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VIAGGI MUSICALI | Intervista alle Lilies on Mars

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Stasera a Torino “Il Pensiero Sarà un Suono”

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A chiusura della due giorni del convegno “Le Parole della Strada – Laboratorio Torino ’90”, si terrà stasera presso il Blah Blah di Torino “Il Pensiero Sarà un Suono – Italia 90”, un concept musical/letterario sulla scena torinese ed italiana alternativa ed indipendente degli anni ’90 a cura di Domenico Mungo ed Il Pensiero Sarà un Suono. Sarà un’occasione per raccontare Torino ed il mondo di quegli anni nelle parole musicate di Negazione, Africa Unite, Marlene Kuntz, Kina, CCCP/CSI, Casino Royale, Fluxus, Pixies, C.O.V., Disciplinatha, Diaframma, Garbo, Fugazi, QOTSA, Kyuss, Refused, Battiato, Fossati, Vasco Rossi, Rino Gaetano. Di seguito il programma dell’evento:

Ore 19,30
Proemio:
Cristiano Godano (Marlene Kuntz) & Giancarlo Onorato (Ex -Live) in acustico.
“Lievemente: Percorsi in parole e musica della Marlene a Torino”, introduce Domenico Mungo

ore 22,30:
Il Pensiero Sarà un Suono – Italia 90

Artisti:
Proemio ore 20,00:
Cristiano Godano (Marlene Kuntz)
Giancarlo Onorato ( Underground Life)
Domenico Mungo (Scrittore)

Narratio ore 22,30:
Gigio Bonizio (C.O.V. – Totozingaro)
Franz Goria (Fluxus)
Fabrizio Broda
Cristina Visentin (Fratelli Sberlicchio)
Gianluca Cato Senatore (BlueBeaters – Africa Unite)
Bobo Boggio (Fratelli di Soledad)
Mauro Brusa (Derelitti)
Mao (Vodoo – Maoelarivoluzione)
Paolo Angelo Parpaglione (BlueBeaters – Africa Unite)
Beatrice Zanin (Daniele Celona Orchestra)

Resident Band:
Franco Forresu ( Fuco – drums )
Sandro Serra (Titor – drums)
Luca Pisu (Fratelli di Soledad – bass)
Luca Morellato ( Bluedaville – Concrete Bloc)
Luca Catapano (Black Wings Of Destiny – C.O.V.)

After Show Parties:
Melody Maker’s Special ‘ 90 Edition – Dj Blaster T.

