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Daniele Celona

Written by Interviste

Daniele Celona è cantautore, compositore e produttore torinese, dalla decisa anima Rock. In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro Amantide Atlandite, abbiamo avuto l’opportunità di farci raccontare direttamente da lui di cosa si tratta.

Ciao Daniele, grazie per essere qui con Rockambula, il 3 febbraio esce il tuo nuovo lavoro Amantide Atlantide, anticipato dall’uscita del singolo “La Colpa”. Cosa ci racconti in questo nuovo lavoro e cosa ha ispirato la realizzazione degli undici brani che lo compongono?

Grazie a voi. Che dire. E’ un disco sul presente e le sue difficoltà. Un reportage, ma anche un invito a resistere, ad alzare la voce, a trovare una propria via allo “starci dentro”. Ogni nostro comportamento, ogni scelta, ha un riflesso sociale, politico direi. Studiare come ci poniamo davanti a un bivio o ad un ostacolo, mi ha sempre affascinato. Per questo i miei personaggi sono sempre lì, in bilico, sul solco di qualche cicatrice. Sono canzoni di antieroi, canzoni per chi si è perso, ma riesce ancora a sognare ad occhi aperti.

Se vogliamo definire il territorio in cui si muove la tua musica, si potrebbe parlare di Rock cantautorale, ti ritrovi in questa definizione o preferisci darcene una tua personale?

Nulla osta su questa definizione. In realtà il gioco delle scatole con su scritto genere e somiglianze mi lascia sempre un po’ perplesso. Credo che le carte vadano scoperte attraverso l’ascolto, o ancor meglio assistendo a un live o guardandone il filmato perché no. Per usare un termine boxistico, i nostri ring sono quelli. Uno ascoltatore che voglia capire chi ha di fronte, deve salirci.

Amantide Altlantide è il risultato di una formula compositiva particolare una ricerca tra metriche, parole e tecnicismi, come il falsetto e il parlato. Ci racconti come nasce di solito una tua canzone?

La ricerca, il “mestiere”, agiscono più che altro in arrangiamento. La parte precedente è abbastanza istintiva. Non decido a tavolino se usare il falsetto o altro registro. Cerco una linea di cantato e normalmente sono tonalità e mood del pezzo a portare quasi naturalmente verso un certo colore. Le parole del testo sanciranno poi se quel vestito è adatto o meno. Sono un autodidatta sia come chitarrista che come cantante, con un sacco difetti. Pertanto né io posso permettermi dei tecnicismi, né li ho chiesti alla band in fase di preproduzione. Nelle mie intenzioni le canzoni devono suonare fluide pur nella loro struttura articolata ed esser divertenti da eseguire dal vivo.

Rispetto al precedente Fiori e Demoni c’è molto spazio a momenti strumentali di forte impatto ed energia, c’è lo zampino dei Nadàr Solo, tuoi compagni e backing band nel precedente lavoro oppure ci sono altre band o ascolti particolari che hanno influenzato le tue scelte?

Credo che già nel disco precedente i pugni allo stomaco non mancassero. In ogni caso le variazioni tra silenzi e sfuriate sono essenzialmente una mia, quasi patologica, esigenza. Chiaro, dove ho chiesto ai ragazzi di dare di più dal punto di vista della “cartella” non si sono certo tirati indietro. Ho spremuto il povero Alessio in particolare, con scelte di batterie molto muscolari, e passaggi repentini ad atmosfere quasi jazz o comunque molto delicate. E’ stata una parte bella del lavoro, diversa da quella di Fiori e Demoni che avevo intagliato in buona percentuale al computer. Ammetto che in questo fase del lavoro da sala prove ho teso a diventare quasi insopportabile, ma i Nadàr, con cui abbiamo lavorato insieme per anni sapevano ormai come prendermi e come macinare le mie idee in parti strumentali.

Tu, Levante, i Nadàr Solo, provenite tutti dalla scena torinese, è un caso oppure Torino, e il Piemonte in generale, sta recuperando terreno come fucina di talenti musicali? Che cosa ha significato per te crescere musicalmente in questo contesto?

E’ una città che ha molto da dire, su più discipline, non solo quella musicale. C’è energia e fermento. Non credo comunque si debba parlare di gara tra scene cittadine italiane, come non dovrebbe esserci rivalità per progetti simili all’interno di una stessa città. Forse noi, e aggiungo ai nomi che hai citato anche Bianco, abbiamo dato solo un esempio più costruttivo da questo punto di vista, su una sinergia non esasperata, ma vera. Credo anche, sia apprezzabile la nostra scelta di togliersi dalle scatole il più possibile dall’ambito strettamente torinese per lasciar spazio ad altre energie fresche che hanno numeri e che scalpitano.

Qual è stato il momento più bello nella realizzazione di Amantide Atlantide? Ti andrebbe di condividerlo con noi?

Sai che non so cosa risponderti? E’ stata talmente una lotta, col tempo, con la mancanza di soldi, il tutto in uno degli anni più difficili della mia vita, che il dato saliente in realtà credo sia il fatto di aver portato questo disco a compimento. Ci si è messo di mezzo anche il furto a Roma del mio Mac con l’ editing di quattro pezzi e un quinto registrato con Bianco. Ritornando alla tua domanda, il momento bello, a ben vedere, è per me sempre quello della scrittura dei brani, del mosaico da completare. Lì sta il mio giardino segreto, agli altri spetta il quadro, l’ immagine photoshoppata. E’ una rappresentazione che costa fatica e spero posso essere amata comunque.

