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Virginiana Miller

Written by Interviste

Lo scorso 17 settembre è uscito per Ala Bianca/Warner il sesto album in studio dei livornesi Virginiana Miller, Venga il Regno. La band ha un curriculum di tutto rispetto: dal 1990 ad oggi hanno ricevuto premi e riconoscimenti, lavorato con personaggi illustri del panorama musicale nostrano come Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso, Giorgio Canali, Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dei Baustelle, sperimentato nuove collaborazioni come nel caso della sonorizzazione dei reading letterari dello scrittore Giampaolo Simi e, in ultimo, hanno curato la realizzazione del brano “Tutti i Santi Giorni” per l’omonimo film di Paolo Virzì, che è valso alla band il David di Donatello per la Migliore Canzone Originale. I Virginiana Miller sono al momento impegnati, per la presentazione del disco, nel tour che questa sera farà tappa a Milano, al Biko, con i bresciani Claudia is on the Sofa. Ho avuto piacere di parlare con Daniele Catalucci, bassista dei Virginiana Miller, per scoprire un po’ meglio cosa sia Venga il Regno e in quale direzione stiano andando.

Partiamo subito con una domanda un po’ stronza. In più di vent’anni di carriera avrete avuto modo di conoscere e incontrare parecchi gruppi nostrani. Qual è la band che avrebbe meritato più attenzione da parte del pubblico e della critica, ma non è riuscita ad emergere e quale quella che ha invece avuto un successo secondo voi immeritato?
Abbiamo sicuramente parlato un milione di volte tra noi di band che avrebbero potuto raggiungere risultati più alti ma per un motivo o per l’altro non ci sono riuscite.. Fammi pensare.. Credo che fra tutti i Northpole siano quelli che avrebbero meritato un po’ di più e credo che gli altri della band sarebbero d’accordo con me. Per quanto riguarda una formazione sopravvalutata, do un parere personale: mi sono sempre domandato come mai gli Afterhours sono diventati un caso così eclatante. C’è sicuramente qualcosa di interessante in loro, ma, lo dico con tutta la bontà possibile, mi chiedo se avrebbero avuto lo stesso successo se fossero arrivati da un’altra realtà, anche geografica, o se invece non sarebbe stato molto diverso.

Veniamo al disco. Venga il Regno è una profetica annunciazione o una rassegnazione a uno stato di cose? E questo regno com’è?
Questo è un terreno in cui Simone (Lenzi, frontman e autore dei testi della band, ndr) saprebbe rispondere meglio. Posso dirti a cosa corrisponde secondo me questo regno sul piano musicale, perché abbiamo avuto molto tempo dall’album precedente per occuparci di questo, anche perché Simone era impegnato in altro. Quando ci siamo rincontrati siamo andati dritti al punto, facendo emergere tutta la conoscenza che abbiamo tra noi da anni ed evitando tutte le fasi centrali che di solito ci caratterizzavano. Sai: quelle in cui tendono ad emergere le personalità individuali e che portano anche a scontri e scambi di opinioni. Per Venga il Regno, invece, in venti giorni i brani erano pronti, passati da embrione a canzoni fatte e finite, con una struttura musicale, gli arrangiamenti e il testo. Simone parla di regno intendendo una Apocalisse che è già in atto, un cambiamento, una rinascita. Contestualizzato in ciò che stiamo vivendo tra noi, mi è sembrato calzante: da una fase di stallo a questa nuova creazione.

Com’è stato lavorare con Ale Bavo e Ivan Rossi per la realizzazione di Venga il Regno?
Il loro apporto è il 60% del disco. Ci tengo davvero a sottolineare l’importanza dei loro ruoli, perché sono stati eccezionali. Sono due che hanno capito esattamente dove volevamo andare noi e ci hanno aiutato a tirarlo fuori e, pur essendo oltretutto anche molto diversi tra loro, perché per certe cose sono uno l’opposto dell’altro, hanno messo nel disco cose che continuano a piacermi nonostante lo ascolti praticamente sempre da sei mesi.