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Colapesce – Egomostro

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Sono trascorsi tre anni dall’ultimo disco ufficiale di Colapesce, tre anni durante i quali il cantautore siciliano ha raccolto pezzi di “mostri” in giro per l’Italia, tre anni per dare vita al nuovo Egomostro. Un disco diverso dalle precedenti produzioni sotto ogni punto di vista, Colapesce appare più maturo e in un certo senso abbastanza “sperimentale”, il sound profuma di anni ottanta, Lucio Battisti che lascia la sicurezza Mogol per sperimentare liberamente. Con il precedente Un Meraviglioso Declino avevamo conosciuto un artista molto legato alla leva cantautorale degli anni zero, apprezzabile e godibile, niente però riusciva a tirarlo fuori dalla mischia con spiccate autorevolezze compositive. Le cose cambiano inevitabilmente, sia nel bene che nel male. Egomostro rappresenta la maturità artistica di Colapesce, un disco certamente poco diretto ma capace di entrarti dentro pian pianino per restarci prepotentemente. Ad un certo punto della vita senti il bisogno impellente di approfondire le cose, di capirne il senso, non per sembrare presuntuoso, soltanto per viverle a pieno. Egomostro racchiude la consapevolezza della maturità che non si ferma davanti alla facciata, Colapesce decide di entrare nel vecchio palazzo per ammirarne tutte le stanze, per respirare quell’aria di chiuso che a molti darebbe fastidio. Dopo l’intro, il disco dimostra subito di essere elettronicamente diverso, quasi Punk, con “Dopo il Diluvio”. Roba fresca, diversamente attraente. Le mie papille percepiscono dell’agrodolce in “Reale”, la ritmica incalzante mette allegria ma l’aria non è delle migliori per sentirsi felici, la tristezza in un certo senso rende riflessivi. Lo stomaco si chiude, la bellezza incontrastata di “Sottocoperta”, la canzone italiana che offre grandi sensazioni, quelle capaci di farti accapponare la pelle, quando pensi che non avresti chiesto di ascoltare di meglio. Colonna sonora da dedicarsi nei momenti più intimi, ad ora il miglior pezzo dell’album almeno per emozioni trasmesse. “Egomostro” torna a portare sperimentazione fine anni settanta, non mi esalto troppo ma ne apprezzo le potenzialità, Colapesce ha deciso di spostare tutte le sonorità del disco su quella strada, sarà la sua personale passione nei confronti di Battiato. Ascolto il mare, penso al vento che taglia la faccia, penso alla dolcezza di una carezza, “L’Altra Guancia” scioglie ogni riserva emotiva alla quale ancora mi ero attaccato. “Maledetti Italiani”, rappresenta tutto il brutto della nostra società, una protesta a cui ultimamente siamo abituati, a cui non facciamo neanche più caso, della quale tutti ci sentiamo vittima senza reagire, inerti. Di Egomostro riesco ad apprezzare quasi tutto, la non convenzionalità dei brani mi rende fiducioso sul futuro della musica italiana, Colapesce si mette in gioco pesantemente e vince. Il disco è indubbiamente di duro impatto, fermarsi al primo ascolto significa non capirne la volontà, significa avere un approccio mediocre e superficiale verso l’arte. Colapesce è tornato in grande stile registrando un disco considerevole, questa volta riesce a togliersi l’etichetta di piccolo cantautore diventando grande, dimostra di saper comporre musica diversa e scrivere testi calibrati. Egomostro sono riuscito a renderlo mio, a farlo aderire alla mia personalità, a capire tutto quello che voleva trasmettere. Egomostro è un grande lavoro, avevamo tutti bisogno di un Colapesce in queste condizioni compositive, ormai non posso più farne a meno.

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Kozminski – Il Primo Giorno sulla Terra

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Kozminski. Un nome difficile come un sospetto […] La loro musica in definitiva non è altro che il tentativo di restituire la poesia che si respira negli appartamenti affacciati sulle circonvallazioni, gli abissi che si scorgono negli spartitraffico affollati di rifiuti, ma anche la mirabolante vertigine del mondo che si compone appena dietro i nostri occhi. Loro amano descriversi così. Sono in cinque, sono di Milano e non sono di certo gli ultimi arrivati sulla piazza. Il progetto nasce nel 2007 con la pubblicazione di Bausan EP, che asfalta la strada al loro disco d’esordio. Dopo un’attesa di due anni, viene alla luce Kozminski, primo grande lavoro studio dell’omonima band. Il Primo Giorno sulla Terra si fa ben attendere e soltanto quattro anni dopo si affaccia sul mercato discografico.

La struttura è suddivisa in dieci capitoli, in cui si suol raccontare la malinconica realtà del mondo che ci circonda, attraverso un Pop all’italiana, di certo non scontato. L’espressione è criptica e si racconta tale realtà attraverso continue metafore ed una sottile poesia. Un disco introspettivo, ma che tenta di trovare una finestra che dia direttamente sulla città. Il vetro eternamente chiuso distorce l’immagine e mette a fuoco le piccole cose quotidiane cui non si fa più caso. Richiami asimmetrici traccia dopo traccia, da un Battiato a piccole dosi in “Granularia” ad uno sfrontato Nek in “La Metà”. Nulla di sbagliato in tutto ciò, ma neppur qualcosa di sofisticato in grado di stupire e coinvolgere. Nonostante la forte determinazione iniziale, l’intero disco si ritrova a sfumare traccia dopo traccia, lasciando un po’ d’amaro in bocca. La curiosità si riaccende alla traccia numero 7, “Elliot”, in cui lo strumentale si fa leggero e trova adeguata melodia, fermo restando lo scarso entusiasmo suscitato dall’episodio. Qui la malinconia si fa più estroversa e lascia ben apprezzarsi, quanto meno dagli amanti del genere. Tuttavia, per ascoltare qualcosa di seriamente interessante, occore dedicarsi alla title track. Qui senza dubbio emerge tutto l’impegno e l’entusiasmo dei Kozminski, riuscendo a conquistare qualche punto extra e a donare valore aggiunto all’opera. Non scontato il regalo di fine lavoro “Dopo il Tramonto”, celato ed ispirato alla logica della secret track. Non se ne sentivano da un po’ e l’idea di certo non disturba, tuttavia sono spiacente, non mi basta.

