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MaDeDoPo: che pacco al Primo Maggio!

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Ma come pensate si potesse cantare una canzone come “Pornobisogno”? Solo dei bacchettoni catto-comunisti possono inorridire per uno show come quello del Management del Dolore Post-Operatorio al Concerto del Primo Maggio di piazza San Giovanni a Roma. Anzitutto viene da chiedersi se avessero la più pallida idea di chi stavano per far salire sul palco, visto che non è sufficiente scrivere una canzone come “Norman” per dimostrare di essere un gruppo sensibile alle tematiche del lavoro e schierabile nella fila dei musicisti “rossi”. Introducendo “Pornobisogno”, Luca Romagnoli, frontman della band abruzzese, solleva un preservativo a mo’ di ostia e parafrasando la formula della Comunione dice «Prendete e usatene tutti, sentite a me». Eh. Guardate che se c’è bisogno di dirlo è perché di contro c’è qualcuno che ancora consiglia l’astinenza sessuale e ancora qualcuno che si sente colpevole nell’impiegarlo. Ci sono suore nelle missioni che li distribuiscono di nascosto dalla Santa Sede e preti che lavorano a stretto contatto con realtà in cui l’AIDS è un problema tangibile eppure continuano a tacere la più banale e spiccia educazione sessuale. Si poteva evitare? Sì. Non chiamando a suonare i MaDeDoPo. Che subito dopo questo gesto si lanciano in gran rotazioni pelviche, simulazioni di cavalcamenti d’asta e masturbazioni manuali e orali al microfono. Signori. I Rolling Stones che si bullavano di far eccitare le ragazzine ai loro concerti al punto che se la facevano addosso o Robert Plant che di spinte pelviche all’aria ne dava parecchie o Gilberto Gil che cantava “Miserere Nobis” da una tavola finto-ultima cena imbandita di banane e ananas, considererebbero questi ragazzi dei seri dilettanti. E invece no. L’organizzazione inorridisce, stacca la corrente, li fa portare via dalla security, tanto per dare a Romagnoli il pretesto di calarsi le braghe (ndr fummo lungimiranti e attenti nell’intervista) e mostrare i suoi attributi. Fanno punk, signori, cosa vi aspettavate? E il giorno dopo Marco Godano, organizzatore del Concerto, ha anche il coraggio di dire la sua: “Mi dissocio duramente per la violenza e la scorrettezza che perseguiremo anche per vie legali confermando ancora una volta che laddove gli artisti non sanno autoregolamentarsi, per quanto ci riguarda, non sono degli artisti in linea con lo spirito del concertone. Sottolineo inoltre come questi atteggiamenti stridano con i temi culturali, artistici e sociali che questo palco rappresenta. Infine trovo che sia uno schiaffo alla compostezza e alla passione che ci arriva da centinaia di migliaia di spettatori”. Io ero al Primo Maggio del 2009, quello con Vasco Rossi. Vi assicuro che non c’era nulla di composto tra quella folla. E potremmo stare ore a parlare di quanto fosse opportuno o meno il leccaculismo isolano con tanto di sketch sulla bandiera dei Quattro Mori o cosa c’entrino ancora, in fondo, i faccioni anacronistici del Che, o i pensierini dei bambini extracomunitari di una scuola elementare sulla loro integrazione, ma concentriamoci sull’ostia di lattice, mi raccomando.

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L’EP DEI VOINA HEN “FINTA DI NIENTE” IN FREE DOWNLOAD!

