. Scendendo di classe ed età, non si può non ricordare il fenomeno Carly Rae Jepsen con la sua fastidiosa “Call Me Maybe”, che piazzandosi al primo posto dei singoli più venduti del 2012 (12.5 milioni di copie) ci ha distrutto le orecchie per un bel po’ di mesi, olimpiadi comprese. Per fortuna che nelle classifiche c’è spazio anche per le canzoni non proprio pop, e infatti, sorprendendo anche i più scettici, “Somebody That I Used to Know” di Kimbra & Gotye raggiunge un meritatissimo secondo posto con 11.8 milioni di copie vendute. A concludere il podio e confermare il rigetto per la musica di una certa raffinatezza, ci pensa il coreano PSY con “Gangnam Style”, che nel 2012 ha venduto “solo” (si fa per dire) 9.7 milioni di copie del suo estenuante tormentone musicale.
Per dare un po’ di senso a questi numeri, il report annuale della Federazione Internazionale dell’Industria Fonograafica (IFPI) fotografa il 2012 come un anno in salita, stimando un guadagno per l’industria musicale di 5.6 bilioni di dollari, pari al 9% in più rispetto al 2011(5.2 bilioni) e sottolineando come le vendite digitali ormai abbiano preso il sopravvento, raggiungendo più del 50% delle vendite totali in Norvegia, Svezia e U.S.A.

Per concludere dunque, sembra che l’industria musicale stia pian piano riuscendo a far fronte alla pirateria (era ora che si svegliassero!), ma che la gente disposta a pagare per utilizzare formati musicali digitali, sia prevalentemente interessata a fenomeni musicali frivoli e poco impegnati. Basti pensare a Taylor Swift e ai One Direction, oppure ai singoli sopra citati “Gangnam Style” e “Call Me Maybe” e ciò non mi sorprende. Quello che però dovrebbe far riflettere, è che i singoli più venduti siano anche quelli che si rivolgono al target d’audience più critico per la pirateria: i giovanissimi teenager. Sono loro infatti i soggetti più all’avanguardia nell’utilizzo delle nuove tecnologie (smartphone, tablet, app, …), ma anche quelli che più abbracciano la filosofia del “download facile”. Se la linea promozionale dell’industria musicale in questo 2013 seguirà la retta via verso l’innovazione, distaccandosi ancor più dai media tradizionali e dal concetto di “proprietà privata”, per abbracciare invece il concetto di “proprietà collettiva” di internet e dei suoi servizi, credo proprio che combatterà ad armi pari la battaglia contro la pirateria.
Staremo dunque a vedere cosa succederà, e io mi auguro vivamente che i nuovi servizi di streaming come Spotify o il vecchio Last.fm riescano finalmente ad essere un buon compromesso tra le esigenze di artisti e consumatori, diventando un modo alternativo per non rubare, ma nemmeno regalare.

Fonte: Digital Music Report 2013 by IFPI

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Lush Rimbaud / zZz – The V’ll Series # 1 BOPS

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Per chi pensa che ormai i dischi non si stampano più, il primo split facente parte della collana V’ll Series è l’eccezione che si spera non confermi la regola. Si, perché purché in edizione limitata (300 copie), la Scratch Records ha deciso di pubblicare il disco sul caro e vecchio vinile con tanto di copertina serigrafata. Quattro brani e due band completamente diverse: il post punk-kraut degli italiani Lush Rimbaud e l’elettrowave degli olandesi zZz. Iniziando dal lato A e quindi dai nostrani Lush Rimbaud, le tracce “A Finger Composition e “The Freak Dream” sono un trip all’indietro verso un tempo dove le lancette non debbano per forza scorrere veloci e non ci sia bisogno di sapere il vero nome dei luoghi. A farla da padrone sono le intense sensazioni cupe e profonde che ormai oggi non trovano più uno spazio, in quanto sovrastate da una realtà apatica che condanna la gente ad una folle frenesia isterica. Il lato B, risuona invece atmosfere completamente diverse, ed il duo zZz ci propone la spensierata “Alone, dal testo romantico ed un arrangiamento di organi, synth e fisarmoniche troppo simpatico. Un po’ Elvis, un po’ vacanza sulla spiaggia. Con “Pretty si sprigiona invece tutto l’animo elettronico dei due olandesi, e la classica combo cassa dritta e sintetizzatori prepotenti ritorna a farsi sentire, in un brano che prende ispirazione dalle notti brave di piccoli mostri intenti a ballare per tutta la notte.
In conclusione, V’ll Series # 1 è uno split spaccato in due, tra psichedelia e modernità, ma con una cosa in comune: una voce proveniente dal passato.

