VIAGGI MUSICALI | Intervista a The Giant Undertow

Written by Interviste

Nella vita di un musicista il viaggio è di certo una componente essenziale. Chilometri su chilometri, giornate intere passate in furgone, nottate insonni, pasti al limite della decenza, orde di automobilisti impazziti a rallentare viaggi lunghissimi e poi infine il palco, l’energia, il sudore, i sorrisi, il calore del pubblico e tanta voglia di rimettersi in viaggio per suonare ancora. E se il viaggio non fosse solo questo? Se il vero viaggio fosse l’intera esperienza musicale? Abbiamo chiesto ai musicisti di immaginare la loro vita a contatto con la musica come un lungo cammino che stanno in realtà ancora percorrendo. Ecco cosa ci hanno risposto.

“Chi siete? Quanti siete? Dove andate? (Un fiorino!)”  

Sono Lorenzo, The Giant Undertow, e in questa veste giro principalmente da solo. Quando non lo sono, faccio parte dei The Johnny Clash Project, oltre che dare il mio contributo ad altre band, progetti, amici. Guido una pluripremiata Multipla nera che non so dove mi porti, ma mi fido.

 È tempo di bagagli. Dischi, canzoni e artisti da portare con te.

Prima di partire penso a cosa mi vorrei portare, ma poi finisce che dimentico la chiavetta sotto le bollette, e i cd resident della Multipla ormai non funzionano più. Va a finire che mi godo la musica che si accumula durante il viaggio: cd di band con cui condivido il palco, demo dei ragazzi che mi ospitano, improbabili acquisti dell’autogrill, ed altri incontri fortuiti.
Si scoprono molte cose interessanti e, anche se in alcuni momenti avrei voglia di ascoltare altro, in questo modo ogni viaggio è unico. Quelle canzoni saranno sempre legate a quei giorni. Mi piace molto.
Se invece potessi scegliere, porterei Yawning Man, Micah P. Hinson e Christian Death.

Le cose da dimenticare a casa.

La pigrizia e la voglia di stare per conto tuo: quando sei in viaggio devi sempre essere curioso e pronto a interagire, esserci al 100% fino alla fine, fin che ce la fai. Tanto poi hai le ore in macchina/furgone per riprenderti.
Meglio lasciare a casa anche gli oggetti e le abitudini quotidiane perché, una volta terminate le bestemmie iniziali, è bello scoprire quanto sia semplice vivere senza di loro (eccezione per spazzolino e tappi).

Luoghi e incontri che hanno reso più interessante il cammino.

Episodio random:
L’anno scorso ho suonato il basso nel tour europeo di Daniel Payne e la sua banda. Il concerto in Svizzera è stato figo e la compagnia dei ragazzi fenomenale. Uno di loro ci si è molto affezionato e, quando ha saputo che avremmo avuto due day-off di seguito, si è offerto di ospitarci e trovarci almeno una data.
Era un ex becchino di buon cuore che viveva isolato in una casa minuscola in mezzo ai monti, senza elettricità e senza poter avere contatti con gli umani per tre mesi all’anno, lievemente psicopatico e totalmente immerso nel suo mondo esoterico legato al folk ancestrale. Il senso di isolamento era forte. Amuleti e teschi di varie bestie adornavano la casa, e la sala dove eravamo tutti ammassati aveva un piccolo generatore ad uso esclusivo del giradischi. Aveva una collezione di dischi veramente speciale.
Siamo andati avanti a chiacchiere, birrette eccetera, finché due dei nostri si sono persi nel bosco e il padrone di casa è andato a cercarli, mentre la driver iniziava ad appisolarsi su una poltrona a fianco.
A quel punto, un altro ospite particolarmente ubriaco ha iniziato a baciarla quatto quatto, diventando sempre più pesante, nonostante il plateale rifiuto da parte della ragazza. È seguito un accenno di rissa, poi una sorta di riappacificazione e alla fine lui è scappato in lacrime, mentre gli altri tornavano sani e salvi nella casetta. L’atmosfera era surreale, nessuno c’era più con la testa e aleggiava una sensazione di malessere stranissima. Il becchino raccontava storie senza sosta e noi dormivamo, seduti.