Repubblica ha definito Venga il Regno il disco più militante della vostra carriera. La definizione vi piace? E se sì, quali sono i principi della vostra militanza?
È vero. Perché senza rendercene conto e senza aver stabilito delle guide, tra i testi e la musica l’ambientazione politica è più netta rispetto ad altri album e altri brani. Anche l’arrangiamento è più efficace, più giovanile forse, e questo aspetto gli ha dato una certa ruvidità, che ha aiutato ad affrontare tematiche anni 70 in una chiave musicale che anni 70 non è.

La collaborazione con Paolo Virzì ha portato grandi risultati. Qual è il vostro rapporto con il cinema? Cioè: quanta narrazione cinematografica c’è nella costruzione dei pezzi?
La figura di Paolo è stata uno stimolo perché è una celebrità con cui alla fine siamo stati sempre in contatto ed esserci ritrovati a collaborare e soprattutto a soddisfare una sua richiesta è stata una bella soddisfazione. Ha avuto una grande importanza non tanto sul piano musicale puro, quanto perché è stata l’occasione per concentrarci su un aspetto compositivo che abbiamo innato ma che non sempre sfruttiamo consapevolmente. Noi lavoriamo tanto sui timbri e sulle sonorità e ci capita spesso, senza ancora avere un testo, di sentire un nostro brano e dire “Questo è molto cinematografico”. Ci è sembrato quindi di essere calzanti per il compito. E credo anche che l’esperienza abbia cambiato qualcosa anche nel modo di scrivere di Simone, che è sempre stato una bella penna, tanto che lo chiamiamo “Il pavone”, ma che si è semplificato senza rendersi banale: questo l’ha resto più arrivabile anche da parte di un pubblico più ampio. Va subito dritto al punto, non come in brani dei dischi vecchi che a volte mi ricapita di ascoltare e penso “Ammazza quanto è ostico”, tanto nel testo quanto nella musica. Ormai, senza falsa modestia, credo abbiamo raggiunto una certa maturazione.

Spotify, Musicraiser, i Social Network.. Qual è il vostro rapporto con i nuovi media per la promozione?
Non sono un esperto, ma ho capito come funziona Musicraiser e ho visto esempi pratici di persone che lo sfruttano per avere una visibilità che non hanno e di persone che lo impiegano per avere una visibilità che avevano un tempo ma che non hanno più. Questi ultimi mi fanno abbastanza tenerezza, perché se, per esempio, sei stato famoso ma devi organizzare una raccolta fondi per partire con un tour, forse avresti prima dovuto chiederti se quel tour interessa davvero. Altrimenti è come scrivere una letterina a Babbo Natale con la lista dei regali. Per gli artisti emergenti, invece, credo sia una buona cosa, una possibilità in più. I Social Network sono un passatempo e un bel mezzo di pubblicità. Se penso a com’era la situazione quindici anni fa, quando la band aveva a disposizione il suo solo sito internet e raggiungeva solo un pubblico limitato, oggi c’è molto più contatto diretto con le persone. Chi è in grado di utilizzare questi mezzi ne ha senza dubbio un bel rientro in termini di visibilità. Alla fine è un’abilità anche questa.

Stasera suonerete a Milano. Dopo tanti anni di carriera com’è il rapporto coi vostri fan? Cosa si aspettano da voi e voi da loro? Qualcosa è cambiato?
Nel live siamo cambiati sicuramente più noi che il pubblico. Nel 2000, quando sono entrato nella band, avevamo un atteggiamento che definirei più spirituale, silenzioso e concentrato e, forse, sul piano sonoro sentivo un po’ meno energia. Ma con il tour promozionale di Fuochi Fatui d’Artificio le cose sono cambiate. Nel disco usavamo una drum machine, quindi ci siamo sforzati nel live di creare quell’energia che nel disco c’era ed era contenuta nell’artificio. Negli ultimi dieci anni direi che siamo diventati più energici. Forse il pubblico si aspettava questa cosa da sempre al di là del fatto che venga a vedere un nostro concerto perché è già un fan e già ci conosce.