Written by Senza categoria

Il post-grunge italiano con sana attitudine punk dei VOINA HEN in regalo dal sito ufficiale www.voinahen.com in cambio di un post sui social network!
DOPO L’ANTEPRIMA VIDEO E STREAMING INTEGRALE DAL SITO DI LA REPUBBLICA XL – vedi link: http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2013/03/29/voina-hen-finta-di-niente/ – la band abruzzese VOINA HEN sceglie una strategia poco convenzionale per continuare a far parlare di sé, regalando dal 2 APRILE 2013 l’EP “FINTA DI NIENTE” DAL SITO UFFICIALE: www.voinahen.com IN CAMBIO DI UN POST SU TWITTER O FACEBOOK.
La procedura è molto semplice: dalla home page del sito della band, si clicca sull’apposita scritta per atterrare su una pagina in cui si invita cortesemente a postare – quindi condividere – sul proprio profilo Facebook o Twitter il gesto che si sta compiendo, cioè il download dell’EP. Accogliendo il semplice invito, inizia il conto alla rovescia, e in meno di 10 secondi comincia il download della cartella contenente le canzoni in formato mp3 e i testi!
I quattro brani dell’EP “Finta di Niente” sono stati prodotti da Manuele “Max Stirner” Fusaroli (celebre produttore artistico che vanta collaborazioni di notevole spessore e conclamato successo) e da Marco Di Nardo, detto “Diniz”, compositore e chitarrista del gruppo musicale di origine abruzzese Management del Dolore Post-Operatorio, amico e conterraneo dei Voina Hen. Nello studio ferrarese Nhq (Natural Head Quarter), durante il mese di gennaio 2013, la Infecta – Suoni & Affini ha sfoderato un altro originale prodotto di qualità di musica indipendente italiana.
COMPONENTI dei VOINA HEN: Ivo Bucci è la voce in lingua italiana; Francesco Di Nardo e Nicola Candeloro sono alle chitarre; Amedeo Bolletta al basso; Domenico Candeloro alla batteria.
IL VIDEOCLIP “FINTA DI NIENTE” – special guest La Giraffa

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NADAR SOLO

Written by Interviste

E’ una delle poche volte in cui avverto un’attesa, tensione positiva. Una fionda tirata quasi a strappare l’elastico. Pronta a lanciare un sassolino intento a crepare la dura corazza di indifferenza verso la musica che nasce dalle cantine piemontesi. E che troppo spesso nelle cantine ci rimane.
I Nadar Solo sono attivi dal 2005 nel nome del rock italiano dritto e vero. E ora sono ben pronti a presentarci il loro nuovo album: “Diversamente come?” (Massive Arts, nei negozi dal 29 Gennaio). Da qualche giorno gira in rete il video de “Il vento”, brano che anticipa il disco e (giusto per aprire un po’ di più la crepa) si avvale della partecipazione de Il Teatro degli Orrori al completo.
Ma quali crepe allora! Tocchiamo ferro, ma qui ci sono tutti i presupposti per spaccare a colpo sicuro la corazza. Rockambula incontra Matteo De Simone, voce e basso della band.

Intitolate il disco con una domanda spiazzante. Ma che cos’è secondo voi “il diverso” al giorno d’oggi?
Matteo: Il diverso è sempre stato ed è ancora tutto quello che ci fa paura. Assume un colore negativo quando lo viviamo come una minaccia ai capisaldi della nostra sicurezza, perché contiene in sé la possibilità del cambiamento. Ma la possibilità di un cambiamento può significare anche speranza nel momento in cui il nostro presente sia tutt’altro che sicuro e confortevole, come in questi anni difficili. Il grande Monicelli disse “La speranza è una trappola” e questo è vero su un piano politico, ma sul piano individuale la speranza è il motore dell’evoluzione personale, il presupposto per un’esistenza progettuale e soddisfacente. Il problema oggi è ritrovare la fiducia nella possibilità di un cambiamento, perché la trappola in cui siamo invischiati non è la speranza, ma la sua morte: l’apatia, la rassegnazione. La domanda del titolo è la domanda di chi non sa che pesci pigliare.

Nel disco precedente “Un piano per fuggire” (Massive Arts, 2010) dominava il desiderio frenetico di scappare, di voltare pagina, di rifugiarsi nell’isola che non c’è. Ora invece sembra che vi siate fermati ad affrontare la cruda realtà. La guardate in faccia e non è per nulla divertente. Fuggire rimane un’alternativa valida o è pura illusione? Come sono cambiati i Nadar Solo in questi tre anni?
M: Quel sentimento sopravvive. In “Le case senza le porte” diciamo: “Perciò tu che non hai gradito quando ti ho detto ‘ora devo partire’, sappi che io ti ho molto capito, mentre tu devi ancora guarire.” La fuga che avevamo e abbiamo in mente è del tutto simbolica e significa che bisogna cercare di vivere mettendo a fuoco quel che davvero conta per un essere umano e per la sua realizzazione interiore. In fondo decidere di fare i musicisti e ancor di più in questo Paese e in questo momento storico è il nostro piano per fuggire e quello di molti altri. Probabilmente tre anni fa eravamo un po’ meno maturi e così ci siamo concentrati sulla fuga. Questa volta ci siamo messi a studiare per prima cosa il carcere che ci rinchiude, che forse è il punto di partenza migliore perché un’evasione vada a buon fine.

