Rock Alternativo Tag Archive

ZiDima – Buona Sopravvivenza

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I milanesi ZiDima sono un ciclone musicale che ha iniziato a calcare i palchi dalla fine degli anni 90. Dopo una vita passata tra autoproduzioni , i frutti del sacrificio sono stati raccolti nel 2009 col disco Cobardes uscito in occasione del processo d’appello per i fatti violenti della scuola Diaz nel corso del G8 del 2001. Da lì parte l’ascesa. Tappa fondamentale è il 2013 quando incidono “Come Farvi Lentamente A Pezzi”, singolo che accompagna la mostra “Muri Stracciati” di Silvano Belloni al Palazzo del Moro di Mortara e che farà parte delle nove tracce del nuovissimo album Buona Sopravvivenza. Con premesse così altisonanti è quasi d’obbligo attenderci lo scalino successivo per proseguire la scalata. La tesa “Un Oceano Di Fiati Distrutti” ce li fa accostare istantaneamente  ai Ruggine, ai The Death Of Anna Karina, ai Lantern, a quella corrente Post-Hardcore italiana che tanto bene sta facendo da diversi anni a questa parte. Le liriche spesse di tormento e intimistiche ci parlano da uno scenario alienante, dove comanda una tensione priva di ritegno. L’urticante “Inerti, Comodi E Vermi” è veloce come un sorso d’acido. La placida apparenza di “Trema Carne Mia Debole” nasconde in realtà una pantomima il cui punto focale è il conflitto interiore, recitata dall’ugola sibilante di Manuel. Il gioco si ripete e alla verdeniana “L’Autodistruzione” si contrappone la pacatezza di “Sette Sassi”, che si velocizza come una tormenta in mare aperto e lo fa senza avvertire, a pieno regime. Affrontare una tematica come l’amore non è mai una cosa scontata per la band: “Saziati”, che vede tra l’altro la partecipazione di Stefano Giovannardi ai synth e di Miriam Cossar alla voce, incorpora uno zenit fazioso privo di lucentezza dove anche un sentimento positivo si tramuta in un qualcosa di sulfureo. Buona Sopravvivenza mantiene le promesse fatte toccando la sfera personale di ognuno di noi con mani ruvide come carta vetrata. E nonostante questo dà un senso di piacere. A me e a voi che li ascolterete.

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La Nevrosi – Altro che Baghdad

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Ci sono delle regole ben scritte fatte per essere violate: una può essere che non è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera. Un’altra è chiara e raramente è stata smentita: quando un disco si apre o colloca tra le primissime tracce il singolo (che tra l’altro dà anche il titolo allo stesso), avrà poco da dire nel proseguo. Partiamo dal principio…

La Nevrosi è un quartetto partenopeo composto da una sezione ritmica tutta al femminile che si completa con i maschietti a occuparsi di voce e chitarra. Il 2013, anno del loro concepimento, ha riservato ai ragazzi già una prima vittoria non di poco conto: la finale del famoso programma Roxy Bar TV di Red Ronnie, dove hanno presentato tre canzoni che ad Aprile 2014 avrebbero composto il loro debut Altro che Baghdad. E arriviamo, disco alla mano, a capire la strada intrapresa da La Nevrosi e a dare un senso a ciò a cui alludevo nell’introduzione di questo articolo. L’inizio è buono, fa ben sperare: la titletrack ci parla di conflitto inteso come guerra (del Golfo o la più attuale caduta del regime di Saddam Hussein?), ma ad un’analisi più attenta ci si interroga se il testo non camuffi ben altre metafore. La seguente “Non Va Più Via” ci pone dinanzi una evidente débâcle: la somiglianza del timbro vocale di Antonio con il collega Vasco Rossi, un paragone che a mio avviso non sa di bocciatura vera e propria, ma toglie un pizzico di originalità alla proposta della band. Nei due brani seguenti, sicuramente i più cupi dell’album, La Nevrosi celebra due persone: una nota e fisica è quel mai troppo compianto Luigi Tenco, qui omaggiato con un riarrangiamento in chiave Rock della sua intramontabile “Vedrai Vedrai” del 1965. L’altra non ha nome, o forse non ci è concesso saperlo, ed è la struggente “La Tua Canzone” a raccontarci la sua storia, fatta di sofferenza e rassegnazione. Con “Ogni Notte è Così” si sterza verso lande più ruvide, su certe sonorità vicine agli inglesi Blood Red Shoes,dove la chitarra regge bene il colpo, sentendosi perfettamente a suo agio. Questo sarà il canone seguito anche per i quattro brani successivi, resi accattivanti dalle armonizzazioni della sei corde di Enzo, mai stucchevoli o scontate. A far calare il sipario è la romantica “La Tua Vita Sarà”, cruda nelle parole, ma che nasconde la dolcezza di chi, sconfitto, ha sete di rivalsa. Terminato l’ascolto torno a chiedermi, e a chiedervi, quali regole sono state rispettate e quali no. In cuor mio un’idea me la sono fatta ed è per questo che non vado oltre la sufficienza.

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Laika Vendetta – Elefanti in Fuga

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Nuovo disco per i Laika Vendetta, Elefanti in Fuga racchiude rabbia e maestosa potenza, la voglia di non accettare il presente sbattuto in faccia dalle impetuose chitarre. Non è facile lasciarsi tartassare lo stomaco, un pugno dietro l’altro, sentori di Hard Rock anticipano sensoriali atmosfere Stoner. Il Rock bello deve picchiare duro nella sostanza ma soprattutto nella forma, i Laika Vendetta spiegano minuziosamente la loro lezione di “ribellione”. Apertura dura con “L’Ineluttabile”, Alt Rock tipicamente italiano, il sapore degli anni novanta sulla bocca, il pezzo tira dritto com’è giusto che sia. Niente di riscaldato nella mia minestra, il forte dissenso espresso nel testo (testi in italiano) viaggia perfettamente in armonia con la mia moderna visione della vita. Dire condizione di vita di merda è fare complimenti. Intima ed arpeggiata la successiva “Milano Roma”, il brano cresce quasi subito, dolce violenza. I suoni non sono freschi ma l’apporto delle dure chitarre rimedia una situazione d’avanguardia non troppo presente. Avete presente i chitarroni dei One Dimensional Man quando erano ancora vivi? Subito cattiveria in “La Sposa di Fango” (ispirata all’omonimo racconto di Emidio De Berardinis), l’aria si mantiene pesante per tutta la durata del pezzo. Perché se non è ancora chiaro i Laika Vendetta picchiano decisamente forte e gridano disagio senza precauzione. Ho sentito il fiato di Cristiano Godano nella morbida (per quanto possa esserlo) “Inverno Estate”, sarà l’impressione ma qualcosa mi ha portato direttamente verso quella direzione. Ho apprezzato incondizionatamente il suono del basso, diamante grezzo dell’intero brano. “Labile” parte benissimo e qui il titolo stesso riporta ai MK più vecchi e credibili possibile, non trovo entusiasmo e lascio scivolare senza pretese. Sarà quell’attaccamento così conformato alla scuola alternativa italiana, sarà che per sentirsi vivi serve ben altra roba. Ecco “Elefanti in Fuga”, un pezzo scritto di pancia, armonie Progressive e razionalità da vendere.

I Laika Vendetta per la prima volta durante il disco riescono ad osare con successo. Ballatona d’amore violento, sentimento e follia, è il momento di “Samsara”, il ciclo della vita, della morte e della rinascita. Non c’è niente da fare, la parte migliore di questa band è l’espressione della potenza, in “Samba Generazionale” tutto questo viene fuori nonostante il passo non presenti esagerate vocazioni compositive. C’è chi nasce per fare bordello. Il disco si lascia condurre fino alla fine, la chiusura affidata ad una melanconica “Kali allo Specchio” rilassa i nervi tenuti sotto tensione per l’intera durata del disco. Immaginate davvero degli elefanti in fuga, pensate al frastuono prodotto, al caos generato, alla disperazione. Ecco cosa si prova dopo avere ascoltato questo lavoro. Tante cose belle e pochissime brutte, i Laika Vendetta ti entrano bastardi nelle viscere e non sarebbe affatto male lasciarsi prendere. Non hanno niente da invidiare a tante super affermate band nostrane, Elefanti in Fuga mantiene viva la tradizione dell’Alt Rock italiano. Guardatevi intorno e trovate di meglio se riuscite a farlo.

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Insect Kin – The Faster, Louder, Loser EP (Canzoni Sull’Orlo di Una Crisi)

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Aprendosi con un’irresistibile sensazione di  voragine che si spalanca sotto i piedi con l’intento proprio di fagocitarti interamente nel suo stomaco sonico “Pretty Little Cuties”, “The Faster, Louder, Loser EP” (Canzoni Sull’Orlo di Una Crisi) –  il ritorno ematico dei milanesi Insect Kin – mette subito bianco su nero le sue intenzioni di non passare “inosservato”, un marcato contrasto che si mette a zeppa tra tantissime pubblicazioni vanesie e il tenore idiosincratico di suoni senza suono, sei tracce più una bonus track che giocano un ruolo elettrico che mette sull’attenti chiunque. Lapilli Grunge, saette Stoner e giugulari ingrossate come tubi di gomma, bypassano un effetto di lacerazione, ossessione e disagio come modalità di espressione, un disco che ti carica come pochi e come altrettanto pochi bastona il giusto.

Più che una crisi riversata su canzoni si potrebbe ridefinire una sete spasmodica di libertà elettrica, una iperveloce precisione maniacale a scansionare e costringere l’ascolto a fare i conti con i carichi e le nervature di un Rock ibrido, che non si assoggetta ai diktat fashion ma morde e sbava di suo, con la bellissima forza della schiettezza di un canzoniere issato su barricate di pedaliere e ampli infuocati e fumanti: watt e cuore dolorante, pogo e tremori a dispersione, rabbia e fretta di urlare al massimo del punteggio, una straordinaria pagina rock che gli Insect Kin griffano come una maledetta profezia col jack.

Nirvana, ombre desertiche, limature Verdeniche e sangue offuscato sono le singolarità della verve d’ascolto della formazione meneghina, una rigogliosa giungla di distorsori e poetica svenata che trova mentalmente una suo pathos elaborato, qui la leggerezza non si sa cosa sia effettivamente, tutto spacca e a volte placa come la tenerissima “Saint-Exupery”, il resto della miccia è innescato nella baldanzosità grunge della titletrack, nella stizzosità punkyes “Moondog Coronation Ball” o nelle ecchimosi bluastre che “(The dDscent)” ti lascia come un succhiotto dato da un’amante in sifilide acuta.

Gli Insect Kin sono tornati sulle scene per espandere il loro voluminoso essere, uno dei registrati più toccanti e belli che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, specie quando transita sullo stereo la bellissima tracotanza di un brano che sembra l’anima indomita di un guerriero sulle rovine del mondo “#Revolutionoutofstok”.

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Caoscalmo – Le cose Non Sono le Cose BOPS

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Power-trio da Roma. Francesco Maras, Daniele Raggi e Andrea Samona sono la nuova formazione di Caoscalmo. Progetto già attivo da qualche tempo che esce ad Ottobre con l’EP autoprodotto Le Cose Non Sono le Cose. Nel titolo è racchiusa la tematica che lega le cinque tracce . I brani (rigorosamente in italiano) raccontano una realtà smarrita nell’ossessiva ricerca di un cenno di verità. Testi immediati, non banali ma nemmeno cervellotici. Vocalmente e musicalmente il gruppo si difende: bei suoni ed arrangiamenti ma l’ep ha poco di nuovo. Le influenze del disco vengono principalmente dal rock alternativo italiano anni ’90 come Afterhours o Ritmo Tribale alternate a stacchi alla Rage Against the Machine. E’ un lavoro piacevole ma per chi è alla ricerca di  qualcosa di nuovo è tempo perso: non c’è nulla che in Italia non si faccia già da vent’anni.

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Piccoli Omicidi – Ad un centimetro dal suolo

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E’ vero, è evidente: come da più parti ho letto in maniera più o meno diplomatica c’è un’affinità spietata fra questa band e ciò che abbiamo ereditato da Marlene Kuntz, Afterhours e compagnia bella… Il primo pungolo che mi giunge è il senso di già sentito, di ripetizione di clichè lirici e musicali già usati (che nemmeno mi sono mai piaciuti così tanto!). Bene, perchè così posso smascherare questo mio limite, invitare chiunque sia affetto da esso a fare lo stesso e cominciare ascoltare Davvero.

E dietro la tendina scopro un paesaggio assolutamente armonioso quanto variegato, un torrente di tracce musicali che scorre ora  ripido e spumeggiante, ora placido e stancamente, necessariamente pungente.
Mai privo di poesia, immune da carenza di passione, il disco richiede un ascolto attivo ed attento per essere goduto fino al fondo dei numerosi e preziosi interstizi che nasconde. Spesso li si riconosce sotto frasi gettate con indifferenza fra le altre, a volte in un abuso di suffissi… frasi penetranti come chiodi, finalmente prive di quella corretta pietà cristiana che appiattisce gli stimoli.
Amabilmente “Ad un centimetro dal suolo” permette di giocare con l’ascolto, a volte pericolosamente, se ti lasci cadere in qualche abisso umano proprio mentre stai galleggiando sulle armonie placide che ingannevolmente lo descrivono.

Musica che “denuncia” e “stimola” con equilibrio fra ironia e rabbia, con alterna efficacia a seconda delle indoli ascoltanti  (gran bel segnale questo!), ma sempre con quell’onestà di approccio che non può mancare di offrire terreno fertile a quanti sappiano e vogliano godersi le cose.

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