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RADAR FESTIVAL 2014, tutta la Line Up!

Written by Senza categoria

Torna con una nuova formula il Radar Festival, ormai al suo quarto anno di vita e sempre nella splendida cornice del Parco delle Mura di Padova: cinque giorni di concerti con quaranta artisti su due palchi all’aperto, più un palco al chiuso che ospiterà i dj-set, anticipati da due preview night. Questa è l’edizione del salto di qualità, come preannunciato dal Day 1 del festival che vedrà il ritorno sul palco degli Slowdive, nella loro prima e unica data italiana. Lo stavamo promettendo da mesi, ed ora con l’annuncio della line up lo possiamo confermare: il Radar Festival quest’anno diventa grande per davvero.

3 giugno 2014 / Circolo MAME
Deafheaven (USA, Deathwish Inc.)
Aidan (ITA, Redsound Records)
Have It All (ITA, Tide & Anchor)
Red Line Season (ITA, Upupa Produzioni)

4 giugno 2014 / Venue TBA / *tickets sold out*
Neutral Milk Hotel (USA, Merge)
Jennifer Gentle (ITA, Sub Pop)

16 luglio 2014 / Park Nord Stadio Euganeo
Slowdive (UK, Creation Records) UNICA DATA ITALIANA
Be Forest (ITA, We Were Never Being Boring)
Brothers In Law (ITA, We Were Never Being Boring)
Soviet Soviet (ITA, Felte)

23 luglio 2014 / Parco delle Mura
Mount Kimbie (UK, Warp)
Calibro 35 (ITA, Record Kicks)
We Were Promised Jetpacks (UK, FatCat) UNICA DATA ITALIANA
The Oscillation (UK, All Time Low) UNICA DATA ITALIANA
Redwormsfarm (ITA, Infecta)
Julie’s Haircut (ITA, Woodworm/Santeria)
Did (ITA, Foolica)
Foxhound (ITA, Self Released)

24 luglio 2014 / Parco delle Mura
Calexico (USA, Anti)
I Cani (ITA, 42 Records)
William Fitzsimmons (USA, Mercer Street)
M+A (ITA, Monotreme)
His Clancyness (ITA, FatCat)
Boxerin Club (ITA, Bomba Dischi)
SybiAnn (ITA, Shit Music For Shit People)
Flamingods (UK, Shape)

25 luglio 2014 / Parco delle Mura
Thyco (USA, Ghostly International)
Plaid (UK, Warp) UNICA DATA ITALIANA
Dente (ITA, RCA / Sony Music)
Populous (ITA, Morr Music)
In Zaire (ITA, Holidays)
Machweo w/ full band (ITA, Bad Panda)
Yakamoto Kotzuga (ITA, Bad Panda)
Sin/Cos (ITA, Anemic Dracula)
Niagara (ITA, Monotreme)

26 luglio 2014 / Parco delle Mura
Joan As Police Woman (USA, Pias)
The Drones (AUS, ATP)
Zu (ITA, La Tempesta)
Ornaments (ITA, Tannen)
Sonic Jesus (ITA, Fuzz Club)
Gazebo Penguins (ITA, To Lose La Track)
Wu Ming Contingent (ITA, Woodworm)
Santa Margaret (ITA, Carosello)
Warias (ITA, Self Released)
Havah (ITA, Self Released)

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Soviet Soviet – Fate

Written by Recensioni

Ascolto: in una latitudine del mondo comunque sbagliata

Umore: come di chi si presenta in montagna con la muta da sub

Ci sono lavori come questo che un recensore fatica a recensire. Perché è immensamente più facile spiegare le motivazioni per cui una cosa non ti piace o ti sta sul cazzo che scovare nel dizionario le parole all’altezza di spiegare una cosa che ti piace. Se non ti piace un disco, non dosi le parole, non le scegli accuratamente; ti vengono spontanee, sarà anche per un umanissimo desiderio di lasciar fluire i giudizi negativi che non puoi dare vis à vis nella tua giornata al cliente o al vigile urbano che ti ha appioppato la solita 40 euro di multa per divieto di sosta per trenta centimetri sulle strisce pedonali. Ecco perché sul secondo lavoro dei Soviet Soviet non voglio soffermarmi molto di più di quello che può essere spiegato in poche parole dall’espressione “ Gran bel disco” oppure “Destinati al riscontro pieno e deciso anche fuori dai confini italiani”. Il voto è un bel sette e mezzo come nell’italianissimo gioco delle carte.

