U’ Papun – Cabron!

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Se facessimo un paragone col precedente disco “Fiori Innocenti” pubblicato nel 2011 potremmo sicuramente dire che i due lavori appaiono nell’immediato abbastanza antitetici ma al tempo stesso simili perché in entrambi c’è quel pizzico di genialità e di creatività che spesso manca ai grandi artisti ma che è facile ritrovare in produzioni indie.
Basti pensare che ancor prima della pubblicazione del loro primo compact disc, mentre erano ospiti nel programma Roxy Bar, Red Ronnie che li definì “il lato oscuro della Puglia”, etichetta che li accompagna ormai ovunque.

L’estro del gruppo si nota già dalle prime note della title track, apripista dal sapore psychobilly che nel ritornello si lascia andare ad un rock molto più “heavy” del solito.
Rock, elettronica e dub mescolati abilmente in “Indiesposto” li accomunano a quel Caparezza che fu ospite nel loro primo singolo, “L’apparenza”.
“Luna” vede la partecipazione di Pantaleo Gadaleta e un tocco di orchestralità e di atmosfere noir che lasciano spazio a un testo a tratti anche romatico.
“L’abito” è aperta da un riff accattivante di chitarra seguita da giochi di synth  e archi accompagnati da un cantato rap in cui Alfredo Colella dimostra di essere uno dei migliori frontman attualmente sulla piazza.
“Storia di una disoccupata” inizia invece con un piano che riporta alla mente i film western tinti di scene girate nei saloon e dipinge alla perfezione la storia di una giovane escort (bellissimi i versi “il mio corpo percepisce un cachet per presenziare ovunque, arrivando spesso al dunque”).
“Amore cialtrone” è un brano in 7/8 in cui gli spiriti di Frank Zappa e Captain Beefheart sembrano essere partecipi, dove la marimba è sostenuta da ritmi reggae.
“Terra madre” è una canzone polemica dedicata alla patria permeata da atmosfere malinconiche a tratti teatrali che dipinge la realtà generale della nostra povera Italia distrutta da politici corrotti in cui “ti senti immigrato in qualsiasi cultura”.
“L’ultimo” gioca attorno alle parole evangeliche “gli ultimi un giorno saranno i primi” e si lascia pian piano trasportare in ritmi rock ed in scale di chitarra, piano ed archi sempre accompagnati dalla ritmica perfetta di Cristiano Valente.

La cover del grande e compianto Giorgio Gaber “Io non mi sento italiano” è un’altra protesta attualissima nei testi ed originalissima nell’interpretazione che è in linea con lo stile del gruppo (Rock? Folk? Dub?).
“Arte spicciola” è una ballad in cui esce fuori la vera vena cantautoriale degli U’ Papun, che sarebbe perfetta come colonna sonora di un film di Gabriele Salvatores.
“Fior della censura” è un inno danzereccio controtendenza alla satira politica che “non piace ai permalosi”, che “non segue le correnti” e che “diverte i meno abbienti”.
“Uomo di marzapane” è una favoletta post punk tiratissimo alla Rancid dalla durata di appena 115 secondi! che non mancherà di stupirvi.
“Clichè” è una filastrocca blues che chiude un album tragicomico /  teatrale davvero fantastico.

Solitamente si dice: “la seconda prova su disco è tutto per un gruppo”…
Se così fosse possiamo dirlo: gli U’ Papun hanno confermato di essere dei grandi musicisti, sempre eclettici nei suoni e nei versi, una band che potrà prima o poi conquistare persino le vette delle classifiche.
E speriamo che succeda molto presto, c’è davvero bisogno di una rivoluzione musicale nella nostra Italia dominata troppo spesso solo da prodotti usciti dai talent show!

 

Last modified: 28 Maggio 2012

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