Noja Recordings Tag Archive

Monsieur Voltaire – 33

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Marcello Rossi, in arte Monsieur Voltaire, decide di incamminarsi da solo in un progetto che lo vede assoluto protagonista della sua penna, un disco in cui scioglie la sua creatività molto versata in quelle planimetrie edulcorate degli anni di un certo flower power psichedelico dalle parti di Terra d’Albione e che però non fa mancare anche inserti e piccole “pietre dure” lesinando frikkettonerie che negli anni Sessanta “Last Place” si potevano trovare forti e “alleggerite” tra Quetta e Rishikesh con qualche Maharishi Mahesh Yogi a gironzolare d’intorno.

33 è il passo fondamentale in solitaria dell’artista toscano, otto tracce ancorate nell’Age Folk d’eccellenza, ballate e piccole giade soniche che della scena dell’Acquario attingono a iosa, ma lo fa con entusiasmo quasi virginale, quella aleatoria distanza di scrittura che si differenzia dalla media, potremmo dire che vola alto e che sorvola le intuizioni psicotrope di Drake, molto i Beatles in area India “The Run” e tutte quelle appariscenti e delicate visioni che un Donovan “The Shine”, “Emily” qui e –tra i tanti – un Bert Jansch “Higher Than The  Sun” la si scambiano come trofei di arte d’attitudine alcaloide; tracce dalle molte letture ed un ascolto variegato e che nonostante i multipli debiti con gli artisti citati, riescono a far emergere una certa dose di originalità, senza auto-celebrazioni o linguaggi esasperati da intellettualismi, e con una ottima fruibilità e decisamente bello il transfert mentale che procura.

Monsieur Voltaire in poche parole ha strutturato un viaggio mentale a ritroso nel tempo, o meglio in un dettaglio del tempo, torna a ricamare ed accentuare le attraenze di quella proposta musicale che si fece mito, giunge a considerare quelle intelaiature dreaming come parte focale  – e stilistica – di ricerche e carotaggio culturale, qui nello specifico i giochi metedrinici di “ Waiting to be Kill” e quello che si può considerare il rubino incontrastato dell’intero lotto, “Purgatory”, tre minuti di dilatazione d’anima in un cielo looner che si annoda con le sue corde acustiche ad una irrefrenabile smania di ricominciare tutto, dall’inizio.

È magia potente, lasciatevi avvelenare.

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Barbagallo – Blue Record Ep

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Barbagallo è un giovane artista siciliano che si contraddistingue per la sua naturale propensione alla musica da poli strumentista autodidatta. Capace di spaziare da melodie Classic Jazza composizioni più frizzanti Folk Blues, sempre con l’accortezza di una composizione fluida e originale che si riversa nei più schietti e sinceri passaggi di psichedelia Rock. Blue Record è un Ep di otto brani missati con dedizione per proporci un ascolto che spazia tra timbriche molto diverse che conferisco a questo extended play un onda sonora surreale per un viaggio musicale composto da atmosfere introspettive.

“SoulSelf”è il brano che apre l’Ep, attacco da Big Band vecchio stile, mi ha lasciato un po’perplesso all’inizio, ma probabilmente la scelta è dovuta al passato musicale di Barbagallo. “Radion”, la seconda traccia, comincia a staccarsi dalle convenzioni per portarci in un’atmosfera di fluido Blues che ci scioglie per portarci dentro. Segue una cover del buon vecchio Neil Young,“For The Turnstiles”. A scendere “In my Better Cup” e “Rats & Mosquitoes”due pezzi cupi e visionari che toccano l’intimità di Barbagallo in una ambientazione da cattedrale abbandonata. “Hiss of Hush”non è da meno, liquida mi ha fatto scioglere, il pezzo migliore secondo me. Chiudono l’album,“Jewish” e “Rainbow”; la prima confusionaria con un magnifico clarinetto di sottofondo, la seconda onirica conclude l’Ep lasciandoci nel sogno, nella speranza con splendidi accordi di chitarra.

A parte la prima traccia che sembra un po’ fuori tema questo è un ottimo lavoro che premia la genialità musicale di questo ragazzo che con estrema musicalità e padronanza della composizione non lascia nulla al caso per farci scivolare in noi stessi in modo fluido senza incupire.

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Gentless3 + La Moncada – In The Kennel Vol.1

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Nel canile. O nella cuccia, a seconda della traduzione che preferite.
Non più il concetto di underground della musica emergente suonata in cantina, con quel retrogusto di orgogliosa ribellione al panorama mainstream o a quello indipendente delle comunque grandi distribuzioni, bensì un sapore amarognolo di emarginazione, di sottomissione e abbandono.
Sembra questa l’idea portata avanti dal trittico Noja Recordings, Blue Record Studio e Goat Man Records: un progetto di registrazione, promozione e distribuzione lontanissimo dagli stilemi del mercato.
“In The Kennel”, infatti, è tanto lontano dal marketing che non mira a lanciare una band in particolare, ma promuove la sinergia tra realtà musicali diverse, di tutta la penisola, chiamate a collaborare per la realizzazione di un riarrangiamento vicendevole dei loro brani.
Il primo volume di “In The Kennel” vede protagonisti i siciliani Gentless3, con le loro sonorità crepuscolari, se non addirittura notture, quasi oniriche, sospinte dall’organo e dal piano, e il post-rock più tradizionale dei piemontesi La Moncada.
Ok. Messa così sembra una manovra kamikaze dal punto di vista economico e anche artistico, visto che il risultato finale non sembra permetterci di capire nulla né di una band, né dell’altra.
Eppure ce n’è d’avanzo di pregio artistico nella capacità sinergica di mettersi in gioco e tirare fuori quattro tracce, due in italiano e due in inglese, omogenee per stile e intenzione, per riferimenti e sonorità.

Certo, bisogna dire che la buona volontà e la compattezza stilistica non sono gli unici aspetti che possono essere considerati. “In the kennel”, purtroppo, manca di verve, non ha presa.
“Rabbia killer”, in apertura, è decisamente più mesta di quanto il titolo possa far pensare, tutta incentrata su melodie ariose, tanto delle chitarre quanto del piano, e patisce la mancanza di una vera e propria apertura: il pezzo sta lì, non si muove mai dalle sensazioni placide dei primi secondi d’ascolto.
“Murmur”, non si discosta molto dalla precedente, ma, sarà per l’inglese, sarà per una cura più attenta a piccole note di colore, è caratterizzata da un’atmosfera più densa che trascina l’ascoltatore.
Non mi sento decisamente di dire lo stesso di “I numeri”: troppo già sentita, troppo permeata di quel gusto tipicamente nostrano per la rima e per il testo impegnato e programmaticamente polemico. Non si distingue per niente in particolare e, anzi, marca veramente una brusca caduta qualitativa nella raccolta.
Riuscita, invece, è “On busting the sound barrier”. Una bella cassa cardiaca e ipnotica, le chitarre emergono con elegante prepotenza, con un giro ripetitivo e dissonante che ci culla sulla voce roca e slittata in secondo piano, cui se ne aggiunge una seconda, parlata, sul finale: non romperà la barriera del suono, ma è un brano ben costruito, molto elaborato e decisamente pregevole per la cura effettistica.
Il progetto “In The Kennel”, per la sua originalità e per il grande merito di mettere in contatto e far reinventare artisti tanto diversi tra loro, è assolutamente rispettabile. C’è da sperare, però, che la seconda uscita, cui lavoreranno il duo Mombu e il cantautore Paolo Spaccamonti, sappia partorire qualcosa di più originale e soprattutto di più coinvolgente.

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