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Sadside Project – Winter Whales War EP

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Sadside Project sono un duo romano Garage Bluesgeneratosi nel 2009. La loro gavetta parte quando vincono il Rock Contest in Toscana e firmano il loro primo contratto e giunge fino i nostri giorni passando, come gruppo spalla, per le dieci date italiane del tour di Joe Lally dei Fugazi. Quest’anno presentano il loro nuovo lavoro Winter Whales War dove ci raccontano le loro vicende musicali psichedeliche eccitate dai racconti e dalle storie dello scrittore e marinaio Herman Melville. La copertina la dice lunga. L’album è un insieme di ballate da uomo di mare con il boccale stracolmo di birra e arriva fino alle più dure e inquieti canzoni strettamente Garage. Il viaggio inizia con “Same Old Story” un brano immediato, diretto, energetico. Il giusto tempo per rompere il silenzio che intercorre tra te e l’istante in cui pigi play. Segue “My Favorite Color”splendida ballata dove voce e mandolino evocano un ritornello che si lascerebbe tranquillamente cantare da un pubblico in preda ai fumi dell’alcool. Il disco prende bene e continua con “1959 (The Last Prom)”ballata romantica anni ’50 tutta “cuore a cuore” che lascia spazio alla più altisonante e melanconica “This is Halloween”.Carica, carica, carica è questo che mi trasmette quest’album! E arrivano le più rockeggianti; la cassa dritta di“Edward Teach Better Know as Blackbeard” e  la spartana “Nothing to Lose Blues”.

Proseguono la più psichedelica “Hold Fast” che ci accompagna al pezzo portante dell’album, “Molly”, brano duro e puro che cerca di riportarci sulla terraferma per ricordarci da dove veniamo ma poi ci lascia proseguire con una cover dei mitici Beach Boys, “Sloop John B”. Chiude l’album il pezzo omonimo “Winter Whales War” che con i suoi arpeggi ci molla a casa perché il viaggio si è concluso. Questo è uno di quegli album che si ascoltano tutto d’un fiato, senza pause, in una perfetta onda da solcare in compagnia di quei farabutti dei vostri amici.

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Adriano Viterbini – Goldfoil

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Questo disco è il riassunto massimo di Adriano Viterbini e la sua passione per la chitarra che arriva sin alle sue radici. Un disco molto intenso, intestinale, profondo. Dopo aver chiuso il Tour DO IT con i Bud Spancer Blues Explosion, voce e chitarra, che l’ha visto impegnato per tutto il 2012, a dicembre dello stesso entra in studio per registrare Goldfoil album solista, intimo, un lavoro strumentale di chitarra primitiva uscito il 22 Marzo e coprodotto da Bomba Dischi.

Questo disco viene da molto lontano, ascoltandolo ripetutamente mi ha fatto ripercorrere con estrema emozione le origini del Blues e della chitarra. Una storia che ha inizio nel profondo Sud degli Stati Uniti D’America, Louisiana, Georgia, Texas e soprattutto Mississippi uno degli stati più poveri e arretrati del ricco continente. Lontano da tutte le metropoli, solo piantagioni, polvere, baracche e il grande fiume ci da l’idea di marginalità, separatezza e disagio di queste terre. Ed è proprio qui che Adriano Viterbini con il suo Goldfoil ci vuole portare, nella penombra, nel fango dove è germogliata una delle musiche più importanti dello scorso secolo, spontanea, fatta di artisti propensi più a guadagnarsi il tozzo di pane che a essere ricordati nei libri di storia. E come un griot dei popoli africani vuole tramandarci la sua storia fatta anche e soprattutto di Blues. Goldfoil ripercorre i pezzi che più l’hanno appassionato e alcuni scritti di suo pugno in una rielaborazione minimale fatta di vecchie chitarre, tanta passione e qualche sorpresa.

Questo viaggio comincia con la chitarra slide in re aperto, il brano è “Immaculate Conception” e ha il sapore del Cieco Willie Johnson il maestro della slide guitar, per ottenere l’effetto passava sulle corde della chitarra un coltello da tasca. Che dire un grande omaggio ad un grande. Altro brano di Johnson il terzo “God Don’t Never Change”. L’album procede con unaltroomaggio Kensington Blues un brano pieno di arpeggi di Jack Rose, artista americano di privitimism guitar. “Blue Man” è un suo pezzo tributo all’africa e alle origini. “New Revolution Of The Inoocents” è il brano che riporta questa musica ai giorni nostri con il synth di Alessandro Cortini dei Nin Inch Nails perfetto per una colonna sonora western dei nostri giorni. Altre due tracce sono suonate con la style-o guitar “No Name Blues” e “Stylo-O-Blues”veloci, saltellanti un blues frizzante tra Robert Johnson ed il più recente Alvin Youngblood Hart, Seguono quattro pezzi molto ritmati “Lago Vestapol”, “Montecavo”, “Stella South Medley” suonata con una chitarra Stella e “If I Were A Carpenter” che raccontano, come rivela Adriano i suoi viaggi, la sua casa natale e le emozioni più intime che gli hanno lasciato addosso. L’album si chiude con “Vigilante Man” un pezzo di Woody Guthrie con un assolo di chitarra da brividi quasi psichedelico.