Nonostante i testi riflettano spesso frustrazione e rabbia, la vostra musica rimane calda, rossa, propositiva. Quanta speranza c’è nelle vostre canzoni?
M: Tanta. Ed è tutta nella musica.

Il vostro nome è preso da un film argentino semisconosciuto che racconta la storia di un adolescente che cerca suo fratello. Cosa vi ha portato ad usare questo nome? E qual’è il filo logico che connette la pellicola alla vostra musica?
M: Ci piacque il film, che parla della solitudine dell’adolescenza con grande autenticità, e il suono del nome. E poi proprio in quel periodo ci apprestavamo a registrare il nostro primissimo album/demo completamente autoprodotto. Facevamo tutto da soli, così come abbiamo continuato a fare per un bel po’ e l’idea di chiamarci “Nuotare da solo” ci sembrava azzeccata.

Il vostro sound a mio avviso è un ricco e personalissimo mix tra: il pop dei Coldplay, l’hard rock dei Led Zeppelin, lo zoccolo duro degli Afterhours, filastrocche punk e le migliori melodie della canzone italiana. Cosa vi appartiene di più? Quando da ragazzini avete iniziato a suonare cosa vi immaginavate di diventare?
M: Penso che non ci immaginassimo granché. Eravamo influenzabilissimi, le mode del momento ci passavano accanto e ci seducevano e da tutte quante prendevamo quasi senza rendercene conto. Ci è voluto un bel po’ di tempo per sviluppare una poetica personale che è naturalmente un mix di tutti i nostri ascolti passato nel filtro delle persone che siamo diventate. Tutte le band che hai citato fanno parte dei nostri ascolti e tutte ci appartengono più o meno allo stesso modo (i Coldpay forse un po’ meno…).

Impossibile evitare questa domanda. Io non sono assolutamente un estimatore de Il Teatro Degli Orrori, ma la presenza di Capovilla e della sua band nel vostro brano “Il vento” aggiunge colore (molto scuro) al pezzo. Raccontaci un po’ come vi siete conosciuti e come è nata la collaborazione.
M: Ho scritto per la prima volta a Capovilla nella primavera del 2011. Stava per uscire il mio secondo romanzo, “Denti guasti” e gli dissi che mi sarebbe piaciuto avere una sua prefazione. Lo lesse molto in fretta durante il tour coi One Dimensional Man e nel giro di una settimana mi mandò lo scritto. Poi abbiamo organizzato un reading improvvisato durante Il Traffic Festival di quell’anno, poche ore prima della sua esibizione con Il Teatro degli Orrori. Ci siamo divertiti e all’inizio del 2012 si è presentata l’occasione di mettere in piedi un vero e proprio tour di letture. Abbiamo passato una settimana insieme giorno e notte, tra prove e viaggi da una città all’altra e a quel punto, quando di lì a poco con i Nadàr Solo abbiamo cominciato la preproduzione dell’album, è venuto naturale chiedergli di cantare con noi una parte di un brano. Quello che non ci aspettavamo è che lui ci chiedesse di poter partecipare anche come autore e soprattutto di poter coinvolgere anche Giulio, Gionata e Franz. Ha reagito con un entusiasmo sorprendente.

Rimanendo in tema, il tuo romanzo “Denti Guasti” (Hacca, 2011) narra le vicende di due giovani immigrati e pare essere stato fonte di ispirazione per la stesura dei testi dell’ultimo album de Il Teatro degli Orrori “Il mondo nuovo”. Quanto questo romanzo ha invece influenzato le tematiche del vostro nuovo album?
M: Capovilla ha letto “Denti guasti” proprio mentre – io non potevo saperlo – stava concependo con Giulio e gli altri un concept album sull’immigrazione. E’ naturale quindi che il libro gli abbia raccontato qualcosa, perché trattava proprio degli argomenti che gli stavano a cuore in quel momento. Per quanto riguarda il nostro disco, non c’è invece pressoché nessuna relazione con il romanzo. Anche se per quanto riguarda i testi scritti da me, l’approccio è simile: raccontare storie piccole, concrete, intime, perché l’emozione che ne scaturisce dipinga il sentimento, anche storico, di un’epoca. Questo è quel che cerco di fare. Una band che ascolto molto in questo periodo, il Management del dolore post Operatorio, dice che “La storia è la sommatoria di tutte le emozioni.” Lo credo anch’io.

