Sunnsetter – The Best That I Can Be.

Written by Recensioni

Il nuovo lavoro del musicista canadese è l’esempio perfetto di come si possa trasmettere tantissimo con poco, sia in fatto di suoni che di parole.
[ 31.03.2023 | cantautorato, slowcore | Paper Bag Records ]

I ricordi vanno e vengono, come la luce. Il titolo del brano che apre il nuovo album di Andrew McLeod aka Sunnsetter contiene una metafora che descrive perfettamente la natura subdola e imponderabile della memoria, entità tanto astratta quanto concretamente presente nelle vite di tutti noi.
Del resto, il quinto lavoro del musicista canadese è uno spaccato vivido ed emozionale sulle sensazioni più intime e profonde che l’animo umano possa sperimentare.

The Best That I Can Be.. L’inusuale punto alla fine del titolo ha un che di conclusivo e assertivo, come se si volesse dichiarare al mondo intero che provarci non equivale a riuscirvi, ma non per questo il nostro cammino sarà stato meno degno di essere vissuto.
Ognuno di noi è ciò che è al di là delle aspettative altrui, che spesso ci vogliono maledettamente performanti e alla costante ricerca di una meta socialmente accettabile che in realtà è troppo spesso prefissata e richiesta da altri.

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Il sound dell’artista dell’Ontario parte da un cantautorato a tinte ambient e slowcore per poi lasciarsi andare verso derive shoegaze e space. Il disco è permeato da atmosfere DIY e sonorità accoglienti e ovattate che sono perfette per custodire tutti quei pensieri che spesso si fa fatica a confessare persino a sé stessi.

Se la già citata Memories (Come and Go by Light) è un bozzetto acustico che introduce perfettamente l’album, le sonorità indie rock miste a fascinazioni dream pop che caratterizzano Float in Circles sono un vero toccasana per l’anima.

Forte di uno dei refrain più riconoscibili e accattivanti del disco, Always Talk, Never Speak riesce a far male nonostante le sue melodie ariose e delicate.
La chitarra di Sunnsetter tocca puntualmente le corde giuste dell’animo, risvegliando nell’ascoltatore ricordi sopiti ma mai cancellati del tutto. L’album appare come un trattato su come la memoria sappia essere al tempo stesso amica e carnefice, commovente e spietata.

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I riverberi sognanti in cui è immersa la bellissima In the Ocean sono perfetti da ascoltare in solitudine su una panchina mentre osservi il mare e ripensi a tutto quello che nella tua vita non è andato secondo le previsioni (probabilmente tanto, altrimenti non staresti ad ascoltare certa musica).
È bellissimo farsi cullare dalle onde sonore del brano, la consapevolezza dolorosa che si fonde con una palpabile sensazione di quiete. In definitiva, l’accettazione della propria fallibilità come essere umano.

Dopo aver assaporato le sonorità vagamente shoegaze di Surely Everything’s Alright, la strumentale The Whole World That Turns Around Itself è un esempio perfetto di quanto si possa comunicare tantissimo pur non proferendo neanche una parola. Un magico episodio space rock che riporta alla mente le atmosfere evocative e impagabili dei Duster.

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È significativo come il brano più dinamico e compiuto del lotto sia anche quello conclusivo: Can’t Forget sa di compendio finale, e nei suoi quasi sette minuti di durata riesce perfettamente nell’intento di fotografare fedelmente sonorità e atmosfere dell’album. Un’istantanea sincera e appassionata di un disco semplice ma incredibilmente vitale.

The Best That I Can Be. è un album intimo e profondo, soave e doloroso. Un ascolto per gente solitaria ma che non ha rinunciato del tutto a connettersi con il mondo, alla costante ricerca di un modo per comunicare all’esterno tutto il proprio, immenso universo interiore.
Un lavoro fatto di sussurri e che emana bellezza e poesia. Si può fare molto anche con poco, in musica.

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Last modified: 7 Aprile 2023