Uno straordinario album solista d’esordio che lascia scorrere l’asfalto sotto i piedi in una calda e spensierata giornata estiva in partenza per il Sud, per le origini.

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Swans

Written by Live Report

Un venerdì qualunque, arrivo al Circolo Degli Artisti, Roma, esattamente nell’ora in cui dovrebbe iniziare il concerto e io dovrei essere lì davanti al palco con un pinta bionda in una mano che aspetto l’ingresso degli Swans sul palco, in tour con il nuovo album The Seer. Mi sarò anche perso il gruppo spalla ma non Michael Gira con il suo ultimo lavoro che definisce come:  “30 years to make. It’s the culmination of every previous Swans album as well as any other music I’ve ever made, been involved in or imagined. But it’s unfinished, like the songs themselves. It’s one frame in a reel. The frames blur, blend and will eventually fade.” Non posso perdermi questa gestazione, il lavoro di una vita. Della formazione iniziale rimane solo Gira che a quanto pare non si è ancora stancato e in un’atmosfera Industrial-Gotica ci racconta la nera metropoli fatta di violenza, negozi porno chiusi, alienazione, degrado in uno squallido pessimismo apocalittico.

Sono dentro, l’atmosfera è al punto giusto, il Circolo è pieno di gente, gli Swans sono sul palco, Michael Gira in un lutto tenebroso imbraccia la sua chitarra nera, china il capo leggermente per salutare il pubblico, si gira e fa cenno con la testa al batterista di attaccare. Il pezzo è Coward e il basso allo stesso ritmo della batteria inizia a scandire un ritmo secco e cupo a cui si unisce una chitarra stridulante. Si crea una situazione di assuefazione da vibrazioni sonore, mi sento come risucchiato in questa profana cantilena rumorosa e arida. I miei pensieri vengono scartati dalla potenza di queste cupe vibrazioni mentre il vuoto sembra aver preso il posto del pavimento e una tempesta di meteoriti sta elettrizzando il mio corpo. Non ho mai ascoltato nulla di così dirompente e dal vivo posso assicurarvi che si coglie a pieno l’idea che Gira ha delle sue composizioni che rispecchiano un orizzontalità delle voci in campo; nessuno strumento prevale sull’altro, neanche la voce, tutti insieme allo stesso volume per dare armonia al caos. I pezzi si inchiodano su un motivo e lo perseguitano per svariati minuti, anche quindici, venti, perché Gira sostiene di sentirsi più “vicino a Dio quando si suona lo stesso accordo più e più volte”. Nulla che io possa scrivere qui farà giustizia a questo evento estremamente religioso, estremamente intimo. Un evento spettacolare che ha riempito le mura del Circolo degli Artisti di vibrazioni apocalittiche come fosse una cattedrale destrutturalizzata della nuova epoca postmoderna.

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Plunk Extend – Marvellous Kaleidoscope Rollercoaster EP

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Divertente quest’album. All’inizio mi aspettavo un nulla di eccezionale, parto sempre prevenuto. La verità è che non vado a braccetto con il Pop e le sue storie. Mi fanno quasi sempre troppa tenerezza. Ma stavolta mi stavo sbagliando. I Plunk Extend hanno conquistato la mia simpatia. Mi è capitato di iniziare ad ascoltarli durante un viaggio e mi hanno tenuto compagnia con il loro modo di ironizzare alla vita. Di loro dicono che questo è un album di transizione tra il loro precedente lavoro American Glories (2011) e il prossimo che uscirà nel 2014. Sono già in studio. Un album di transizione dunque dove cercano di far trovar la luce a tutti i brani orfani che hanno lasciato per la strada in questi sette anni di carriera. Si sente il cambio di approccio tra un pezzo e l’altro. In quest’album c’è di tutto, dalla ballata d’autore al Rock più energetico. Ogni brano racconta una storia a se e non c’è un filo conduttore. Solo, semplicemente, cose rimaste troppo tempo nel cassetto. Un bell’album di musica leggera italiana direi. La mia preferita tra tutte le tracce che ho ascoltato è sicuramente “Please Don’t Kill my Soap Bubble una divertentissima traccia, molto ironica, sul come fare musica, scrivere canzone, formare una band e tutti i problemi, le paranoie, le critiche che ci sono in mezzo. Una bella ballata in stile Ska è “Amer”, la traccia che chiude l’album. Bella carica. Una nota di demerito invece alla traccia di apertura dell’Ep “The Istant Life of Seamonkeys”troppo simile a “Discoteca Labirinto dei Subsonica. In finale un ottimo Ep di musica italiana leggera che invece di stufarmi mi rallegra e mette il sorriso. Viva il Rock!!!

