I migliori album del 2021 – la classifica di Silvio “Don” Pizzica

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Un anno ricco di dischi “scritti durante il lockdown” (dio, che palle).

Se doveste riassumere musicalmente con una frase, un motto, un titolo, questo disgraziato 2021, cosa scrivereste?

“L’ascesa dei Maneskin e il trionfo italiano”? (Fate i bravi, su)

“La morte dell’indie italiano”? (E basta cazzate, che poi è morto da tempo)

“Il ritorno del rock”? (No, vi prego)

“La seconda giovinezza del rap”? (Ma dove, in Italia?)

È stato un anno davvero strano, ricco di uscite di artisti “che hanno scritto questo disco durante il lockdown” ma tra tanta merda e nonostante il mio pessimismo cosmico, sono riuscito a stilare una personalissima classifica degli LP che ritengo degni di essere ascoltati. Qui sotto trovate anche una playlist con alcuni dei brani che ho amato di più e anche con bei pezzi di album non troppo fighi.

20. Turnstile – Glow On (post hardcore, alternative rock – USA)

Melodia ed energia per uno dei dischi più appaganti per gli appassionati di hardcore in cerca di qualcosa di più.

19. 소음발광 – 기쁨, 꽃 ||| Soumbalgwang – Happiness, Flower (post hardcore, emocore – Corea del Sud)

L’anno d’oro della Corea non poteva che impreziosirsi con un grande disco post punk, il genere alternativo tornato in voga e che più si sta distinguendo al mondo. Alti e bassi nella tracklist ma disco da non perdere.

18. Silk Sonic – An Evening With Silk Sonic (pop soul, funk – USA)

Due nomi enormi, Mars/Paak, che insieme realizzano un disco funk tanto semplice e nostalgico quanto perfetto in ogni dettaglio.

17. Maria Arnal i Marcel Bagés – Clamor (art pop – Spagna)

Dopo anni di buio, la Spagna si sveglia dal torpore artistico diventando una costante per le mie classifiche di fine anno. La contaminazione tra tradizione e modernità sembra la carta vincente per gli iberici ma non l’unica a loro disposizione.

16. Youth Novel – Youth Novel (emoviolence – USA)

Una versione più oscura e aggressiva della rabbia giovanile emo tanto incisiva da soffocare.

15. Backxwash – I Lie Here Buried With My Rings and My Dresses (industrial rap – Zambia/Canada)

Il rap nella sua versione spaventosa.

14. The Armed – Ultrapop (noise rock – USA)

Di pop qui non c’è l’ombra, anzi, la saturazione è tanto eccessiva da risultare sgradevole anche per chi ascolta noise a colazione. Tutto così inutilmente estremo che finisce per attrarci in maniera malatissima.

13. Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert (jazz soul rap – UK)

Una miscela stilistica impressionante; jazz, rap, soul amalgamati da una voce ispirata come pochi altri quest’anno.

12. Feu! Chatterton – Palais d’argile (art pop – Francia)

Se la Francia cercasse ambasciatori per la propria musica, superando i cliché del rap o della chanson, questo sarebbe il nome giusto. Un disco art pop ammaliante in cui elettronica, tradizione poetica e una leggera psichedelia si incontrano senza scontrarsi. E per non sbagliare, in tracklist il mio brano preferito per l’anno corrente.

11. Black Country, New Road – For the First Time (post-punk – UK)

Il post punk è tornato di moda, siamo d’accordo, ma questo non significa che ogni band che faccia revival post punk sia in grado di farlo decentemente. Ogni band no, ma ci riescono alla grande i londinesi.

10. Godspeed You! Black Emperor – G_d’s Pee AT STATE’S END! (post rock – Canada)

L’approccio ad ogni nuova uscita di classico post rock è sempre traumatica; non ci si aspetta mai niente di buono da un genere che forse ha detto tutto quando doveva. E poi ci sono loro che ti lasciano sempre a bocca aperta.

