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Il Tributo da Pagare – Seconda Parte

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La seconda persona che mi sento di coinvolgere in questo delicato argomento è una giovane ragazza, fan allo sfinimento degli Aerosmith. Chiacchierando con lei dopo un concerto, scopro che segue da tanti anni una band tributo dei rocker di Boston: i Big Ones.

Da dove viene questa passione per una tribute band? Cosa spinge una ragazza infognata per un supergruppo a seguire i suoi “cloni”? Se la musica è arte cosa c’è di artistico nell’imitazione?
Intanto non parlerei di cloni, a me dà l’idea di un gruppo che scimmiotta senza personalità (e magari anche male) il gruppo a cui vuole rendere omaggio. Non è questo il caso… Il motivo che mi ha spinto a seguirli come tributo è molto semplice: la possibilità di sentire dal vivo la musica dei miei idoli, che purtroppo dalle nostre parti non vengono tutti i giorni, e soprattutto di sentirla suonata bene. Loro non si limitavano a ricreare il sound degli Aerosmith tale e quale, ma ci mettevano anche qualcosa di loro, arricchendolo. Anche questo è fare musica secondo me ed è una qualità. Si sono fatti un nome e un seguito suonando ovunque, ma i Big Ones sono la dimostrazione che si può andare oltre, quando si hanno le capacità e la qualità, che in Italia c’è anche spazio per la musica originale, scoprirete perché…

Quando e come hai scoperto i Big Ones? Cosa ti ha attratto di più? La somiglianza sonora o quella visiva? Che peso hanno questi due componenti in una valida tribute band? Non è un po’ ridicolo vedere un sosia sul palco? Ci sono già i programmi di Gerry Scotti per questo…
Si parla di quasi 7 anni fa. Ne avevo già sentito parlare, ma ero estranea all’epoca al mondo del live, così andai a sentirli a una festa della birra, ero molto curiosa. Ero da poco reduce da due concerti degli Aerosmith. Quella sera, fin dalle prime note, mi è sembrato di rivivere ancora i momenti di qualche mese prima, ero completamente coinvolta da quello che stavo ascoltando. La somiglianza visiva non è stata la prima cosa a colpirmi. È ovvio che abbia il suo peso, basta che non si arrivi al ridicolo, quando si vuole imitare troppo, scimmiottare. Ci va personalità, anche musicale, ed è proprio quello che hanno i Big Ones. È tutto un insieme di qualità che li rende unici.

Fino a dove ti sei spinta a seguire questa band? Quanti concerti e quanti kilometri hai macinato per loro?
In 7 anni direi che qualche chilometro per tutta l’Italia l’ho macinato e ne farò ancora molti! Sono andata anche qualche volta all’estero. Non tengo il conto di quanti concerti abbia visto, ma credo di aver superato quota 100.

Ho saputo che da qualche anno i Big Ones hanno iniziato a comporre musica propria con un discreto successo. Non rischiano che la gente vada a sentirli sperando che suonino “Rag Doll”? Tu che li conosci bene, come sono i loro fan?
Sì, dal 2009 portano avanti con successo un progetto di brani originali in italiano, sono usciti due album distribuiti dalla Warner. Sono stati scelti per comporre la colonna sonora di un film a breve in uscita (“Sarebbe Stato Facile”), di cui farà anche parte il brano “Io Mi Perderò” con musica e parole di Maurizio Solieri, che ha voluto fossero proprio i Big Ones a arrangiare e interpretate il suo brano. Per altro, di questa canzone, verrà girato pure un video.

La gente che li conosce lo sa e, anzi, ai concerti vuole sentire i loro brani originali. Chi li conosce un po’ meno magari viene per sentire “Rag Doll”, ma quando ascolta un loro brano rimane comunque entusiasta, si incuriosisce, ne vuole sapere di più. C’è da dire che il rispetto e la stima per gli Aerosmith c’è sempre, è anche grazie a loro se sono arrivati dove sono ora, ma in ogni caso chi viene ai loro concerti è sempre contento ed è questo l’importante per una band credo, senza i fan è difficile andare avanti. E i sostenitori dei Big Ones aumentano sempre di più!

Non mi resta che lasciare le parole alla musica. Guardate qua e sbizzarritevi.

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Il Tributo da Pagare – Prima Parte

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Non so quante volte vi sia capitato di andare ad una festa della birra o in un qualsiasi pub con un palchetto sgangherato e vedere un tipo goffo, con cappello militare e occhiali zarrissimi imitare Vasco Rossi muovendo le mani e sparando “eeeeh” a raffica. Circondato per altro da musicisti ipertecnici e da gente di tutte le età che echeggia gli “eeeeh” a gran voce.
Beh a me un paio di volte è capitato. E in questi casi ti chiedi “Perché?” In realtà di perché io me ne chiedo proprio tanti. Perché deve essere così idolatrata una maschera? Perché un musicista dovrebbe aver lo stimolo per replicare assoli già scritti e assimilati da miriadi di altoparlanti? E soprattutto: perché un ragazzo, una famiglia, un fruitore qualsiasi di musica popolare, dovrebbe trovare interesse in una tribute band? E perché capita così spesso che la curiosità di conoscere musica nuova venga in questa maniera prontamente abortita?
Suonicchiando in giro da ormai dieci anni (pezzi inediti, ma sì, lo ammetto, anche tante cover!) ho cercato più volte la risposta. E spesso la più sensata mi è stata fornita da gestori dei locali: “Mi spiace ma in questo club girano solo le cover band. Sai com’è, all’italiano piace cantare”.
Ora ho voluto scavare un po’ più a fondo e affrontare i miei dubbi e dilemmi facendo quattro chiacchiere con due personaggi che in questi anni di musica dal vivo ho avuto la fortuna di conoscere nei paraggi del palco. Il primo è Kikko Sauda, simpaticissimo e solare ragazzone di Imperia, cantante della Combriccola del Blasco, sosia impressionante del rocker di Zocca. Ma fidatevi che lui (vi piaccia o no) non è certo tipo goffo, ci sa fare eccome e ammalia piazze intere da anni. Ma questo a Rockambula non basta. Tartassiamolo di domande…

