Alessandro Maiani Author

Heimdall – Aeneid

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“Aeneid” è, in Italiano, l’Eneide di Virgilio. Il tema del quinto lavoro della ormai quasi ventennale band campana, che arriva dopo 9 anni di silenzio (caratterizzati da diversi cambi di formazione) dal precedente lavoro in studio Hard as Iron, è dunque il simbolo stesso dell’avventura epica come la buona tradizione del power metal richiede. Il coraggioso concept-album degli Heimdall, pubblicato dalla Scarlet Records, non tradisce le alte aspettative di un’ispirazione così importante e regala all’ascoltatore, dalla prima all’ultima traccia, un metal genuino e tradizionalista ma al tempo stesso moderno nelle sonorità, coraggioso negli arrangiamenti, mai scontati e sempre egregiamente realizzati. Una produzione di ottimo livello anche tecnicamente parlando, con un suono potente soprattutto grazie alle chitarre del tridente composto da Fabio Calluori, Carmelo Claps e Umberto Parisi. Le linee melodiche della voce di Gandalf Ferro sono perfettamente in stile e ben cantate, supportate da ottimi cori degli stessi chitarristi, le ritmiche di basso e batteria (Daniele Pastore e Nicolas Calluori) sempre corpose e incalzanti. Infine un plauso particolare per le tutt’altro che trascurabili tastiere che, meravigliosamente concepite, rendono l’atmosfera evocativa ai massimi livelli.
Che dire, potrei passare traccia per traccia, dall’immancabile e romanzesco prologo all’epilogo (quattordicesima traccia!), appunto “The Last Act”. Ma a cosa servirebbe? Non c’è una traccia brutta in questo disco. Non c’è una traccia che preferisco sulle altre. La storia è quella di Virgilio. L’interpretazione e la realizzazione degli Heimdall è magistrale. Questo “Aeneid” in sostanza offre tutto ciò di cui un sano metal-lover abbisogna, portando una ventata di modernità sonora ma rimanendo fedele alla tradizione degli artisti ispiratori della band di Salerno: Ozzy Osbourne, Judas Priest, Iron Maiden, Helloween e Metallica, solo per citarne alcuni. Potenza, atmosfera epica, melodie evocative, giusta dose di cuore, anima, sangue. L’uscita del disco è prevista per il 26 febbraio 2013. Chi non ama il genere probabilmente non sta nemmeno leggendo il mio articolo. Per tutti gli altri nessun indugio! Per quanto mi riguarda, quando avrò voglia di metal, so che avrò certamente gli Heimdall nella mia playlist.

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Marazzita – Mi gioco i sogni a carte

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“Mi gioco i sogni a carte” è il secondo EP del “riccio” giovane cantautore calabrese fuori sede Marazzita.
L’EP è composto da sei brani di durata piuttosto radiofonica (a cavallo dei tre minuti e un po’ in media). I testi sono probabilmente la parte più forte del lavoro del cantautore calabrese: tante cose da dire, tante storie che parlano del tempo, della malinconia insita nell’anima evidentemente in fase di cambiamento di Peppe Marazzita, il tutto condito da toni spesso ironici, quasi sempre tristemente arresi ad una realtà che si dimostra, con il passare del tempo, sempre meno simile al sogno del giovane calabrese. La malinconica ironia dei testi è accompagnata egregiamente da arrangiamenti minimali ed efficaci, a volte quasi volutamente trascinati, a volte irriverentemente “un passo avanti”. Plauso particolare ai synth di Gianluca Di Vincenzo nella traccia numero 4, “Un balcone coi fiori”.
L’EP si apre con “Maledetto”, una ballata dedicata al tribolato cantautore livornese Piero Ciampi. Da subito si intuisce il leitmotiv del disco, la dolce apatia e disillusione nelle parole e nella musica della generazione cantautorale degli anni zero. Volendo cercare influenze nel lavoro di Marazzita possiamo citare Max Gazzè (in particolare nella seconda traccia, “Poster”), qualcosa di Bennato, alcune atmosfere di Tiromancino. In generale però Marazzita appare originale e non categorizzabile, anche se assolutamente fruibile, commercialmente parlando.
Nel terzo brano Marazzita non lesina in quanto a metafore e si interroga, cantando su una musica spensierata e dal sapore di hit estiva da juke-box sulla spiaggia, riguardo al futuro del mare, della sua Calabria e in generale del Belpaese. La quarta traccia è un invito per una cenetta romantica con tanto di Chianti e fiori (finti) sul balcone, una scusa come un’altra per raccontare qualcosa dell’insoddisfazione e del disagio di Marazzita, con il sorriso amaro sempre sulle labbra.
Nella quinta e penultima traccia “Vai via da qua” Marazzita cita il titolo dell’EP e cioè la sua volontà di giocarsi i sogni a carte, raccontando definitivamente della sua delusione per ciò che avrebbe voluto fosse ma non è, della ricerca di un rimedio per poter cambiare le cose, magari per trovare il coraggio di andarsene. Il disco si conclude con “L’artista da giovane”, brano che racconta del recente passato di Marazzita proprio come fa James Joyce ne “Il ritratto dell’artista da giovane”.

Il cantautore calabrese si conferma un’interessantissima realtà che fa della sintesi e della semplicità del linguaggio la sua arma migliore. Le melodie e le atmosfere sono tutt’altro che underground, nonostante si possa ad oggi considerare il fuori sede calabrese ancora un abitante della famigerata “nicchia”.
Consiglio vivamente l’acquisto di questo disco a chiunque abbia voglia di ascoltare un punto di vista tutto sommato comune ma raccontato in modo originale e soprattutto sincero da un giovane che continua a “cantare i propri sogni sopra e sotto un palco, in un’estate su una spiaggia senza spiaggia”.

