Temporary Residence Tag Archive

What’s up on Bandcamp? [luglio 2022]

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I consigli di Rockambula dalla piattaforma più amata dalla scena indipendente.
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Explosions in the Sky – The Wilderness

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Oltre quindici anni di carriera alle spalle, sette album all’attivo, quattro colonne sonore tra cinema e TV e la consacrazione nell’olimpo delle migliori band post rock di sempre. Cos’altro chiedere agli Explosions in the Sky dopo un lavoro eccellente come Take care, take care, take care, la cui apertura e rottura col passato aveva cominciato a scalfire l’unicità dei Mogwai? Ebbene, le vie del Post Rock sono infinite così come sembrano essere le frecce nella faretra di Hrasky e soci che, senza troppi fuochi d’artificio, dopo cinque anni dall’ultimo lavoro in studio sfornano The Wilderness.
Un titolo secco e preciso e una scelta non usuale per i quattro texani che apre le porte della nostra percezione su una landa selvaggia che però, a detta dello stesso Hrasky, non proviene da nessuna esperienza di vita à la Into the wild e si configura come mezzo per creare la sensazione di un viaggio dove le cose non vanno nel modo in cui ti saresti aspettato.
The Wilderness, seppur ben ancorato all’aspetto strumentale chitarristico e marchio di fabbrica della band, spesso riluttante ad un uso massiccio dell’elettronica, appare come un album innovativo. L’accoppiata “The Wilderness” – “The Ecstatics” racchiude il core sound dell’intero lavoro ed è qualcosa di sorprendente nel suo essere così lontano e allo stesso tempo così vicino alla loro tipica eleganza. Lungo le nove tracce di The Wilderness si possono apprezzare dei richiami vaporosi agli anni Settanta (“Logic Dream”) che ne dimostrano la profondità e l’accuratezza sonora. “Disintegration Anxiety”, che divide il tutto a metà, è una corsa contro il tempo in pieno stile EITS, “Colors in space” conclude la sua cavalcata trionfale in un’estasi mistica che apre alla splendida, finale e riflessiva “Landing Cliffs”.

Un sound positivo che conduce per mano tra luoghi, persone, ricordi, parole, voci e rende The Wilderness un disco satellite rispetto ad un ascoltatore ormai in continuo movimento.
Le parole di Michael James su John Congleton, storico produttore della band , ben fotografano la situazione della band e la gestazione di questo disco: “Ok John, sei stato un tipo strano per tutto questo tempo. Facciamolo ancora più strano.” E l’abbiamo fatto!.
Se il Post Rock è ancora un pasto digeribile è anche merito loro.

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Gletscher – Devout

Written by Recensioni

Metà Indie, metà Progressive e metà Metal e poco importa se c’è una metà di troppo in questo trio svizzero perché modo più diretto di farvi capire di che si tratta, senza costringervi ad ascoltare, non ce n’è. Da Zurigo giungono i due Marc Ysenschmid (basso) e Raphael Peter (batteria) mentre Joileah Concepcion (chitarra e voce) ex di Sleeping People (misconosciuta band di San Diego che merita più di un paio di ascolti) e Temporary Residence, pare arrivi addirittura dalla lontana Brooklyn e sembra anche abbia promesso un debutto solista a nome Victoria Concepcion. Se, come suggeritovi, vi siete messi già alla ricerca dell’omonimo del 2005 o del due anni più giovane Growing, o di qualunque altra cosa targata Sleeping People, potrete notare con le vostre orecchie quanto sia rilucente il legame tra l’attuale proposta della band svizzera e la band californiana, specie nella sua commistione tra elementi modernamente Indie Rock e testardaggine di stampo Math Core. La cosa che più traspare, visto anche l’uso ridotto all’osso della voce, è tuttavia una similitudine fortissima con l’Alternative Rock degli A Perfect Circle e (al disopra di tutto questo sarà il vero fattore negativo della valutazione) con la titanica creatura di Maynard James Keenan chiamata Tool.

Devout è gonfio di ritmiche poderose e chitarre taglienti e non pochi sono i momenti in cui l’ossessività e la ripetitività del sound creano una sensazione di potenza impressionante, eppure ciò in cui non riescono non è solo reggere il paragone con i succitati colleghi, quanto anche dare un’impronta omogenea alla loro musica, troppo spoglia per seguire la strada incominciata del Prog Metal e poco solerte e dinamica nei limitati ingredienti messi sul piatto. Alla fine, tolti un paio di brani come la first track introduttiva (“Eulenmann”) che quasi pareva preparare il terreno a un album Avant Folk (qualche elemento è ripreso anche in seguito, vedi “December”) e altri nei quali tutto l’impianto sonico messo in piedi dai tre regge bene l’impatto con l’ascolto, il resto è un continuo ripetersi di poche e non troppo brillanti idee. Ben compiute ma pur sempre smisuratamente esigue e esiguamente promettenti.

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