Nulla di particolarmente entusiasmante. Avrei voluto aspettarmi qualcosa in grado di farmi muovere il capo a ritmo e di coinvolgermi. Di certo Il Primo Giorno sulla Terra non può definirsi un progetto di scarso valore, anzi, è evidente l’impegno artistico dei cinque ragazzi. Lo strumentale sufficientemente sofisticato, per quanto permetta il genere, i testi adeguati al messaggio intrinseco nell’opera e le premesse di certo non negative. Il complesso tuttavia non sembra volersi ben raccontare, celando i punti forti e mettendo in evidenza la difficoltà del genere. Raccontarsi attraverso il Pop è un’impresa non da poco, in continuo bilico sul baratro della banalità e sull’orlo del “già sentito”. Insomma, nonostante si possa credere il contrario, la strada intrapresa dai Kozminski è tutt’altro che lineare ed esente da buche, ma di certo non impossibile. Insomma, resto fiducioso nel prossimo lavoro, con la speranza che possa spazzar via l’amaro lasciato.

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Mirco Menna – Io, Domenico e Tu

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Più che esser di fronte a una classica operazione nostalgia ci troviamo davanti a un piccolo sussidiario che riassume in breve le origini della musica italiana. In fondo (si può dire senza problema) se non ci fosse stato Domenico Modugno come si sarebbe evoluto il panorama musicale italico? Probabilmente, a distanza di oltre sessant’anni dall’esordio del grande cantautore di Polignano a Mare, non ci sarebbero stati neanche grandi autori quali De Andrè, De Gregori, Paoli, Battiato, Capossela e chi più ne ha più ne metta. Come dire: tutto ebbe origine da lui. Ecco quindi spiegato il sincero omaggio a un artista che ha segnato indelebilmente la storia del secolo scorso e la cui “Nel Blu Dipinto di Blu” è senza dubbio la canzone italiana più nota al mondo. Il progetto nasce dall’intensa attività live di Mirco Menna che ha voluto concretizzare in Io, Domenico e Tu tutta la sua passione verso Modugno e le sue opere. Protagonista è il carattere inconfondibile del cantautore bolognese Mirco Menna che porta in scena un lavoro che non racconta solo un concerto registrato presso La Casa della Musica di Trieste mentre era accompagnato sul palco da Enrico Guerzoni al violoncello, Maurizio Piancastelli alla tromba e tastiere e Roberto Rossi alla batteria, percussioni, flauto e cori. Mirco Menna, bolognese di origine, classe 1963, autore e compositore, del resto aveva dimostrato tutto il suo valore già in passato nei suoi dodici anni di carriera ricevendo persino i complimenti di Paolo Conte e vantando collaborazioni eccelse quali quella con Fernanda Pivano in Ecco, suo disco del 2006. Per chi volesse poi confrontarsi anche col suo talento letterario consigliamo vivamente anche ‘118 frammenti apocrifi’, sua prima opera letteraria da poco uscita per Editrice Zona. Bellissimi anche gli interventi di Patrizia Cirulli in “Tu si ‘na Cosa Grande”e di Mario Incudine in “La Ronna Riccia” Un lavoro che si discosta leggermente dalla produzione de Il Parto delle Nuvole Pesanti, di cui Mirco Menna è il cantante e frontman dopo l’uscita dal gruppo di Peppe Voltarelli ma che certamente non mancherà di entusiasmare tutti i suoi fan. Soprattutto quando sentiranno l’originale esecuzione di “Vecchio Frack” e “Malarrazza”. Quest’ultima anche mi fa tornare alla mente una versione (molto differente ma sempre di ottimo livello) che vidi un paio di anni fa su Youtube con Carmen Consoli che duettava con artisti quali Kaballà e Mario Venuti.

