The Smashing Pumpkins – Cyr

Written by Recensioni

Come se bastasse abbuffarsi di synth per suonare moderni.
[ 27.11.2020 | Sumerian Records | synth pop ]

Qualche tempo fa, in una terra lontana non ancora zona rossa, mi trovai ad un pranzo al riparo dalle guardie con tv sintonizzata su un canale musicale che proponeva qualche nuova uscita. Tra un Machine Gun Kelly e l’altro, ecco passare l’ultimo singolo di una delle band regine dell’alternative rock dei Novanta. Stupito e infastidito da video e canzone, ho provato a non pensarci. “Sarà stato un singolo di lancio, di quelli che poco hanno a che fare col disco e che di questo non dice nulla”, mi sono detto.
Ora invece la band di Chicago torna con Cyr e una rinnovata vena synth pop già presente in alcuni lavori precedenti, che qui si fa preponderante tanto quanto fuori tempo massimo, visti i suoni anacronistici cui si appiglia.

Provate per un attimo a cancellare dalla mente il nome degli Smashing Pumpkins, magari fate finta di non riconoscere il timbro di Billy, che lo amiate o odiate: cosa resta di questo album, cosa vi sembra se non il tentativo tardivo di imitare e fare il verso a Depeche Mode, New Order e via discorrendo? Anzi, a dirla tutta, il timbro di Corgan finisce per fare a cazzotti con la musica, confermando che una voce può avere un fascino differente, salvo rari casi, a seconda del contesto sonoro in cui è inserita (come farete a sopportarlo in questo album cosi lungo, sarà un mistero).

Oltre che suonare fuori dal tempo, stavolta in senso tutt’altro che positivo, la scrittura dozzinale dei brani somiglia molto ad un disperato tentativo di stare al passo coi tempi, un esperimento per suonare giovani e conquistarsi un posto al fianco di Tame Impala, MGMT e tutti gli altri, un po’ facendo la stessa cosa degli Strokes, il cui tentativo è stato indiscutibilmente più convincente.

La domanda è: “possibile che una band tanto importante, che potrebbe vivere di rendita, si senta in obbligo di pubblicare un nuovo album sfanculando tutto ciò che era”? In realtà ci deve essere qualcosa di molto grosso ad aver mosso Corgan e soci, e la prova è un disco di oltre un’ora per venti canzoni. Ci deve essere certo un’enorme passione riversata nei brani, ed effettivamente tutto questo, la voglia di costruire qualcosa di importante, traspare in brani come Anno Satana, e in tutti gli altri in cui il synth pop non è sovrastante (non è materia loro, ne si prenda atto) quanto piuttosto accessorio per la loro musica.

È proprio in quei momenti che il disco sembra più credibile, insieme ad altri in cui Corgan si fa un pochino da parte, come nell’opening, forse la più moderna tra le canzoni del disco insieme alla mia preferita Dulcet In E, molto in stile ultimi Arcade Fire senza fronzoli o quando la musica si fa più dura, come in Wyttch, in cui sembra di ascoltare un omaggio dei primi e ottimi Pure Reason Revolution che onorano l’hard rock anni Settanta.

Mi piacerebbe chiudere questa breve recensione dicendo che, se invece di venti brani, ne avessero scelti otto, saremmo davanti ad un mezzo capolavoro. Purtroppo però, qui a otto non ci si arriva. Mi piacerebbe continuare a parlare del disco, che forse la mia recensione è troppo breve per una grande band come questa. Purtroppo, non c’è molto da dire. Mi sarebbe piaciuto ascoltare Corgan e soci insegnare ai giovani come si fa, si suona e produce un disco maestoso nel 2020. Purtroppo faranno solo la magra figura di chi non sa arrendersi al tempo.

Mi sarebbe piaciuto non chiudere così, ma se una roba del genere non avesse quel nome, quei mezzi, quel risalto, neanche ne staremmo parlando. Se fosse il disco di un’emergente formazione americana, diremmo che si tratta di un discreto esordio e nulla più ma, cristo, siete gli Smashing Pumpkins. Mi sarebbe piaciuto non essere così ovvio, scontato e banale, ma purtroppo…

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Last modified: 21 Dicembre 2020