Ciao Kikko, benvenuto su Rockambula! Beh la prima domanda pare scontata. Perché proprio l’inflazionatissimo Vasco? Da dove nasce questa irrefrenabile passione? E questa somiglianza? Sii sincero, hai usato trucchetti chirurgici…
Ahah trucchetti estetici! Intanto onoratissimo di essere qui su Rockambula x questa stuzzicante intervista. Inflazionatissimo? Oggi sicuramente ma quando ho cominciato 14 anni fa un po’ meno. Oggi infatti, le tribute band a Vasco nascono come i funghi e spesso si può incappare in personaggi goffi come descrivete nell’articolo. Io comunque non sono né un cantante né un musicista, mi definirei più uno show man anche se a cantare me la cavo (con i miei limiti eh).
All’eta di 5 anni già mi esibivo in piccoli spettacoli facendo le imitazioni di questo e quest’altro cantante o personaggio dello spettacolo, la scaletta includeva anche il clown. Crescendo il timbro vocale, l’indole e approccio filosofico alla vita mi hanno avvicinato più a Vasco o forse hanno avvicinato lui a me…può essere che sia lui che mi imiti! (Kikko se la ride). Quindi io sono uno di quelli che ha scelto una strada facile e immediata per salire su un palcoscenico, perché è il posto dove mi sento più a mio agio, a me familiare e più naturale. Si naturale, anche se interpreto un grande personaggio, è come una parte per un attore, però poi sul palco ci sono io!! Amo star li e coinvolgere il pubblico, do e ricevo tantissimo.

Riuscite con questo progetto a riempire le piazze e i club. Come vive una tribute band come la tua? Riesci a sostenerti economicamente con la musica live?
A questa domanda non posso rispondere x motivi fiscali….He he.
Dal momento che, tranne qualche piccola collaborazione, non lavoro con agenzie, per me questo è un lavoro anche quando non sono sul palco. Quindi la mia professione dopo 14 anni, dipende dallo show che fai e da quello che ci sta dietro.

Chissà quanti ti hanno detto: “Pazzesco è uguale”. Che rapporto c’è con il pubblico che viene a sentire i vostri concerti? Non trovi un po’ una presa in giro che la gente venga ad ascoltarti perché ama quello che in realtà non sei?
Vedi, ai miei concerti vengono per lo spettacolo che faccio, o meglio che facciamo con questa meravigliosa band. Vengono per me e me lo dicono. Fidati è bellissimo, mi dicono: “veniamo da anni perché ogni concerto è diverso dall’altro e riesci, riuscite ad emozionarci sempre!”
Poi io improvviso sempre e lo fa pure la band. Sopratutto il chitarrista solista (per altro molto amato dal pubblico) improvvisa parecchio. Anche se facciamo un tributo non sentirai mai un solo identico nota per nota, ce ne fottiamo e ci mettiamo del nostro! Insomma ci divertiamo!!

A cosa mira il tuo show? Puro divertimento o c’è qualche pretesa in più? E’ vero che all’italiano basta staccare il cervello e cantare “Albachiara”?
Ma non so se sia solo l’italiano. Penso che quando fai uno show che emoziona la gente, puoi cantare quello che vuoi: italiano, russo, americano. “Albachiara” o “Quel Mazzolin di R,ose”… Vedo che ai miei concerti la gente stacca con la realtà si diverte, sta bene e canta e oggi come oggi c’è sempre più bisogno di staccare dalla realtà.
Riguardo alle aspirazioni le tribute band hanno ovviamente dei limiti proprio perché molto inflazionate. Viviamo già grazie a locali e piazze piene e ad anni di gavetta una nostra realtà e, certo, con il nostro cachet. Io ho sempre molte idee e progetti per staccarmi dalla massa, alla prossima intervista magari parleremo di un tour. Che vi piaccia o no: “Io sono ancora qua! Eeeeh già!”

Ti è mai venuta voglia di essere “te stesso” e smarcarti dall’ombra di Vasco? Scrivere la musica tua, le tue emozioni. Non è avvilente per un musicista suonare solo cover e non poter mai esprimere il proprio talento? Non dovrebbe essere nella creazione il vero traguardo di un musicista?
Domanda con il coltello tra i denti si sente che è un musicista che la formula… Vedi con canzoni mie son arrivato due volte alle selezioni finali del Festival di Sanremo. Poi la somiglianza anche solo fisica con Vasco, in questi casi, penalizza. Non per essere ripetitivo, ma comunque quello che faccio mi emoziona al di là di fare una cover, mi diverto e sto bene in mezzo al mio pubblico. Tutto il resto è noia (un omaggio al Califfo!). Ciao a tutti!

(…prosegue…)

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