Nel disco trovano spazio anche diverse canzoni “minori” di Modugno quali “La Donna Riccia” (fra i più umoristici e sarcastici tra quelli del cantautore) e “U Pisci Spada” (che originariamente era intitolato “Lu Pisce Spada”). Curiosamente tra l’altro i due brani erano il lato a e il lato b del terzo singolo di Modugno che all’epoca venne stampato anche in versione 78 giri! Un progetto insomma quello di Mirco Menna  variegato ed autentico che mette in evidenza l’ecletticità sia di Menna che del grande Mimmo.

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Le Luci della Centrale Elettrica – Costellazioni

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È difficile scrivere una recensione di questo disco. Forse perché non stiamo parlando davvero di UN disco, ma di dischi, al plurale. E poi stiamo parlando di Vasco Brondi, che, volenti o nolenti, è stato considerato una voce di punta della fantomatica leva cantautorale degli anni zero. Da questo disco (il terzo) ci si aspetta qualcosa, fosse anche il proseguimento della continuità che c’era tra i primi due, ma più realisticamente si spera in un’evoluzione, un passo avanti nel percorso artistico de Le Luci della Centrale Elettrica. E quindi? Andiamo con ordine. Prima di tutto va detto che il disco è un disco denso. Non è un disco facile da esplorare. Alcuni episodi sono magari più accessibili del solito, ma si ha bisogno di tempo per entrare in tutti i dettagli, e anche scrivendo questa recensione continuo a scoprire cose e a rendermi conto di particolari prima inosservati. Questo fatto è strettamente collegato a ciò che accennavo più sopra: I dischi, non IL disco. Costellazioni (così ammette lo stesso Vasco) ha avuto una genesi travagliata, prima scritto e arrangiato “al computer” con Federico Dragogna dei Ministri, poi registrato in studio con una pletora di (peraltro ottimi) musicisti, ottenendo in pratica due dischi distinti, che in seguito sono stati “fusi” per creare questo prodotto ibrido, che Vasco sente suonare come “canzoni dalla pianura padana lanciate verso la galassia, storie piccole ma che si vedono anche dalla luna”. È un disco in cui convivono tante anime diverse, dove Vasco si è divertito a inseguire i tanti suoi gusti e punti di riferimento (CCCP e Battiato su tutti), dove ha sperimentato cose mai tentate prima (testi narrativi, più focalizzati; il cantato, che prima era esclusivamente parlato o urlato, diventa in alcuni casi più melodico; la chitarra viene spesso relegata in secondo piano, e sostituita con pianoforti, beat elettronici, oceani di synth, archi, fiati). Abbiamo quindi “I Sonic Youth”, una dolce ballata per pianoforte, elettronica e voce, ma anche “Firmamento”, elettrica e aggressiva, dove Vasco riprende “lateralmente” i generi che suonava nella sua adolescenza; c’è “Le Ragazze Stanno Bene”, scritta con Giorgio Canali, più classica, con voce e chitarra acustica a giostrare il marasma, ma anche “Ti Vendi Bene”, che è in pratica un pezzo sfigato dei CCCP (ma non per colpa di Vasco, sono i CCCP che sono inarrivabili).