Il giorno dopo siamo andati a pranzo da una famiglia di suoi amici, molto generosi e poco loquaci. Abbiamo fatto un concertino per un ragazzo malato che non era riuscito a venire la sera prima, vista l’impossibilità di muoversi. Lui era felicissimo, e noi di più. Per non parlare del becchino.
Le cose più belle, quando sei in giro, sono proprio questi accostamenti di episodi e situazioni totalmente agli antipodi, a distanza di poche ore.

 Deviazioni di percorso. Ce ne sono state? Come sono state affrontate?

La deviazione più grande nel mio percorso forse è stata quella verso gli strumenti e le sonorità acustiche, avvenuta per caso e per necessità. Forse anche un po’ per pigrizia: farsi un bel setup elettrico è eccitante quanto faticoso, quindi ho imparato a farmi bastare i miei pezzi di legno. Altra deviazione sostanziosa è il canto. Di frequente ho scritto le melodie vocali per le band in cui ho suonato, ma solo negli ultimi anni mi sono avvicinato veramente al microfono (scelta che peraltro sarei tentato di rivedere ogni giorno).

In ogni tour che si rispetti le deviazioni e gli imprevisti DEVONO capitare. Lì per lì non sono quasi mai cose piacevoli, ma se le cose non vanno a finire troppo male, la sensazione di essere riusciti a trovare un piano B all’ultimo minuto è appagante. Anzi, proprio i piani B spesso diventano i momenti migliori.

Ricordo con epicità il rocambolesco attraversamento della Manica coi Johnny Clash, quando ci siamo trovati nel mezzo dei disordini dell’impressionante campo profughi di Calais, così come la volta in cui, dopo un concerto a Tours con Daniel Payne, pensavo stessimo andando a dormire, ma siamo dovuti partire per l’Olanda, senza sapere perché.
Dopo la notte in viaggio mi sono trovato a dover guidare su e giù per i Paesi Bassi assieme ad un boss locale, per contrattare un nuovo furgone. Una volta portata a termine la missione siamo arrivati in un negozio di strumenti che qualcuno aveva affittato e agghindato per un’occasione speciale. Ho scoperto in quel momento che stava iniziando la sua festa di compleanno, che sarebbe durata fino al mattino dopo. Ognuno ha suonato le sue cose, quelle di altri e gran jam confuse e commoventi. Puoi deviare quanto vuoi ma finisce sempre così.

I migliori compagni di viaggio.

Un compagno di viaggio con cui mi trovo da dio è Liceto, un cantautore tedesco di cui sono molto amico. I primi concerti europei li ho fatti assieme a lui, uno di quelli con cui riesci a divertirti per ore bevendo solo mate, e con cui riesci tranquillamente a non parlare per le restanti parti della giornata senza sentirti in colpa. Ora purtroppo è diventato un rapper (Kleister), ma vabbè, on the road è sempre il migliore.

I peggiori sono decisamente quelli che russano, quelli che vogliono dormire presto e mettere la sveglia prestissimo, quelli sempre al centro dell’attenzione e che quelli si imparanoiano facilmente. Ma penso che anche i compagni di viaggio più ostici facciano parte di un quadro umano vivace e vario. Se non ci fossero, il tour (o il viaggio musicale tout court) sarebbe una noia.

 Mete sognate, ma non ancora raggiunte.

Mi piacerebbe suonare in moltissimi posti. Ovviamente il pensiero dell’America è un classico, ma non sono attirato da dei luoghi in particolare. Ho imparato che spesso i concerti e le situazioni migliori capitano nei paesi e nelle città che più si tende a sottovalutare, quindi cerco di non farmi grandi aspettative e mi lascio stupire dalle mete da sogno una volta che le raggiungo. 

Cartoline da lontano: dopo tutta questa strada, cosa scriveresti ad amici/nemici (o a chi vuoi) ?

Partite! Con qualsiasi scusa.

“Cheeeeeese”. La foto che meglio ti rappresenta.

16395703_10212525793204023_1922295431_n

Last modified: 21 Febbraio 2019

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *