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Pearl Jam – Lightning Bolt

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La premessa necessaria è che chi scrive questa recensione è una fan dei Pearl Jam. Non una di quelle che va a tutti i concerti, compresi quelli oltreoceano (e ce ne sono parecchi all’interno del Ten Club, l’associazione di fan dei Pearl Jam attivissima da anni nel mantenere i contatti tra la band e i loro ascoltatori), ma una di quelle che suona in una Tribute Band e comunque un paio di date per tour (in Europa) se le fa. Lightning Bolt è stato un album molto atteso e ha subito fatto parlare parecchio di sé, spesso in modo molto negativo. Il disco si apre con “Getaway”, un bel brano d’ispirazione Punk che inizia con un riff in palm muting tutto incentrato su un giro di quattro powerchord sostenuto dal giro di basso e dalla precisione della batteria di Cameron. “Mind Your Manners”, primo singolo di Lightning Bolt, è subito diventato un tormentone per l’uso che ne è stato fatto nella campagna di lancio: tiratissima e urlatissima, è clone o semplicemente costruita sulla falsa riga delle antecedenti “Spin the Black Circle” e “Do the Evolution” (specie per la tematica socio-polemica del testo). Contiene quello che probabilmente è l’unico assolo simile a quelli cui McCready ci ha abituato in vent’anni, per quanto qualcuno potrebbe ulteriormente obiettare sulla brevità. “My Father’s Son” è probabilmente la prima vera canzone debole del disco che, fino a qui, non aveva proprio nulla da invidiare agli album precedenti. “Sirens” è un capolavoro.

Perfetta nella sua semplicità, delicata e impreziosita sì dalla voce di Vedder, come molti prima di me non hanno mancato di sottolineare nelle loro recensioni, ma anche dall’eleganza delle melodie di Stone Gossard, che elabora il tema portante con pochissime note ben amalgamate tra loro. La title track “Lightning Bolt” pecca solo di una patina moderna in fase di registrazione. Se fosse stata composta ai tempi di VS, sarebbe stata una canzone potentissima. “Infallible” è molto intensa, scandita metronomicamente sia dai diversi riff sia dalla voce, ma allo stesso ammorbidita dal trattamento melodico delle tastiere. Segue, quasi senza soluzione di continuità a livello di atmosfere e in un crescendo emozionale, “Pendulum”, una ballad dall’introduzione cupa e lenta, già usata nei live del nuovo tour come brano iniziale, proprio per la grande suggestione che crea: la melodia leit-motiv delle tastiere è onnipresente, in un crescendo che sfocia in un acuto da pelle d’oca di Vedder. “Swallowed Whole” non è proprio niente di che, bisogna dirlo. “Let The Records Play” è la pecora nera del disco: stona per quel riff Blues che la sostiene e sembra essere più un gioco compositivo, una sfida ricercata per uscire dagli schemi preconfezionati, che un brano veramente sentito. “Sleeping by Myself” è pura farina del sacco di Vedder e del suo modus operandi da solista, ma questo non toglie che sia un bel brano, gradevole e leggero. “Yellow Moon” è la mia preferita: l’intro alla chitarra acustica ricorda molto “Low Light”, altro brano storico della band, ma questo non toglie che siamo di fronte all’altro capolavoro del disco, in cui il testo onirico vede la natura impegnata a riflettere e rappresentare i sentimenti della voce narrante, come in quella “Unthought Known” di Backspacer, in cui, non a caso, la luna era protagonista indiscussa.

Il disco chiude con “Future Days”, ballatona romantica con qualche accenno Folk, che nuovamente riflette le esperienze solistiche di Vedder, dolce, delicata e forse un po’ troppo Pop, ma davvero gradevole. E comunque tutto ciò che Vedder canta viene indubbiamente tramutato in oro. Insomma. Lightning Bolt non sarà un capolavoro, ma sticazzi. Si può obiettare che alcuni brani non siano nulla di che e che la disposizione della tracklist bruci le tracce più di impatto in prima posizione, svuoti il centro e si rifaccia verso il finale, ma non è che ogni album dei Pearl Jam sia stato composto di decine di capolavori uno più bello dell’altro e che questo marchi inesorabilmente il declino dei nostri. Stanno invecchiando, cambiano le priorità, cambiano gli argomenti e gli spunti di riflessione, cambia anche il sound, certo, pur rimanendo perfettamente riconoscibili. Ciò che di sicuro non cambia è che i Pearl Jam diano il meglio di sé dal vivo. E non resta che sperare che facciano un salto da queste parti.

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