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Kawamura Gun – Brutiful

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Kawamura Gun, come suggerisce il suo nome, è un artista di origine giapponese: dopo un periodo di studio delle arti nel Regno Unito si è trasferito a Roma dove attualmente vive e lavora. Questo suo album, “Brutiful”, è il primo da solista. Gun è anche infatti da qualche anno chitarrista e cantante dei Blind Birds, band romana di ispirazione glam-rock.
Ok, è tempo di mettere su il CD. Lo ascolto una prima volta e capisco che non mi basterà: la prima impressione è di essere di fronte a qualcosa di originale, ispirato certamente alle sonorità del rock degli anni’60 e ’70, ma assolutamente dotato di vita propria. Il disco non è per niente banale e quello che conta è che mi ha fatto venire voglia di ascoltarlo una seconda volta, non per il semplice motivo che il mio compito è recensirlo, ma proprio per curiosità e gusto personale. Andiamo ad analizzarne i contenuti.
Gli arrangiamenti sono minimali, gli strumenti (tendenzialmente chitarra, basso e batteria/percussioni, con molte parti corali di background anche melodicamente indipendenti) paiono suonati quasi con svogliatezza, con voluto disinteresse per la precisione e la “bellezza” intesa come confezionamento commerciale di un’idea. Credo che Gun voglia proprio sottolineare, come nel titolo dell’album “Brutiful” (unione di due lingue, l’italiano e l’inglese e di due parole, Brutto e Beautiful), la doppia faccia della sua arte, meravigliosamente brutta come il mondo che il giapponese vede e racconta. Intendiamoci, non sto parlando di disinteresse per la perfezione artistica: al contrario Kawamura Gun mi pare non essere tipo da accontentarsi del proprio prodotto finché esso non abbia raggiunto la perfezione, la Sua perfezione però, che è tutt’altro che ordinata, tutt’altro che conforme al comune senso di “bello”.
Il disco si apre con “Tongued eyes”, brano cantato in inglese che ricorda le atmosfere di band quali i T-Rex e i Silverhead, tra l’altro dichiarati ispiratori della musica prodotta dal giapponese. Il brano è un inizio perfetto e spiega in maniera magistrale quello che Gun vuole farci sentire per il resto dell’album.
La seconda traccia ci annuncia che non tutto il disco sarà cantato in inglese: “Henda” infatti ha un testo in giapponese così come “Ke” e “Mawatte Mawatte”, quinta traccia dell’album, ipnotica quanto il video che Gun ne ha realizzato dove vedrete l’artista cimentarsi con un piatto giradischi sopra il quale è stato posto un LP corredato di piccole gambe di donna che eseguono coreografie. Questa immagine dovrebbe essere più che sufficiente a rendere l’idea dell’atmosfera in cui sarete catapultati. Cercate il video su YouTube.
Con “Say no word” si torna alla lingua inglese e con il testo anche la musica ci riporta al brit-pop di ispirazione beatlesiana. La melodia e l’armonia, aiutate dalla pronuncia della lingua inglese, diventano decisamente più easy pur mantenendo lo stile sopra le righe di Kawamura.
La chitarra torna ad essere grunge nella settima traccia del disco “I had your cake, Sarah”, brano che, a parte l’arrangiamento molto più soft e la voce decisamente meno “maledetta”, ricorda nel testo e nell’armonia qualcosa dei Nirvana. Non mancano ovviamente come in gran parte del disco le parti corali tipicamente british, ingrediente che, assieme al resto contribuisce a rendere il lavoro di Kawamura qualcosa di non ancora sentito. Quali sono le mie tracce preferite? “Tongued eyes”, “Mawatte Mawatte” e “Layers”.
“A volte mi è capitato di comporre pezzi non adatti al gruppo, li mettevo da parte, quando mi si è presentata l’opportunità, ho accettato la proposta di fare uscire un lavoro come solista”. Così Kawamura spiega il perché di questo album. Francamente credo sia difficile inventare qualcosa di nuovo, oggi. Quello che un artista può fare, probabilmente come sempre è stato fatto, è attingere dalle proprie esperienze, farsi contaminare dai propri interessi, scoprire e riunire pezzi di sè, esprimerli attraverso forme di comunicazione consone, e quindi creare. Questo in”Brutiful” è stato reso egregiamente. L’unione di ingredienti primari differenti, mescolati ed espressi alla maniera del giapponese, risulta assolutamente originale e apprezzabile.
“Brutiful”, per concludere, è stravagante, fuori dal comune, mai banale e, sempre, dolcemente deviante. Sicuramente questo disco è solo una piccola parte dell’espressività artistica di Kawamura Gun. Ascoltandolo e navigando un po’ sul web in cerca di curiosità su di lui mi sono imbattuto in diversi lavori, dalla pittura alla scultura, per passare dall’origami alla creazione di pupazzini. Ho visto tutto di sfuggita. Il mio lavoro era recensire il suo prodotto musicale, però consiglio a tutti coloro che vorranno avvicinarsi al sorprendente mondo del giapponese di dare un’occhiata anche al resto della sua arte. Sicuramente Kawamura Gun è un personaggio straordinario dotato di uno stile sopra le righe e che non ama le mezze misure, così come non ci saranno mezze misure nel vostro apprezzare o meno il suo disco: o vi farà impazzire o lo detesterete.

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