Rimaniamo in tema collaborazioni e passiamo alla vostra esperienza con il concittadino Daniele Celona. Come ci si sente ad essere la band di un cantautore? Quanto vi sentite “Nadar Solo” in questa situazione?
M: Con Daniele facciamo tutto insieme da anni. Ci ha aiutato a preprodurre “Un piano per fuggire”, mi ha accompagnato nei reading di “Denti Guasti”, abbiamo visto nascere le sue canzoni e suonare con lui è assolutamente naturale. Per noi poi, a parte il fatto che a cantare non sono io, non cambia praticamente nulla: suoniamo esattamente nella stessa maniera.

Siete sotto Massive Arts, etichetta indipendente milanese. Quanto è importante al giorno d’oggi per una band come la vostra avere un’etichetta discografica?
M: Importante, ma non essenziale. Noi siamo fortunati perché la nostra etichetta produce alla vecchia maniera, finanziando il progetto dall’inizio alla fine. Ma la maggior parte delle etichette indipendenti oggi co-produce, il che significa che l’artista si paga il master di tasca propria. Ma se l’etichetta non si trova e dopo lo studio avanza qualche risparmio, il consiglio è di investirli in un buon ufficio stampa.

Torino è vivissima negli ultimi anni e sta sfornando realtà musicali sempre più concrete e personali. Quali sono le band della vostra città che supportate maggiormente?
M: A parte Daniele Celona, ci piacciono molto Bianco e Orlando Manfredi aka Duemanosinistra, che con il nuovo album farà sicuramente parlare di sé. Personalmente mi affascina anche il progetto Niagara di Davide Tomat e Gabriele Ottino.

E ora spara qualche anticipazione del tour. Dove vi porterà questo nuovo album?
M: Per cominciare faremo tre date di presentazione a Torino (Astoria, 27 febbraio) Milano (Cox18, 2 marzo) e Roma (Circolo degli Artisti, 6 marzo) e sarà con noi anche Pierpaolo Capovilla. Subito dopo partirà il tour vero e proprio.

Matteo un bel saluto ai lettori di Rockambula e buon rock’n’roll a te e ai ragazzi!
M: Buon rock ‘n roll a tutti, specialmente ai lettori di Rockambula!

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Management Del Dolore Post-Operatorio

Written by Interviste

Definiti i CCCP del nuovo millennio, suppongo soprattutto per il modo di cantare del frontman Luca Romagnoli, il Management del dolore post-operatorio sta azzeccando, sin dall’ uscita del loro primo album in studio, Mestruazioni, tutte le mosse giuste per uscire dalla cantina e farsi sentire. È Auff!!, però, a consacrali definitivamente nel Walhalla delle band indipendenti nostrane, grazie soprattutto alla scelta dell’uscita ufficiale del disco tramite streaming sulle pagine web di Rockit.it. Incazzati, con gli occhi ben aperti sul grottesco e le brutture di una società consumistica e consumata, rifuggono quell’atteggiamento oppresso-depresso che è diventato emblematico in una certa produzione rock italiana (penso ai Ministri e al Teatro degli orrori soprattutto, che rispetto al MaDe DoPo sono ben più crepuscolari e riflessivi) e guardano con una risata a quanto sta loro intorno. I quattro ragazzi di Lanciano sono tanto inseriti nella loro realtà, quanto lontani dalla stessa, così consapevoli di quello che ci circonda da scrivere canzoni che, di volta in volta, sembrano più essere una motivazione per tenersi fuori da tanta melma che non un racconto di vita vissuta o una riflessione. Nessuna filosofia spiccia, nessun commento politico esplicito: nella rabbia della band c’è un’esortazione alla vita che ha un sapore anarchico sicuramente anacronistico e utopico, ma che sembra però essere l’unica soluzione per sopravvivere senza farsi schiacciare. Dalla corruzione politica, sociale e morale, dagli obblighi imposti dall’esterno, dai doveri che guardano più all’apparenza che non alle proprie inclinazioni personali, dal perbenismo e dalla mediocrità che, accontentando tutti, dilaga come la peggiore epidemia. Come hanno detto in un’intervista di qualche tempo fa: «Giovanni Lindo Ferretti diceva “No future“… va bene, eh, ma noi vogliamo vivere».

