WE WERE JUST HERE, il noise in technicolor dei Just Mustard

Written by Recensioni

Senza snaturare la formula già testata di rumore e melodia, il terzo album del quintetto irlandese tenta un salto verso territori più luminosi.
[24.10.2025 | Partisan | shoegaze, noise pop, post-punk]

C’è qualcosa che fin da subito ho trovato alquanto insolito e curioso nel nuovo disco dei Just Mustard, qualcosa a cui ho fatto caso ben prima di mettermi all’ascolto. I titoli di ogni brano, il titolo stesso dell’album, tutto scritto a lettere rigorosamente maiuscole.
E poi, proprio nel bel mezzo del calderone shoegaze: vuoi per l’atteggiamento volutamente dimesso e menefreghista di chi da una vita non fissa altro che la punta delle proprie scarpe, vuoi per quel desiderio sregolato di dissolversi come particelle nel suono, un genere popolato di lettere minuscole a non finire.

Pare che il quintetto di Dundalk voglia comunicarci a gran voce qualcosa di estremamente importante, ribadire la propria presenza, sollevarsi in punta di piedi sgomitando in mezzo ad una folla per darci una dimostrazione concreta: WE WERE JUST HERE.

Al precedente Heart Under (2022) non era riuscito di bissare le clamorose e distopiche visioni sinistre tracciate dall’eccellente esordio Wednesday, pubblicato quattro anni prima. Al contrario, il secondo lavoro aveva messo in luce un diverso potenziale della band: la capacità di essere onirica e deliziosamente rumorosa allo stesso tempo, di non temere l’avvento delle tenebre più opprimenti anche nella ricerca di melodie più eteree, di sapersi ancora distinguere dal diabetico dream pop nell’individuare un’identità che potesse calzare a pennello.

E questa terza opera? WE WERE JUST HERE sembra voler tirare dritto su una strada ormai già sicura, attingendo soprattutto dal diretto predecessore (la bellezza inquietante del primo album, ripeto, sarebbe stata troppo difficile da replicare): un gaze intenso e contaminato con più di un passo ben assestato nel noise, che non disdegna di sporcarsi le mani con la sperimentazione e – soprattutto – in ben più di un’occasione tenta di uscire dal buio per raggiungere la luce.

Just Mustard © Conor James
Un sound senza compromessi.

La voce di Katie Ball richiama prepotentemente alla mia mente l’immagine dei visi minacciosi e stucchevolmente perfetti di quelle bambole di porcellana che si potevano trovare solo a casa dei nonni: ha qualcosa di terribilmente spaventoso nella sua apparente fragilità, una dolcezza talmente zuccherosa da fare il giro al contrario e diventare agghiacciante.
E, sebbene sia facile saltare a conclusioni, il risultato finale non ha niente a che fare con i connazionali NewDad (per fortuna, aggiungo io): merito di un sound senza troppi compromessi, che non ha paura di premere l’acceleratore sulla sua componente più rumorosa e dissonante.

Che sia un cantato catchy sotto le mentite spoglie di motore quasi-post-punk (POLLYANNA), assorto come l’eco del canto di una sirena sepolto sotto quintali di riverberi (ENDLESS DEATHLESS) o in versione contraltare della seconda voce prestata dal chitarrista David Noonan (SILVER), la formula contrastante funziona sempre senza riserve: dietro un muro di chitarre (o di pedali, come dettano i canoni del genere), possibilmente assordante a livello danni uditivi irreversibili, un’ossessività che scaturisce direttamente da un paio di corde vocali e ci colpisce in pieno petto.

Nessuna ombra è scomparsa, ma quell’oscurità che prima dominava è ora più rarefatta e sfuggente, talvolta nascosta dietro le emozioni in technicolor della copertina.

Qui e ora.

Anche i passaggi a vuoto – vedasi DREAMER – sono facilmente perdonati, essendo ben bilanciati da altre tracce più azzeccate: penso alla title track, con quel tocco di ritmo vagamente 80s a renderla letteralmente un pezzo ballabile, o ad un brano letale come SOMEWHERE – sulle cui atmosfere mi sento di dover chiamare immediatamente in causa loveliescrushing (altre lettere minuscole, dicevamo) e i soliti My Bloody Valentine. O, ancora, le micidiali sferzate di batteria sul dramma ipereffettato di THAT I MIGHT NOT SEE, che vi sfido a non riascoltare almeno dieci volte consecutive.

Nessun capolavoro, niente che possa stravolgere il destino delle imminenti classifiche di fine anno; sicuramente una buona prova che presumibilmente servirà da rampa di lancio per espanderne il pubblico, in attesa che le date in apertura ai Cure già programmate per il 2026 facciano tutto il resto.

Nel frattempo, al di là di ogni previsione, i Just Mustard sono qui e ora, scritti a caratteri cubitali: prendere o lasciare.

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Last modified: 29 Ottobre 2025