Grazie per averci raccontato qualcosa di te e del tuo nuovo lavoro. Abbiamo detto che tra poco esce l’album, immagino partirà anche un tour?Hai qualche anticipazione per noi?

Sì, inizieremo a Febbraio tra date promo negli stores e in radio, date con il set elettrico vero e proprio, e qualche apertura a Umberto Maria Giardini.

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Daniele Celona – Fiori e Demoni

Written by Recensioni

Tutte le mattine ci soffermiamo un momento davanti allo specchio. A volte solo per guardare se stiamo perdendo qualche capello o se ci sono spuntati dei punti neri sul naso. A volte per fare due conti con il nostro presente e (anche se si spera di no) con il nostro passato. Dopo aver cincischiato davanti al nostro specchio inizia il mondo che osserviamo: per strada, in viaggio, in tangenziale, in fabbrica, davanti al pc, a scuola, in televisione, in vacanza. Lo immagazziniamo e ritrasmettiamo dai nostri occhi. Occhi riflessi dal nostro specchio quando rincasiamo la sera.
Questa procedura è molto analitica e indubbiamente una stupida semplificazione di ciò che si spera sia un sentimento umano, ma a me pare essere vicina all’ “esercizio” eseguito dal cantautore torinese Daniele Celona in “Fiori e demoni”. Il disco non si capisce al volo, nasconde passaggi contorti e ingarbugliati, ma sprigiona una capacità di espressione diretta e semplice, che mi cattura e mi fa perdere più tempo del solito ad analizzare ogni singolo particolare.
Questo album è proprio lo specchio riflesso della nostra società vista da un ragazzo che non nasconde le ombre e le sfumature. Daniele utilizza un pennello con la punta molto fine e delinea con esattezza ritratti moderni, vicini a lui, ma anche a noi, alla gente che lo osserva e che lui a sua volta studia. Il suo soggetto è la vita umana. Quella letta sui rotocalchi, quella che si consuma nel posacenere sul balcone di casa, quella raccontata agli amici stretti ma che forse si capisce solo nelle parole delle canzoni. Pare essere un esercizio molto difficile, molti cascano in frasi espresse “per sentito dire” o si perdono in filosofie da bar. Daniele ha la capacità di incanalare rabbia, passione, sconforto in melodie accarezzate dalla sua eclettica voce. Demoni che diventano fiori. Rose spinate, bellissime e profumate ma pungenti se non addirittura taglienti. Ballerine decadenti che danzano eleganti in mezzo a distorsioni e carezze.
“Ninna nanna” è l’inizio spietato. Il rock, la cronaca e la poesia si mescolano con incredibile equilibrio e dinamica. La metrica storpia e cadenzata ci butta in un inferno ben scandito da innumerevoli colpi di rullante. La ninna nanna ci porta dritti in un incubo: lo spettro delle centrali nucleari in Sardegna (seconda casa del cantautore) prima del referendum. Certo Il Teatro degli Orrori domina sovrano in mezzo alla moltitudine di parole feroci e ritmi forsennati, ma la voce di Celona scavalca la pomposità e la forma decadente di Capovilla, per arrivare direttamente al punto. Farci aprire gli occhi. L’incubo lo stiamo vivendo per davvero.
La classe viene poi subito confermata dall’incredibile “Mille Colori”, una montagna russa di dinamica tra ritornelli memorabili e sospiri parlati. Daniele esplora tutte le sfumature e tutti i contrasti di un amore finito. Spaventosamente visiva e materiale e allo stesso tempo incoerente, irrazionale e visionaria.
“Acqua” è forse l’episodio più pop ma non per questo meno intenso. Anzi la canzone abbatte prepotentemente le barriere tra scorci realistici della nostra società e rabbia personale. Un piccolo gioiello pop che lava via la superficialità e il pressappochismo.
La feroce critica alla società si fa ancora più spazio e si insidia nelle corde vocali di Daniele quando partono “Cremisi e “L’alabastro di Agnese”, quest’ultima caratterizzata da una singolare struttura strofa-ritornello e dalla ricorrente cantilena.
In tutta questa carne al fuoco le parole non mettono mai in secondo piano gli arrangiamenti e la maestosa botta creata dalla band alle spalle di Daniele. I Nadar Solo sono ormai da qualche anno uno dei migliori prodotti del panorama italiano e accompagnano con grande dimestichezza l’elasticità vocale del cantautore. Tutto accelera e rallenta simultaneamente, l’alchimia è spaventosamente perfetta.
“Il Quadro” è il ritratto e la summa del nostro percorso. Dopo aver osservato tutto ciò che ci circonda e ci punzecchia dall’esterno ci ritroviamo davanti alle nostre ragioni. Siamo qui a osservare noi stessi, con quel senso di impotenza: proviamo a cambiarci la pelle ma quello che abbiamo davanti è peggio di uno specchio, è un quadro imperturbabile. Prendere o lasciar perdere. E un disco così ce lo prendiamo tutto: intimo e collettivo

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