Nell’ intervista a Genio Tv che gira su YouTube, avete detto che il Management del dolore post-operatorio è la gestione del trauma della nascita, definizione che ho trovato decisamente affascinante. Voi non mi sembrate però dei profeti che dispensano consigli, quanto piuttosto quattro ragazzi che hanno trovato la loro personalissima formula. Qual è l’ingrediente principale, allora, la musica o la rabbia?
“L’inconveniente di essere nati”, un grosso problema.Oh no, i consigli li lasciamo a chi crede di avere sempre ragione, ovvero agli stupidi.Abbiamo trovato una formula un po’ ridicola = lasciare ad ogni giorno il suo destino, ed abbiamo fatto dell’incoerenza la nostra virtù,anche perché molte delle cose che si dicono (che abbiamo detto) non sono state capite a fondo, il che vuol dire che ognuno le ha carpite a modo suo.

Ironizzando, avete detto «Siamo un teatro degli errori più che un Teatro degli Orrori». Che aria si respira nel panorama indie italiano adesso? Si è più incazzati o più depressi? C’è competizione oppure c’è spazio per tutti?
Non c’è un gruppo che si ci sembri un gruppo. Chi è troppo giovane, chi è troppo vecchio, chi non suona per niente e chi troppo. Chi fa troppo teatro e poco spettacolo e chi troppo spettacolo e poco teatro. Chi suona musica per vendere e chi si vende per suonare.Noi non siamo in competizione con nessuno. Perché non ci interessa il successo degli altri né più né meno di quanto ci interessi il nostro. Il tutto non vale niente.

Quali sono, quindi, gli errori che più volete rappresentare nel vostro teatro e da quali volete fuggire primariamente?
L’unico errore che vogliamo fuggire è la stupidità. La salvezza è qui dentro (nel cervello). Ma il credere di non essere stupidi è già il primo grosso errore. Vogliamo fuggire la stupidità con la piena consapevolezza di averla sempre attaccata al collo.

Norman sembra una risposta ante litteram a certe uscite di certi nostri ministri su certi ragazzi choosy. Seriamente: cosa ne pensate della politica?
Che dovremmo tagliare tutte le teste di tutti i fantocci. Ci ho pensato a lungo, è triste ma è così. Niente lotte coi poliziotti, niente manifestazioni, solo attacchi precisi e mirati per eliminare completamente la classe politica. Come nella rivoluzione francese = migliaia e migliaia di teste tagliate, la nobiltà decimata.

Parlando di Amore borghese… Ci sono immagini di una vivacità davvero suggestiva, ma una frase mi ha colpito particolarmente: “Se ti tengo in mano sei una mela marcia e se ti lancio brilli come una cometa”. Sembra una canzone di guerra, più che di amore…
In realtà questa frase è di un poeta abruzzese sconosciuto e magnifico, autodidatta e pecoraro, di una forza sublime. Questa frase in particolare si riferisce alla poesia e mi piace pensare che sia il risvolto di un’arte venduta, che brilla di una luce non sua, una luce accesa dalla danza delle persone che contano (i soldi).

“Porno” è una parola che ha una certa ricorrenza nei vostri testi. L’edonismo e la ricerca del piacere, anche fisico, sono parte della gestione del trauma post partum? Nel nostro migliore dei mondi possibili, un pornobisogno è davvero il migliore dei romanticismi possibili?
Il porno inteso come soluzione , come perversione, è una soluzione un po’ squallida ai nostri occhi. Il porno come mezzo, come unica verità, come unico modo e mezzo sincero è un altro discorso. Il porno è la sincerità delle telecamere, che ci raccontano la verità. Le telecamere sono i nostri angeli custodi, registrano quello che non si può smentire. L’erotismo invece è la tiritera delle bugie televisive.

