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“Diamanti Vintage” Fluxus – Vita In Un Pacifico Mondo Nuovo

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Gli anni pirotecnici dei Novanta tricolori, senza dubbio alcuno non erano di meno delle nuove avvisaglie guerrigliere che in buona parte del mondo sparavano watt e urlavano contro; la nostra scena era un pullulare di nuove formazioni e altrettante esigenze espressive che quasi non si sapeva più dove metterle o ascoltarle.
Piccole storie e nuove band scoppiavano ogni minuto, delusioni e grandi approssimazioni fluivano incessantemente,  ma ci sono state delle eccezioni ferree, come l’esordio di una band poco considerata ma di immenso pathos, parliamo dei Fluxus che, dalle chimere dei Negazione, riprendono in mano il loro mondo oscuro fatto di metal, noise e staffilate hardcore punk e “Vita in un pacifico mondo nuovo”  – nove siluri sonori – è il loro debutto, la loro opera prima che tra testi e concetti muriatrici, li porta immediatamente – nel collettivo immaginario – ad essere paragonati alla versione italiana dei RATM o addirittura dei Dead Kennedys.
Franz Goria alla voce, Adriano  Cresto e Simone Cinotto alle chitarre, Luca Pastore al basso e Roberto Rabellino alle pelli, favorivano un suono arrembante, aggressivo e credibilmente “anti”, un tornado di giugulari infiammate e riff canaglia che scossero il pensiero alternativo di casa nostra al pari di un terremoto inaspettato, diabolicamente “main”. Un album questo dei torinesi che purtroppo è rimasto per sempre incastonato – come del resto la formazione – in un limbo seminascosto per nulla rassicurante – dietro quelle facciate chiamate “nicchie” in cui non si poteva andare più in la del semplice ascolto “carbonaro”, praticamente la discografia “altra” era più rivolta a certe schizofrenie commerciali che a questi immensi patrimoni elettrici di vera cultura underground.
Suono spesso, angolare e buio, cantato rigorosamente in italiano, violenza amplificata a mille, queste le attitudini della band, virtù senza difetti che rimbalzano nella tracklist come schegge funeste e understatemen, tra le tante a caso l’heavy metal coi cambi tempo incontrollati di “Vedo”, “Sabbia”, il basso che , in mid-tempo, istiga alla corsa la stupenda “Pelle”, il noise truculento e metallurgico contro la politica padronale della Fiat “7/8” o l’inciso iniziale di “O.C.” che prevede un cantilenare di una vecchietta prima della deflagrazione hardcore  che scombussola coni, woofer e trombe di Eustachio.
Seguiranno altri due album basilare per la storia dei Fluxus, Non Esistere del 1996 e lo straordinario Pura Lana Vergine del 1998, ma siamo sempre lì, tra il lusco ed il brusco senza mai – da parte del pubblico – elevare la band come invece si sarebbe dovuta elevare.
Immensa energia alternativa buttata alle ortiche.

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