Insomma, Costellazioni è un pastiche, è caos, è confusionario e sfilacciato, però è anche un disco coraggioso, perché darà nuovo materiale critico ai detrattori, scontentando al contempo quella fetta di seguaci affezionata allo stile sempre identico che Le Luci della Centrale Elettrica aveva reso quasi materiale di barzellette o di generatori automatici di canzoni di Vasco Brondi. In questo io ci vedo coraggio, perché Vasco ha saputo inseguire alcune ispirazioni che lo tentavano, lasciando i lidi comodi e sicuri della sua solita solfa, sperimentando, incastrandosi, cucendo, scucendo e ricucendo i brani. In alcuni casi questo coraggio ha pagato (il primo singolo, “I Destini Generali”, è luminoso e leggero, cosa che non gli era mai riuscita bene in passato, e rappresenta bene il filone di speranza, di “musica sotto le bombe” che attraverso il disco come una lama di luce nel buio; in “Un Bar Sulla Via Lattea” e in “La Terra, l’Emilia, la Luna” è riuscito a rendere bene l’idea di musica rurale e spaziale” tra la provincia, a cui tiene tantissimo, lui emiliano di Ferrara, e le stelle), in altri casi rischia molto di più di spiazzare l’ascoltatore (“Padre Nostro dei Satelliti”, “40 Km”, “Macbeth Nella Nebbia”, per alcuni versi “Uno Scontro Tranquillo”) e di sembrare perso, smarrito nel disorientamento causato da un overload di informazioni, idee, spunti. Il disco, insomma, è un mezzo fallimento, ma al contempo una mezza vittoria: porta Le Luci della Centrale Elettrica fuori dal pantano, verso le stelle. È vero, lo fa spesso con ingenuità e con poca chiarezza del percorso da fare, ma mi sento di dire che ascoltando Vasco parlare durante la presentazione del disco ho percepito che questo, lui, lo sa. Sa che il disco è il risultato di tentativi, di prove, di colpi di reni disperati e molto, molto necessari. E sa (e lo ammette) che il futuro sarà scegliere, tra le numerose vie che questo album-crocicchio ha aperto, quella che saprà convincerlo di più, e prenderla e percorrerla fino in fondo.

Per finire, due considerazioni: la prima è che non scherzavo quando dicevo che il disco è un mezzo fallimento, ma anche una mezza vittoria. Sono I dischi, ricordate? Quindi il mio consiglio per l’ascolto è di approcciare Costellazioni col cuore aperto, e di saper riconoscere quali canzoni riescono a parlarvi, e quali no. C’è per forza qualcosa per voi, lì dentro. Io, per esempio, sono stranamente stregato da “Blues del Delta del Po”, da “Uno Scontro Tranquillo”, da “Le Ragazze Stanno Bene”… insomma, io mi sono creato una sorta di Costellazioni privato, che mi parla in prima persona, lasciando fuori ciò che non mi arriva. In questo senso, l’avere perso focus in favore della varietà e della sperimentazione anche “strana” è stata una mossa vincente. Pezzi così, nel bene e nel male, difficilmente li incontrerete altrove. La seconda considerazione è su Vasco Brondi. In questo disco è chiaro come non mai che definirlo cantautore, se non un errore, è quantomeno un understatement. Vasco fa Punk, fa Rock, ha nelle orecchie gli anni 80, l’elettronica, i sintetizzatori, le distorsioni. Le Luci della Centrale Elettrica può diventare, ancora di più, un progetto trasversale, aperto, capace di tutto. Questo disco è un azzardo, è, se vogliamo, uno sbaglio, ma è dagli sbagli che nascono le emozioni vere. E quindi ascolto questo delirio di disco immaginandomelo con la metà delle canzoni e con una concentrazione più affinata, e so (e spero) di stare ascoltando il prossimo disco, Le Luci della Centrale Elettrica di domani, ed è un bel sperare.

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Dimartino + Stazioni Lunari + The Electric Flashbacks

Written by Live Report

Note Sulle Ali di Farfalla @Teramo (Villa Comunale) 07/09/2013

La mente era lì che viaggiava verso il paradiso, pensando a Federica Moscardelli e Serena Scipione (due studentesse tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila nel 2009), per molti degli accorsi a questa manifestazione che, giunta alla sua quinta edizione, ha saputo fidelizzare il suo pubblico e creare anche un po’ di turismo culturale in una regione come l’Abruzzo. Per loro, e anche gli altri presenti, l’evento aveva quindi un sapore diverso rispetto al classico concerto Rock o al solito festival Indie.