Marylin Monroe, è, nella vostra canzone, il simbolo di una bellezza genuina ormai persa, sacrificata all’omologazione e ai consumi. Mi viene in mente il tema di un Salone del Libro di Torino di qualche anno fa, “Ci salverà solo la bellezza”. Sparita questa, cosa ci può salvare?
Al contrario, riteniamo che la bellezza e la natura siano troppo ingiuste. Riteniamo che sia un po’ troppo antidemocratico nascere belli o brutti e sperare in caso nefasto che ci salvi la personalità. E’ ingiusto. Al talento preferiamo di netto il sudore del lavoro e un certo tipo di intelligenza empirica. In un certo senso la nostra preferenza si butta nettamente sulla chirurgia plastica piuttosto che sulla bellezza naturale. Il problema è che la chirurgia dovrebbe essere accessibile a tutti; e coloro che ne fanno uso dovrebbero avere un poco di fantasia piuttosto che ispirarsi ai soliti , noiosi, modelli televisivi.

Voci di corridoio dicono che Luca si sia tirato fuori il membro durante un concerto. Innanzitutto: è vero? E poi: è egocentrismo onanista o mera attitudine punk da sfoggiare su un palcoscenico?
Parlavamo di San Francesco. San Francesco si è spogliato davanti al vescovo per dimostrare la forza dell’amore e della povertà. Ci siamo ispirati a lui, in tempi di crisi.

Qual è la cosa più bella che vi sia capitata durante il tour di Auff!!?
Fare l’amore con più ragazze nello stesso letto.

Domanda banale ma necessaria: finito questo tour molto impegnativo, quali saranno le prossime mosse per l’amministrazione del dolore d’essere vivi?
Scrivere suonare e cantare musica piuttosto che promuovere e parlare di musica.

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Management del dolore post-operatorio – Auff!!

Written by Recensioni

Da Lanciano il grido di dolore contenuto nel loro primo official album, “Auff!!”, e loro sono il Management del dolore post-operatorio, una band non masochista come si potrebbe credere per via della loro genesi nata su di una corsia d’ospedale dopo un incidente, ma un’accolita di poeti “attivi contro” che prendono di mira la crisi, i fantasmi che la sussurrano, i non diritti ai sentimenti e la non reattività o disillusione che si rivolge al futuro.

Dieci tracce accasate alla MarteLabel che suonano potenti, prepotenti e che vanno a sbomballare tutto il bagaglio filo-punk dei CCCP dei tempi dell’insurrezione alternativa anni Ottanta, un bell’ascolto off e stracolmo di riff elettrici, distorsioni chitarristiche e sociali che urlano, riverberano e declamano – tra cinematiche esposizioni  – ironia e verità particolari, un punkyes aggiornato ai nostri giorni, un moving che si colloca anche tra i migliori Claxon e i nipotini Franz Ferdinand dentro traiettorie che scalfiscono l’ascolto; il cantautorato elettrico, tanto disegnato da multipli ascolti,  che questa band stende è scritto bene e si asseconda a registri differenti, magari, quello che non riesce ad incresparsi di molto è la parte più “quieta”, quella vissuta da depressioni scandite “Amore borghese”, lo shuffle disco “Irreversibile”, “Nei palazzi” o il pathos liquido che galleggia in “Il numero otto”, mentre per la parte caffeinica, quella dedicata all’ossessività rock esplode come una mina anti-uomo al passaggio di “Pornobisogno”, sotto la mannaia elettro-funk “Auff!!”, nelle palle gonfie di “Irreversibile” come tra le vertigini amperiche che rotolano dentro “Macedonia” con gli omaggi dei Marlene Kuntz.
Veramente, un disco di dolore nato dal dolore, che trasmette dolore da combattere e attrae fan addolorati, un disco che ci avverte che il tempo corre, scorre e che quando finiscono le lacrime non è il momento di fare tappezzeria, ma e proprio da lì che bisogna segnare il recupero dei sentimenti, delle persone, del mondo che ci fa da corolla violentata in mezzo a tutti quei  detriti e frammenti di gioventù andate.
In poche parole un bel disco che si fa mazza!

 

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