09. Lil Ugly Mane – Volcanic Bird Enemy and the Voiced Concern (neo psych – USA)

So che vi aspettereste un brutto disco trap, a leggere il nome ed invece, se supererete i pregiudizi, scoprirete uno degli artisti più stravaganti e interessanti del decennio. Un ottimo punto di partenza per scoprire, a ritroso, un lato del rap meno noto.

08. Injury Reserve – By the Time I Get to Phoenix (experimental rap – USA)

Il miglior disco rap dell’anno!

07. black midi – Cavalcade (avant prog – UK)

Come può un gruppo brutal prog piacere tanto? E come può piacere tanto e nello stesso tempo avere tanti denigratori? Perchè roba come questa piace anche a chi questa roba non l’ascolterebbe neanche sotto tortura? Che siano più banali di quanto sembri o gli artefici della rinascita di uno stile ostico, qualsiasi cosa siano per voi, la risposta ad ogni domanda sta nell’ascolto.

06. Arab Strap – As Days Get Dark (indietronic – UK)

Un gruppo che forse ha raccolto meno del meritato nei tanti anni in cui ha suonato ma che ora sembra volersi riprendere tutto con gli interessi. Forse il disco che più di tutti, tra gli ascoltati quest’anno, si accosta al concetto di musica come Arte.

05. Idles – Crawler (post-punk – UK)

La band che è stata in grado di farmi tornare fan come un ragazzino. Nessuno è come loro e, superata la fase più aggressiva degli esordi, questo disco è la prova che neanche loro sono come loro. Reinventarsi sempre, senza tradirsi mai anche a costo di rinunciare alle canzoni memorabili per puntare ad un disco mastodontico nella sua interezza. Nessuno è come gli Idles.

04. Home Is Where – I Became Birds (midwest emo – USA)

Cosa volete che abbia da dire, ancora, l’ennesima band midwest emo al suo disco d’esordio? Ascoltate voi stessi. Qui si sfiora l’Olimpo del genere.

03. Genesis Owusu – Smiling With No Teeth (neo soul – Ghana/Australia)

Recentemente trionfatore degli ARIA Awards, l’artista australiano mette insieme un disco che sembra impossibile a farsi. Soul, funky, rap, post punk e dance. Insieme non dovrebbero avere senso ma, tra le mani di Owusu, diventano qualcosa di straordinariamente orecchiabile e semplicemente “bello”. Ogni artista sogna di realizzare un disco non banale e sempliciotto ma comunque capace di arrivare a tutti. Lui ci è riuscito al primo colpo, se solo il mondo starà ad ascoltarlo.

02. Black Dresses – Forever in Your Heart (electronic industrial – Canada)

Certo, il duo più assurdo degli ultimi anni si era sciolto lo scorso anno. E invece eccolo tornare con la sua opera più matura, piena com’è di dolore ma stavolta consapevole e metabolizzato. Superata la fase pseudo pop, si torna ad affrontare l’angoscia con gli strumenti più adatti, elettronica stridula, riff deformi, voci inquiete nel tentativo di trasformare la sofferenza in qualcosa di positivo senza nasconderne la sua forma.

01. otay:onii – 冥冥 (Míng Míng) (post industrial – Cina)

Giuro di averci provato, di avercela messa tutta per non piazzare al primo posto un disco tanto ostico. Lo so che un disco post-industrial, pieno di oscura elettronica, infarcito di tradizione, rumore e silenzio realizzato da una sconosciuta artista cinese, non incuriosirà nessuno rendendo questo articolo inutile, come so che farò solo la figura dello snob alla ricerca dell’astruso a tutti i costi ma questo è uno di quei casi in cui l’inevitabile accade senza una ragione specifica. Sarà capitato anche a voi di perdervi in una bellezza tanto grande da accecarvi e che non sempre si rivela agli altri allo stesso modo. Spero soltanto di non essere solo. Questa è arte solo che non siamo più in grado di goderne.

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Last modified: 21 Gennaio 2022