Sembrava quasi, per citare parole alla Battiato “un rapimento mistico e sensuale” quello che sono riusciti a creare gli artisti che vi hanno partecipato. La sera del 7 settembre finalmente lo spettacolo “Stazioni Lunari” ideato da Francesco Magnelli (membro fondatore di BeauGeste, C.S.I. e PGR ed in passato collaboratore dei Litfiba) è approdato in terra abruzzese in occasione della quinta edizione di “Note Sulle Ali di Farfalla – Notte per Federica e Serena”, manifestazione di solidarietà che ha ospitato precedentemente artisti quali Afterhours, Marlene Kuntz, Bandabardò, Brunori Sas, Calibro 35, Offlaga Disco Pax, Bugo, I Cani e Pan Del Diavolo e che si svolge ogni anno a Teramo in ricordo delle due studentesse Federica Moscardelli e Serena Scipione, tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila.

scaletta dimartino

scaletta Dimartino

La cornice dell’evento è stata la Villa Comunale nel quale erano presenti anche stand alimentari, una mostra fotografica curata da Dante Marcos Spurio, un mercatino musicale, un’esposizione artistica di Massimo Zazzara, una di moda a cura di Joele, giovane stilista teramano, con i suoi figurini ideati appositamente per l’occasione e persino una di Alessandro Paolone con le sue creazioni astratte su cotone egiziano. La serata è stata aperta da Dimartino, gruppo musicale indie pop italiano originario di Palermo che prende il nome direttamente dal suo leader, il cantante e bassista Antonio Di Martino.

Qualcuno dei presenti probabilmente lo aveva già visto anche in occasione del Soundlabs Festival a Castelbasso (Te) essendo il target del pubblico lo stesso ma riascoltarlo dal vivo seppure per un breve set di dieci canzoni è stata un’emozione non da poco. La sua scaletta infatti includeva tutte le canzoni più conosciute del gruppo, da “Venga il Tuo Regno” a “Non Siamo gli Alberi” passando per “Poster di Famiglia” e “Maledetto Autunno”.

Dopo circa trentacinque minuti di spettacolo è stata poi la volta dell’attesissimo progetto Stazioni Lunari che in passato ha ospitato artisti del calibro di Bugo, Teresa De Sio, Piero Pelù (Litfiba) e  Daniele Sepe (per citarne solo alcuni) e che per l’occasione ha riunito oltre ai soliti Francesco Magnelli e Ginevra Di Marco, Cisco (ex Modena City Ramblers), Cristina Donà e Cristiano Godano (voce, chitarra e anima dei Marlene Kuntz). Il format è lo stesso di sempre, Ginevra di Marco a fare gli onori di casa, padrona in movimento da una stazione all’altra che determina successioni, movimenti e favorisce commistioni fra i diversi mondi musicali degli ospiti che sono disposte su tre pedane disposte su un palco con una scenografia tanto minimalista ed essenziale quanto attraente.

scaletta stazioni lunari

scaletta stazioni lunari

Lo spettacolo è aperto da “Del Mondo”, proveniente dal repertorio dei C.S.I. che recentemente hanno deciso di riunirsi senza il loro cantante Giovanni Lindo Ferretti per un breve tour che porterà Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Giorgio Canali e Massimo Zamboni in giro per l’Italia fino a dicembre accompagnati alla voce dalla carismatica Angela Baraldi.

Tornando invece alla serata del 7 dicembre c’è da dire che massiccia è stata la partecipazione del pubblico che si rivelerà sempre educato e composto (nessun tentativo di pogo, neanche durante i pezzi più animati). La scaletta in questo caso ha incluso invece pezzi provenienti dal repertorio dei singoli artisti (ad esempio “Lieve” e “Trasudamerica” dei Marlene Kuntz) e persino un sentito omaggio al genio musicale di Lucio Dalla (“Com’è Profondo il Mare”) e brani tradizionali della nostra penisola.

