Dopo ventisei anni di attesa, il leggendario gruppo statunitense è tornato con un EP che lo conferma una volta di più tra i capostipiti dell’intera scena screamo internazionale.
[07.03.2025 | autoprodotto | screamo, post-hardcore, emo]
“I’m sick from this life I’ve digested sick, just sick from the nightmare invested”
(Corkscrew Spine)
Un paio di settimane fa ero a Bologna al Locomotiv Club ad assistere all’incontro tra le generazioni più urlanti che ci siano. Nell’imperdibile cornice del ritorno sui palchi dei La Quiete per una run di concerti che li vedrà impegnati anche al Venezia Hardcore Fest, dalla Virginia sono arrivati in Italia i pg.99 e per chi scrive poche band hanno definito i miei ascolti come loro, in un modo che va ben oltre la musica.
Una band attesa da oltre 20 anni, sempre in prima linea per attitudine, cultura, spirito DIY e comunitario, la band americana incarna i valori della scena punk rock nel modo più umano e concreto.
Dicevo dell’incrocio tra età differenti perché, ai due veterani cult della scena, si sono uniti anche i nostri Øjne, oramai attivi da un decennio ma che amiamo ancora considerare giovincelli, e i Blind Girls, tra le più piacevoli realtà emerse dall’Australia con il loro hardcore/screamo nero come la pece. Un live da vivere sulla propria pelle con il cuore e, per una volta, lontano dallo stage diving e dal pogo.
Volevo assorbire tutto quello che c’era da assorbire dalle band sul palco, soprattutto quando sai che ti arriverà addosso nella sua dolcezza disperata il riff di Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo o la perpetua scarica violenta di nove musicisti in assetto nichilista, con Cris Crude valvola impazzita sul palco e tra il pubblico. Per tutta la durata dei set ho sorriso. Applaudito e sorriso.

Un genuino spessore artistico.
I La Quiete rivisti da trentatreenne, quindici anni dopo il periodo universitario. I pg.99 visti per la prima volta in assoluto. Delle sensazioni speciali che solo questa scena e questo modo di far musica mi regala. E ho sorriso ancora di più quando ho pensato che a luglio a Barcellona ho il biglietto per vedere i Saetia. Proprio loro (di recente ne abbiamo parlato anche in questo articolone sulla scena screamo statunitense).
D’altra parte, se di rinascita dello screamo si parla da mesi, se non anni, e se gli stessi pg.99 su Instagram nel ricordare il tour appena concluso l’hanno definito come la miglior espressione della band che ci sia mai stata live, bisogna essere felici nell’evidenziare che una percentuale di merito ce l’ha anche il fatto che queste reunion storiche non sembrano lì solo per rinverdire i fasti anagrafici e sistemare gli eventuali conti bancari.
In esse si riscontra bensì uno spessore artistico che ribolle genuino: alcune band lo esprimono nella formula di performance live incendiarie, altre invece si lanciano nuovamente con degli inediti discografici. E i Saetia si buttano nella seconda categoria.
Il nome della band newyorkese, oramai dislocata ben oltre i confini dei borough (basti pensare al chitarrista Adam Marino che vive in quel di San Diego, il posto perfetto tra surf e sabbiose distorsioni post-hardcore), ci regala in questa primavera del 2025 un EP con la prima nuova musica composta dal 1999.
Tendrils, viticci, in una splendida copertina che quasi ci ricorda il mondo di The Last of Us e in perfetto stile DIY: autoprodotto, autorilasciato con l’aiuto della piattaforma distributiva della Deathwish.
Tra rallentamenti catartici e accelerazioni ragionate.
Solo undici minuti? Solo undici minuti, per tre brani-capsule del tempo che scongelano il passato e lo
catapultano nel presente. La voce dell’iconico Billy Werner non sarà più ai livelli siderali che spaccavano vetri e finestre, bensì ricorda adesso uno yelling hardcoreggiante che paradossalmente dona anche più accessibilità alla proposta musicale dei Saetia, ma l’essenza più pura dei loro suoni screamo esplode fin dalla titletrack.
A sostegno di Marino troviamo Tom Schlatter alla seconda chitarra, già membro degli storici You & I e degli Hundreds of AU, mentre Steve Roche – che storicamente trovavamo al basso – è ora alla batteria, con il fedele Colin Bartoldus a completare la lineup.
I quattro minuti di Tendrils sono tutto ciò che vorremmo dai Saetia. Rallentamenti catartici, accelerazioni ragionate, delle corpose linee di basso che vengono fuori arroganti in primo piano e quello spoken word sussurrato di Werner che abbiamo amato. Un’unione di intenti che leviga al meglio le emozioni e la sensibilità melodica della band.
Three Faces Past è l’episodio più hardcore dell’EP, con delle soluzioni che in certe esplorazioni ci ha solleticato alla memoria Witness dei Modern Life Is War. Un pezzo fratturato e noisy, dove ruggiscono dissonanti le chitarre di Marino e Schlatter, che si agitano in continuità e si fanno eleganti anche negli attimi più catchy, prima dell’escalation caotica in cui Werner declama “but a moment chose you, a moment chose you like I used to, a moment took you”.
Una spirale dalla quale non vuoi uscire.
L’istantanea migliore i Saetia scelgono però di immortalarla con Corkscrew Spine, quando oramai all’ascolto ci si è comprati tutto di questo distillato emotivo. Quando parte il pezzo, pochi secondi e si è già in piena foga. Capisci subito che questo brano funzionerà e stai pregustando un bell’LP invece che l’epilogo dell’EP.
Non ve lo nascondo e lo affermo con fierezza: il riff che apre a 1:24 e la conseguente grattugiata di chitarre brucianti sono l’headbanging più bello di questo 2025.
I Saetia ti trascinano in una spirale dalla quale non vuoi uscire. Le vertebre si spezzano. Una cosa è chiara, in questi tre brani: i nostri sono ancora quella band che brama i climax sonori e, se sono i capostipiti del giochetto, un motivo c’è. Tendrils ne è la dimostrazione.
E, se penso che siamo qui a scriverlo nel 2025, l’adrenalina non può che iniettarsi in corpo ancor più velocemente.
Lunga vita allo screamo, lunga vita ai Saetia.
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Emo EP 2025 Post-Hardcore Saetia Screamo USA
Last modified: 10 Maggio 2025