“Diamanti Vintage” Violent Femmes – Violent Femmes

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Tre  storditi intellettualoidi di Milwaukee, Gordon Gano, Brian Ricthie e Victor De Lorenzo, per la gente del posto tre fancazzisti drogati di tutto, si incontrano e senza nemmeno guardarsi negli occhi, condividendo solamente la passione storta per il rock libero da complicazioni, decidono di formare una band e in due giorni, prendendo in prestito il nome di una nota marca di assorbenti decidono di chiamarsi Violent Femmes, e mischiando i loro gusti spalmati dal gospel, al folk, trucioli jazz, punk e gli albori di una timida new-vave cominciano la loro avventura che si dipana tra suoni acustici ed elettrici, un insieme di stimolazioni e novità che in poco tempo prendono la curiosità di pubblico e addetti ai lavori

Con Faulkner, Cash, Richman ed i suoi Modern Lovers, Pastorius ed altri geni in circolazione tra i neuroni, i VF diventano subito idoli di folle di nerd, intraprendono con l’aiuto del chitarrista dei Pretenders, James Honeymann, un tour che finalmente li sbarca nella Grande Mela ed è proprio lì che il fenomeno Violent Femmes deflagra in tutta la sua potenza, in tutta la sua grazia maledettamente sgraziata, ed è il trionfo.

Tra Modern Lovers e Talking Head, il loro sound infatua tutta l’America underground, e questo loro album omonimo pieno di cori ubriachi, attitudini punk, melodie radiofoniche, cabaret, ed improvvisazioni ritmiche utilizzando anche bidoni, pentolacce, lamiere ecc, va a colpire il segno e li porta a generare una scia di ascolti paurosa; dieci tracce gettonatissime e stilose che prevedono cambi d’aria e di gusto immediati alla giovane America che ne rimane sconvolta, lo shake avvitante “Kiss off”, lo slogamento punk con un giro di basso e cordame di chitarra folli “Add it up”, il pop-surfer che ondeggia simpaticamente tra le rime di “Promise”, lo stuzzicante xilofono che viene suonato come dentro una jam session alcolica “Gone  Daddy gone”  e la lenta ballata dal pad sausalito “Good feeling”, un lungo addio di violino e  piano che vanno a chiudere il cerchio di una band che lungo i dorsali degli anni Ottanta generò un equilibrio tra stranezza ed bellezza tutt’ora mai superata.

Lester Bangs disse che questo disco era un piacere per le orecchie e che difficilmente poteva suonare meglio, ma aveva solamente scoperto l’acqua bollente!

Last modified: 2 Luglio 2012

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