Fate è ipnotico, avvolgente, straniante, di quei dischi in cui perfino le imprecisioni ti sembrano messe ad arte. I Soviet Soviet dimostrano appieno di aver digerito la lezione New Wave e Punk, dimostrano di aver pasteggiato con il Post Rock e aver accompagnato il tutto con bicchierate di Dark con abbondante ghiaccio. Il basso suonato sempre con il plettro e costantemente effettato caratterizza non solo le ritmiche ma anche il colore complessivo del disco, finalmente. È piuttosto raro infatti che a livelli underground ci sia un apporto così deciso e caratterizzante del basso. Le linee melodiche sono riproducibili ma mai paracele con un timbro di voce a volte nasale  e a volte slabbrata; si appoggia (o a me dà quell’impressione) nell’interpretazione a qualcosa che ricorda i Placebo ma senza che risulti un’imitazione. Probabilmente ed in maniera in fondo fisiologica e salutare si tratta solo di aver respirato nella stessa aria musicale e di aver mangiato allo stesso piatto. Chitarre dal riverbero talmente figo che non ha solo il potere di valorizzare i temi o le ritmiche, ha anche il potere di teletrasportarti in un altro posto fisico del mondo e in un’altra era, come in “Gone Fast” , pezzo già pronto per uno spot di macchine e di paesaggi ripresi dall’alto. Stop, la mia recensione finisce qui, non c’è bisogno di altre inutili parole per descrivere un bel disco se non “ è un bel disco”. Ad una donna che le devi dire di più di “Ti amo” per spiegarle l’amore?

Anzi no, ci ho ripensato: scendo a capo e riapro il file word per affrontare una considerazione pensata in extremis forse più interessante che mi ha suggerito l’ascolto di questo disco: lo straniamento geografico. Ci sono dei dischi o delle band che ti fanno immaginare anche un intorno fisico e  temporale oppure, al contrario, intorni fisici e temporali che se non li incroci non capisci perché quella musica può venire solo da quella latitudine e da quei paesaggi. I Soviet Soviet hanno questo dono: li ascolti e pensi alla pioggia di Berlino raccolta in pozzanghere che sbuffano tremolanti l’immagine riflessa  del cielo di piombo; ti immagini a camminare, mani in tasca, con una bella tipetta bionda tinta con il chiodo, piercing vistosi sul naso e faccia pallida per Mühlenstrasse, la strada che corre di fianco il muro. Ti immagini di andare a trovare David Bowie nel suo studio mentre sta registrando un nuovo disco Glam Rock. Ti immagini di calciare lattine vuote di birra abbandonate dagli sbandati che si trascinano in zona. Ti immagini il freddo che ti sega le orecchie  e i tuoi guanti di lana tagliati sulle dita e le bottigliette di vodka dentro le tasche del cappotto scuro comprato in un mercatino a Kreuzberg. Ti immagini diverso e trasandato; e più figo, magari anche più alto e con più capelli. Poi mentre continui ad immaginarti, distrattamente leggi la biografia dei Soviet Soviet e vedi che arrivano da Pesaro. Ti ricordi che l’unica volta che hai visto Pesaro era in un’estate torrida mentre sgambettavi sul sedile di un risciò  sul lungo mare con una palma ogni venti metri; le signorone dell’est con i costumi variopinti e i loro visi resi paonazzi dal primo sole. Non arrivavi nemmeno ai pedali. Eri un bimbetto di undici anni occhialuto, un po’ paffuto e con i calzoni corti. Per niente scafato.

Ho sempre pensato che le biografie non servano ad un cazzo.

Cazzo.

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