Lobsterfight – pink, black, and orange in the corners.

Written by Recensioni

La versione più delirante possibile del Midwest emo stile The Brave Little Abacus.
[ 31.08.2020 | autoprodotto | experimental emo ]

Un gran bel delirio di suoni, questo esordio strampalato firmato Anguel Sanchez (piano, chitarre, sintetizzatori, basso, voce e parole) e James Gove (batteria). Stravagante non solo nel titolo ma anche nel sound, insieme di elettronica, post hardcore, post math rock, tanto rumore tutto in salsa midwest emo che, alle orecchie di un ascoltatore normale e passivo, sembrerà la cosa peggiore mai ascoltata e che invece si rivela essere un’affascinante tripudio emotivo.

Dalla voce di Sanchez – che più che cantare sembra imitare le urla sconclusionate di un folle maniaco – al caos strumentale e lo-fi, dalle cantilene giocose alle bizzarrie dei synth, tutto finisce per avere un senso, considerando anche che le otto canzoni sono state registrate in camera da letto ad esclusione della voce, registrata in garage. Qualcuno di voi si sarà anche rotto il cazzo di queste registrazioni casalinghe ma credetemi, ci sono delle specifiche situazioni in cui tutto questo non solo è accettabile ma è soprattutto necessario a far sì che la musica suoni esattamente come deve essere nella testa di chi l’ha sognata e riesca perfettamente a rendere l’idea di quel sogno anche a chi lo guarda da fuori.

Al di là dell’aspetto prettamente sentimentale, al di là delle emozioni in grado di suscitare questo caos, quello che colpisce in pink, black, and orange in the corners. è l’idea di fondo che la musica emo non abbia esaurito la sua vitalità, abbia ancora tanto da dire e possa farlo seguendo strade più bizzarre di quanto siete in grado di immaginare. Resta invece un grande dubbio circa le canzoni: questo voluto continuo fuori tempo, tutto questo rumore che finisce per distruggere la forma canzone è un bene o un male per ciò che il duo potrebbe fare in futuro? È una strada percorribile o si renderà necessario ripartire dalle più standardizzate, anche se ripetitive, parti presenti in brani come frog?

Perché l’impressione è che sappiano scriverne di canzoni, ma ciò che non ci è chiaro è quanto sappiano farlo in un intero album e quanto un’eventuale ripulita potrebbe riportare i Lobsterfight su di un piano conformista non troppo affascinante che rischierebbe di trasformarli nel clone di un grande del passato di cui parleremo qualche riga più giù e a cui i due sono più che affini. E allora, forse è il caso di non farsi troppe domande, riprendere dall’inizio e ricominciare ad ascoltare che, dopo le prime fasi di smarrimento in cui vi sembrerà di esservi presi un cazzotto sui denti, potrebbe iniziare a farsi tutto più trasparente e potreste addirittura trovare conforto nel suo delirio math rock.

Talmente incasinato che farete fatica a capire se i due vi stiano prendendo per il culo o facciano sul serio, se stiano prendendo per il culo tutti i songwriter emo lo-fi apparsi fino ad oggi, o se credano davvero in tutto questo, a questa versione ancor più pazzoide di The Brave Little Abacus che, dio mi perdoni, ho scoperto solo pochi giorni fa. Ed è solo per caso che sono finito a questo esordio targato Lobsterfight, dopo aver ascoltato Masked Dancers: Concern in So Many Things You Forget Where You Are. A volte caso e destino giocano allo stesso gioco ed allora chi sono io per impedire loro di giocare con me. Ora sta a voi capire se volete mettervi in gioco e rischiare. Al massimo vi beccherete un mal di testa.

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Last modified: 18 Novembre 2020