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Miranda – Asylum: Brain Check After Dinner

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Il trio fiorentino ritorna prepotente e lo fa a quattro anni di distanza dal precedente Growing Heads Above The Roof, con Asylum: Brain Check After Dinner, un concept album per folli, reclusi, e per tutti quelli che sentono il bisogno di trovare una via d’uscita non convenzionale alla monotonia della quotidianità.
Il disco si apre con Suicide Watch e Being Ed Bunker in cui il ritmo scandito dalla voce e dalla batteria sembrano ricordare marce e grida di rivolta, mentre contemporaneamente i suoni sintetizzati, ripetitivi e stridenti cerchino invece di avvertire l’ascoltatore che potrebbe impazzire.
Loop allarmanti, suoni glitch e caos organizzato prendono il sopravvento nel finale di Mohamed Bouazizi ed in Nothing Better Than a Morning Fuck dove pare trovarsi di fronte ad una catena di montaggio che improvvisamente va in tilt. Arabs On The Run Psycomelette si caratterizza per un inizio dolce come i campanelli che strimpellano ninna nanne per bambini, per poi svelare tutta la rabbia punk nel finale. Di cattive abitudini si parla invece in Bring Drug And Food ed in Holy Ravioli In A Drug Free Zone, quest’ultima caratterizzata da una voce hip-hop ed un contorno distorto e caotico. Un mix insolito e ben riuscito. Conclude il disco Tecnocratic Chinese Flue, più quieta rispetto alle altre tracce, ma comunque sia alienante.
Diciamo che il passato carcerario dei componenti in questi 11 brani si è fatto sentire, come anche la loro insanità mentale, in quanto dopo l’ascolto dell’intero album ci si chiede se durante le registrazioni non fossero stati in preda ad un delirio psicotico. I Miranda sono spregiudicati, sporchi ed irriverenti, pronti a regalare allucinazioni distorte ed emicrania patologiche a tutte le persone sane di mente.

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Un-Reason – S/t

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Ok, ancora non ho ascoltato il disco degli Un-reason e già mi piacciono. Spulciando tra le bio dei quattro componenti la mia testa vola indietro a un po’ di tempo fa, quando il mio mondo sembrava voler gridare il disagio del tossico da strada di Fuorivena, la fiera rabbia punk dei Klasse Kriminale, i giochi di parole dei Prozac+ e la ricerca di un marcio più elettronico negli Skinny Puppy. Gli Un-Reason si portano dietro un bagaglio musicale degno di tutto rispetto e dunque mi aspetto un disco curato nei minimi dettagli e non convenzionale.
Bene ora accendo le mie amate casse e mi lascio trasportare in un’altra dimensione in cui le contaminazioni sonore già dalla prima traccia – “A Place Of Truth”-appaiono infintite, ma è con Blink che finalmente il disco si apre e i N.I.N. prevalgono su tutto: chitarre che scoppiano, voci distorte ed effettate. Le atmosfere si fanno più pacate in “Our Special Way”, dove i suoni lenti e disturbanti mi hanno ricordato i primi Placebo, che riuscivano ad impastare una accozzaglia di influenze a tratti quasi folk con il dark più melodico e oscuro di ognuno di noi, regalando brani fottutamente pop (nel senso buono del termine).
Per tutta la durata del disco la voce di Elio Isaiasi sdoppia, passando da distorta a melodica, risultando però maggiormente interessante quando distorsori, delay, filtri ed altri effetti si fanno prepotenti, come in “Kids Hurting Kids”, favolosa traccia dove basso, elementi elettronici e un finale esplosivo la rendono unica. Il disco si conclude con “Waves”, una traccia che invita ad ascoltare la forma d’onda sonora in tutte le sue componenti: spazio, tempo, voce e musica. L’unica pecca? Il non aver incluso delle tracce puramente strumentali, io personalmente le avrei apprezzate, perché se c’è una cosa che non si può non riconoscere a questi ragazzi è sicuramente un’ottima cura negli arrangiamenti.
Insomma, mi piacciono perché suonano noise e sporchi, ma sono maledettamente curati e puliti, grazie anche ad una minuziosa cura dei dettagli, tanto che non sembra proprio di ascoltare una band nostrana.

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