Per la presentazione del disco sono previsti anche set acustici. Si tratta di una necessità dettata dalla mancanza di location adatte all’elettrico o anche di una scelta stilistica?
Un po’ entrambe le cose. Vai in posti dove non è possibile suonare tutti insieme o in elettrico. Non sarebbe neanche bello. La dimensione della band tutta insieme è il palco. Nelle presentazioni in libreria, per esempio, ti adatti, e diventa un modo per sperimentare anche altro, presentare i brani nudi e lasciare anche la curiosità di venire a sentire un nostro concerto per scoprire come sono realmente.

Rockambula sta preparando la tradizionale classifica di fine anno. Ci saluteresti con la tua personale classifica?
Sarò sincero, durante quest’anno ho passato sei mesi in studio e mi sono davvero concentrato poco sulle nuove uscite, anche internazionali. Randon Access Memory dei Daft Punk, però mi ha colpito e sicuramente e ampiamente “Get Lucky” è miglior singolo dell’anno. Mi ha anche molto colpito Black City di Matthew Dear, un disco tutto fatto di sola voce elettronica e basso. L’ho scoperto quest’anno ma è più vecchio. Molto particolare, comunque, una bella novità per me.

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La Band Della Settimana: CocKoo

Written by Novità

I CocKoo nascono tra le alcooliche colline astigiane nel freddo inverno del 2005.
Dopo un primo periodo di riscaldamento compositivo e di sempre più intensa attività live, nel 2006 esportano per la prima volta la loro musica classificandosi primi alla finale nazionale di “Emergenza Acustica” e ottenendo un secondo posto alla finale europea a Monaco, in Germania. Contemporaneamente registrano la loro prima demo distribuita a soli fini promozionali. Nella primavera del 2007 il gruppo ottiene il primo posto al concorso “Il nostro canto libero” che gli vale la produzione di un nuovo promo di 5 pezzi: nel Novembre esce dunque EP#2_SenzaFarRumore, scaricabile gratuitamente dai siti ufficiali della band, che ottiene centinaia di downloads in pochissime settimane e ottime recensioni dalle più famose webzine e magazine italiane.

Dalla primavera 2008 riprendono quindi i live, intanto i CocKoo rientrano tra i quattro vincitori scelti tra gli oltre 300 partecipanti del concorso AREA24 promosso da Rosso Alice e si aggiudicano il primo premio decretato dalla giuria di qualità del “Concorso Internazionale per Artisti Emergenti” presso la MAD – FIERA DELLA MUSICA che, per l’edizione 2008, ospita Subsonica, Elio e le Storie Tese, James Taylor Quartet e Piero Pelù. Durante l’estate 2008 partecipano a svariati festival estivi tra cui il “Pistoia Blues” in apertura a Tommy Emmanuel, Andy Timmons e ai Deep Purple, al festival “AstiMusica” in apertura ai La Crus e al “Pop-Eye festival” in apertura ai Marlene Kuntz. Dal Settembre 2008 i cocKoo si ritirano al Vanilla Studio di Andrea Bergesio per la registrazione del debut album con la produzione artistica di Max Zanotti dei Deasonika, le uniche uscite valgono al gruppo il primo premio della 9° rassegna GREENAGE, il concorso organizzato dalla Maison Musique di Rivoli, con una giuria di qualità guidata da Fabio Barovero (Mau Mau), e l’apertura al progetto milanese Atleticodefina. Durante l’estate del 2009 il gruppo è tra i 3 finalisti selezionati dai new media per prima edizione del M.E.I. Web, partecipano a diversi festival, per presentare in anteprima il disco, condividendo il palco anche con Tricarico e Velvet.

