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Appino – Il Testamento

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Andrea  Appino, la “faccia” degli Zen Circus, da alle stampe questo Il Testimone, un progetto in solitaria che non significa per niente l’addio alla band sopracitata, solamente una valvola di sfogo personale, per mettere in musica i suoi tasti sensibili nonché i bruciori poetici della finezza, tracce (quattordici) che lavorano stili diversi e destini differenti, un bella mixture di rock, forza e amore, magari ricco di troppe parole, ma che non rubano lo spazio alla musica, piuttosto un’audace convivenza ed un primo approdo all’ipotesi di un “destabilizzante” disco perfetto. L’artista pisano, qui col violino di Rodrigo D’Erasmo, Franz Valente alla batteria, Giulio “Ragno” Favero al basso e Enzo Moretto alle chitarre, non lascia niente di intentato, scrive, corrobora e fabbrica un piccolo manifesto underground pregevole, argomenta – tra gli interstizi della tracklist – umori e rumori di pensiero, come lo stupendo omaggio alla memoria di Mario Monicelli inciso nella titletrack, traccia che già di per sé alza il quoziente “intellettivo” dell’intero registrato: la sua è un’arte dove realismo e vissuto artistico si fondono all’unisono, un corpo ed un’anima al servizio di una credibilità che viene spontanea e che elude vie o transiti “faciloni” pur di arrivare, una scrittura che addenta un filo logico e ne tesse poi una sequenza da raccontare ad alta o viva voce. Senza mezzi termini, l’album è una radiosa premessa, potrebbe diventare grandissimo come pure il suo autore ed è giusto che sia così, non è di tutti i giorni ascoltare un esponente di una famosa formazione rock che riesce a divincolarsi dal precostituito ed intraprendere – di testa sua – un percorso non riempiticcio, vizioso o da primadonna, è raro, e quando capitano c’è da tenerseli stretti stretti.

Un serafico Giovanni Lindo Ferretti che balugina in “Passaporto”, il delirio di “Specchio Dell’Anima”, la ballata folk di stampo Bubola “La Festa della Liberazione”, una parvenza di dolcezza amara “Godi (Adesso Che Puoi)” e la giugulare paonazza che fibrilla nell’hard-core addomesticato di  “Solo Gli Stronzi Muoiono”, e poi ancora amore, rabbia, depressione, gioia e sogni, e poi ancora un Appino che brilla e commuove in una splendida “opera prima”, in una tenera “prima volta”.

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