Gradita ed inaspettata sorpresa è stata la ricomparsa sul palco verso la fine del concerto di Antonio Di Martino che ha voluto lasciare così un suo ulteriore contributo alla serata che si è conclusa con l’esibizione al laghetto della Villa Comunale del nuovo progetto di  Tito, leader dei Tito & the Brainsuckers, The Electric Flashbacks e con un dj set a cura di VxVittoria C. & Marco Mattioli (COSEPOP). “Note su ali di farfalla – Notte per Federica e Serena” quest’anno ha supportato il centro antiviolenza “ La Fenice”, di cui è intervenuta anche una rappresentante che ha spiegato le attività che svolge durante una breve intervista.

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Dimartino – Non Vengo Più Mamma

Written by Recensioni

Il vero cantautore è quello capace di portarti musica e parole dentro le vene, è quello capace di farti ridere, scherzare, piangere. Innamorare. E per quanto questa fosse una frase fatta e rifatta milioni di volte è così. E’ quello che in qualche modo riesce a raccontare le storie della tua vita, un animo turbolento e viziato del quale però non riusciremo mai a viverne senza. Poi in questi ultimi anni il cantautorato prende tantissime direzioni, quello che preferisco senza dubbio è quello che (senza stare a fare nomi già noti) nasce e si sviluppa nell’Italia meridionale. Dimartino è sicuramente sulla punta della piramide dei cantautori italiani degli anni dieci, belle canzoni, impatto live importante, genuinità. Sarebbe Bello Non Lasciarsi Mai, ma Abbandonarsi Ogni Tanto è Utile il precedente disco non lasciava troppo spazio alla critica negativa, una delle migliori produzioni italiane di quell’anno, uno dei migliori dischi italiani degli ultimi anni. Adesso decide di cambiare, sperimentare, rischiare. Il nuovo lavoro (un Ep) Non Vengo Più Mamma (unico supporto fisico in vinile) non è il disco che un fan di Dimartino si aspettava di ascoltare, o almeno in parte, c’è innovazione elettronica dentro, c’è un bel fumetto scritto da Dimartino e disegnato da Igors Scalisi Palmieri da leggere durante lo “sperimentale” ascolto del vinile.

Sei canzoni a comporre il disco (Ep), senza troppe riflessioni invernali come nell’opener “No Autobus”, il pezzo che da subito mette simpatia e leggerezza sulle spalle dell’ascoltatore. Poi Dimartino decide che le parole in qualche modo debbano finire nel pezzo interamente strumentale e sintetico “Il Corpo Non Esiste”, vera e propria novità artistica del musicista siciliano.

Con “Piangi Maria” ritorniamo a rivivere quelle emozioni classiche alla Dimartino nonostante la musica sembra ancora una crescente evoluzione sonora di quello che fu un ex conterraneo assessore, uno “Shock in my Town” rigenerato nella forma e nello spirito. In “Scompariranno i Falchi Dal Paese” si prova ancora qualcosa di diversamente ispirato, nelle sequenze musicali accompagnate da un inedito Dimartino oratore. Tutto sempre completamente “diverso” dal solito nei due conclusivi pezzi “Come Fanno le Stelle” e “Non Torneremo Più”, una dimostrazione di grande versatilità e prontezza di riflessi intellettuali. Non Vengo Più Mamma sarebbe bello non lasciarlo mai andare via dal vostro giradischi, una boccata di aria nuova, pulita, il desiderio di non dare mai niente per scontato nella vita. Dimartino non delude mai anche quando gioca con qualcosa che naturalmente non gli appartiene, la sua vocazione è quella di fare musica, per il resto divertiamoci nel vederlo giocare con ben riuscite sperimentazioni, Non Vengo Più Mamma suona come una piacevole parentesi nella carriera ancora tutta da fare di uno dei migliori artisti dello stivale. Forza Dimartino, noi non ti lasceremo mai.

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