Nell’Ottobre 2009 esce, con la produzione artistica di Max Zanotti (Deasonika, Rezophonic), La Teoria Degli Atomi (EMI Music Publishing / Volume!), anticipato dal singolo “Voodootech”, che scala la Indie Music Like. Con il “Tour Degli Atomi” collezionano oltre 50 date in circa un anno, arrivando ad aggiudicarsi la “Targa Giovani 2010” al M.E.I. 2011 e il “Premio Testi Opera Prima” al Festival Internazionale della Poesia di Genova sezione Musica, intanto, mentre il video di Voodootech viene selezionato tra i 100 finalisti del “Premio Italiano Videoclip Indipendente”, esce, nell’Ottobre 2011, “Seta Porpora”, il secondo singolo estratto dal disco, che si aggiudica dopo poche settimane il terzo posto come “Brand New 2010” promosso dal M.E.I. Web e il cui videoclip porta la firma di Stefano Poletti (già con Baustelle, Tre Allegri Ragazzi Morti, Nek, Pan del Diavolo, Sick Tamburo). Da Settembre 2011 iniziano a lavorare al loro secondo disco. Il resto è ancora da scrivere.

Ah…dimenticavo, si legge cocù.

Genere    Elettropop
Membri    Andrea Cerrato (voce, chitarra), Alberto Pozzo Tebani (tastiere, synth), Silvio Colombaro (batteria, percussioni), Luca Genta (basso)
Posizione attuale    Asti
Informazioni di contatto
Sito Web
Contatto stampa
info@cocKoo.it

CocKooBuongiorno / Presentazione ufficiale Nuovo Album
28 settembre alle 22.00 in UTC+03
Loft Club, Via Antico Ippodromo 3, 14100 Asti

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Nessuno, il nuovo video dei Baustelle

Written by Senza categoria

Una favola blasfema dai contenuti porno-romantici-funerei, così si potrebbe definire a grandi pennellate l’ultimo singolo dei Baustelle, Nessuno, contenuto nell’album Fantasma. La band è attualmente impegnata nel tour di lancio del disco. Vi consigliamo di consultare la Fanpage per scoprire tutte le prossime date.

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Father Murphy – Anyway, Your Children Will Deny It (Remix Series)

Written by Recensioni

Siete riusciti ad ascoltare qualcosa di veramente figo in questo duemilatredici? È dura, lo so, l’anno non è iniziato nel migliore dei modi e neanche i ritorni di Yo La Tengo e My Bloody Valentine sono sembrati degni della nostra esaltazione. Ancor meno in terra italiana, dove piccoli accenni di entusiasmo (me escluso) si sono avuti con i nuovi lavori dei Bachi Da Pietra e dei Baustelle. Veramente poca roba. Tuttavia, solo qualche giorno fa, il quattro Febbraio, i pezzi di una delle più belle realtà italiane (sì, sono italiani), i Father Murphy, contenute nel loro ultimo lavoro Anyway Your Children Will Deny It, messi nelle mani di alcuni dei più grandi nomi della musica Psych-Noise (e non solo) internazionale, hanno visto la luce sotto forma di 7”+ 12” LP. È vero che l’idea di fare dei remix di album editi solo l’anno prima non è certo originale ed è anche vero che il risultato è spesso deludente (vedi i Battles, Gloss Dropp e i remix del 2012 di Dross Glopp). È anche vero che l’album originario dei Father Murphy del 2012 non era stato proprio il capolavoro di una carriera (a proposito vi consiglio piuttosto Six Musicians Getting Unknown e Brigadisco’s Cave #6) anche se per molti questa mia affermazione è una bestemmia. Vero tutto ma vero anche che il risultato che mi pulsa nelle orecchie è ancora meglio dell’originale. Non la penserà cosi chi avrà adorato Anyway Your Children Will Deny It ma come vi ho detto, non è il mio caso. Non v’incazzate, punti di vista.

Il gruppo trevigiano nasce nel 2001 e si sviluppa attorno al cuore composto dal trio Freddie Murphy (guitar, vocals), Chiara Lee (keyboards, vocals, percussion, bells) e Vittorio Demarin (drums, viola, vocals). Il disco da cui i remix prendono spunto, è il quinto lavoro sulla lunga distanza in dodici anni di produzione. Si tratta di un’opera che mescola avanguardie blues, sonorità oscure e agghiaccianti, Neo-Psychedelia, inserti vocali ed elettronici da far tremare l’anima, Folk, Post-Punk e Noise. Un sound assolutamente unico nel panorama tricolore e che ha reso i Father Murphy una di quelle band che fai fatica a renderti conto vivere nel tuo stesso paese. Sono molti i gruppi che scimmiottando le star britanniche giocano a fare gli stranieri ma in questo caso la realtà è ben diversa. I Father Murphy sono una band internazionale perché la loro musica non ha radici terrene.
Il 7” (Two Views) è composto da “His Face Showed No Distorsions” nelle mani degli Indian Jewelry, band che ammetto di apprezzare notevolmente (andate a ripescare i loro lavori e non ve ne pentirete). Un gruppo enorme proveniente da Houston, composto di un numero indefinito di elementi (ci saranno quattro batteristi, tre sassofonisti, diversi chitarristi e poi synth, rumori vari, percussioni, per un totale di membri che supera gli anni della band, nata nel 2001). Il secondo pezzo è “Diggin The Bottom Of The Follow” rielaborato dal francese Philippe Petit.
Il 12” (Heretical View) invece inizia con “How We Ended Up With Feelings Of Guilt” degli Happy New Year e quindi un’altra versione di “His Face Showed No Distorsions”, stavolta degli W.H.I.T.E. (che vi consiglio di cercare senza arrendervi). Segue “It Is Funny, It Is Restful, Both Came Quickly” dei Zulus e ancora “Diggin The Bottom Of The Follow” rivisitato dai danesi Thulebasen. Che cosa è cambiato fino a questo momento, rispetto all’opera madre? Certamente in ogni rielaborazione, i gruppi/artisti hanno messo un pezzo del proprio essere, senza limitarsi a un freddo remix. I brani non si sono certamente trasformati in pezzi da dancefloor, ma hanno acquistato ora pulsante ritmica ossessiva, ora rigonfiamenti lisergici. Diciamo che se l’opera dei Father Murphy è servita a dare conferma della loro grandezza senza aggiungere troppo alla loro proposta, questa diversa visione ci mostra l’inferno sonico dal punto di visto del Demonio e non del dannato. Nella seconda parte troviamo “In Praise Of Our Doubts” di Yvette e “Their Consciousness” di Noel V.Harmonson/Sic Alps. Avrete notato che molti dei partecipanti all’opera fanno parte della scena neo-psichedelica elettronica mondiale ed è proprio questo uno dei diversi punti di riferimento che possiamo trovare all’interno. Inoltre spesso si tratta di artisti non troppo noti al nostro pubblico ma la vera chicca viene con “In The Flood With The Flood” dei grandissimi Black Dice (chiarisco che anche con loro come altri nell’album i Father Murphy hanno condiviso il palco). Attivi dalla fine del millennio scorso, la band statunitense ha sempre proposto una musica dalle mille sfaccettature (cercate l’opera prima Beaches and Canyons), dall’elettronica sperimentale, al Noise, dalla psichedelia al Plunderphonics (genere che si basa sul collage di diverse fonti sonore, col quale si sono cimentati anche i The Residents). Anche in questo caso i Black Dice non si tirano certo indietro per rielaborare alla loro maniera il brano dei Father Murphy. Il disco si chiude con “Don’t Let Yourself Be Hurt This Time” rivisto in chiave EMA.

La musica dei Father Murphy è violenta ma non aggressiva, inquietante ed esoterica, precisa e deforme. Un continuo divenire tra industrial, psichedelia, neo-folk e tutto quanto ci sia di più lontano possibile dagli ascolti di uno spettatore italiano medio (non è un caso che abbiano firmato per l’etichetta statunitense Aagoo). Forse non vi ho detto tanto ma come la loro musica è avvolta in un oscuro mistero, voglio lasciarvi anch’io con la voglia di scoprire i pezzi, uno per volta, scovarne i demiurghi e i loro sofisticatori. Spogliarne i segreti e centellinare con stupore le differenti scie emozionali che vi lasceranno gli ascolti. Se si poteva aggiungere qualcosa, dare nuova linfa ai brani di Anyway, Your Children Will Deny It, aumentarne la potenza, questa è la reazione pragmatica.

 

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Baustelle – Fantasma

Written by Recensioni

Tra inferno e paradiso di solito in mezzo ci sono i fantasmi, e anche una cosa che non si può calcolare ne tantomeno imprigionare, ovvero il tempo, quello scadenzario invisibile che plasma, inghiotte senza mai digerisce niente. E appunto questi ectoplasmi giocano forte e danno il titolo “Fantasma” al sesto album dei toscani Baustelle, un lavoro strano e stupendo che abita fuori dal mondo con la complicità di sofismi sinfonici imbastiti dai sessanta elementi della Film Harmony di Wroclaw (Polonia), diciannove tracce (sei strumentali) che si nutrono di sostanze cinematiche, sfumature horror, pianoforti spogli e tratti cinematici da rincorrere tutto d’un fiato, un concept che ama la vita come gode con la morte.
Un ascolto per niente tranquillo, da centellinare per il disincanto e per il nutrito visionario che la band mette sul piatto, un approccio che non ha leggerezza come nega l’ottimismo esagerando nella degenerazione, colori scuri e arie da pianoforte, voce e orchestra che non lasciano scampo all’incanto,  pronto ad assalirvi come a gelarvi, ma che comunque vela di etereo ogni angolo di pelle e d’ascolto; Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastrenghi vivono il passato e presente come un inceppamento per il futuro, citano Mahler, De Andrè, Messiaen e Stravinskij, realizzando una voglia di respirare significati e non regole prefissate.
Non hanno peli sulla lingua e mai un filo di timidezza sfiora le loro canzoni, i loro “lieder”  a fissare le architetture evolutive di gruppo, una costante e fortissima volontà a non apparire uguali, bensì fuori da tutto senza mai censurarsi né ritagliarsi fughe secondarie; con Enrico Gabrielli dei Calibro 35 come presenza costante negli arrangiamenti, Fantasmi si snoda tra le cupole e le volte di tocchi lirici  “Finale” dal Quatur, composizione di Messiaen scritta nel campo di concentramento, l’adagio della quinta sinfonia di Mahler citato né “La natura”, la ballata in romanesco stretto che bisboccia dentro “Contà l’inverni” o l’organo della Cattedrale di Montepulciano che cromatizza il senso ateo e agnostico del pensiero nella stupenda “Nessuno”.
Disco di coscienza incosciente questo nuovo lavoro della formazione toscana, ma anche di coraggio e  – suo modo – d’avanguardia, certo non d’immediato trasporto se non fatto girare alcune volte, ma quasi un radiogramma che brucia ed immola genio e sregolatezza, alla ricerca fissa di una redenzione umana e non “L’estinzione della razza umana”. Uno di quei dischi che all’inizio ti guarda in cagnesco, poi ti strangola tra le spire della sua subdola bellezza.

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“Ottima Musica Orrida”

Written by Senza categoria

Vi segnaliamo l’interessante iniziativa di alcuni ragazzi di Milano denominata “Ottima Musica Orrida”. Attraverso un vlog, questi ragazzacci recensiscono dischi brutti, senza se e senza ma, che però hanno avuto un ottimo successo di pubblico. L’intento è sia quello di valutarne le caratteristiche che li hanno portati ad essere tanto considerati ma anche quello di mettere in evidenza il lato orrido. Un modo delizioso per prenderci tutti meno sul serio.
Qui sotto trovate la puntata dedicata a Baustelle – La Moda Del Lento.
C’è da divertirsi!

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