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Arabeski Rock – Il Viaggio EP

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Finalmente, dopo tanto, sto finendo la pila di dischi che ho sulla mia scrivania. Lo so me la sto cercando ma ero a limite. Ascoltare tutto, dare il giusto tempo all’ascolto e  aver il capo redattore che pressa è sempre più complicato in un mercato musicale in cui l’indipendenza diventa un fattore di nodi, di connessioni, di riverbero nel web. Ma questi sono cazzi miei e ora non è tempo di soffermarmi, non è questo lo spazio. Scarto il prossimo EP, per le mani me ne capita uno che dall’aspetto ha poco a vedere con il rock!!! C’è una rovina in mezzo al deserto con un uomo in abiti tradizionali mediorientali che passeggia. Il solito superficiale! Unisco gli elementi che ho: un deserto, un arabo, un titolo, Il Viaggio e il nome della band Arabeski Rock. Potrebbe uscirci qualcosa di interessante, tipo mix di strumenti arabi miscelati ai classici strumenti rock o che ne so il solito bongo con qualche chitarra araba. Chi lo sa?! Mi ricordo ancora qualche anno fa quando lavoravo in un ristorante di cucina araba dove la proprietaria intratteneva il pubblico con concertino live e spettacoli di danza del ventre. Musica piena di vitalità ed energia che nella sua accezione più tradizionale richiama ad atmosfere riscaldate dal sole cocente che incendia la sabbia.Butto su l’album, vediamo che ci racconta. Il primo giro del primo pezzo, “Cargo”,  del primo album degli Arabeski non poteva non cominciare con un flauto ney, il tipico suono medio orientale che ti porta subito sul tappeto di aladin e ti fa pensare al deserto, ai cammelli, alle oasi. E bongo, anche se penso si chiami in un altro modo, d’accompagnamento che lascia spazio pian piano alla classica chitarra araba l’oud. Finora poco rock e molta tradizione araba. Ma di sottofondo si sente una chitarra elettrica che accenna ad un accompagnamento. Fiuuuù. Ma è ancora poco non riesco a sentire il rock. Forse è presto, sono solo alla prima track e molto probabilmente i componenti del gruppo saranno misti e avranno voluto sottolineare con la prima traccia il loro amore per la terra d’origine. Ma sono mie congetture, vado avanti. Non voglio usare neanche internet per saperne di più. Questo sarà un ascolto intimo. La seconda traccia, “Gnawa”, scivola anche lei nelle sonorità tradizionali della musica araba. E dal titolo, “Gnawa”. Chissà cos’è?! Aspetterò la fine per andarlo a cercare. A me serve rock! Dov’è il rock?! Non che per forza debba ascoltare rock o io abbia dei pregiudizi si chiamano loro Arabeski Rock e io adesso devo trovarlo. Ed è quello che sto cercando ora. Avanti. Prossimo pezzo “Le 2 Lune” e sorpresa intro alla Frank Zappa, a tratti psichedelica, progressive che sfocia in note orientali in un perfetto mood d’altri tempi. E qui il rock si sente!!! Sicuramente l’album si avvale delle collaborazione di molti artisti vista la quantità di strumenti che sto ascoltando nei vari pezzi.

La quinta track, “Tramonto nel deserto”ha un’intro che appunto ci fa viaggiare. Niente di più azzeccato nel titolo. “Lost in The Desert” è una song che soffia dal deserto e ti trasporta. E’ questo il potere degli Arabeski Rock. Lasciatevi trasportare tra le dune, tra le sonorità orientali e chitarre rock. L’album si chiude con tre pezzi, “Introspezione”, “Verso Chernobyl” e “Locanda” che concludono questo viaggio. Canzoni di riflessione. Come in ogni viaggio si torna verso casa e si pensa a ciò che è stato e a ciò che sta cambiando. Bello. Sicuramente un album diverso e coraggioso negli intenti. Le mie preferite “Gnawa” e “Le 2 Lune” ma quest’album merita di essere ascoltato lasciandosi andare senza pregiudizi perché quello che ci racconta è il sapore di una terra antica a noi distante a noi vicina. Però, forse, un po’ di rock inteso nell’eccezione più classica del termine manca ma vi posso assicurare che questo è un viaggio originale ed ambizioso.

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SIAE. Il fronte dei diritti d’autore. Chi ci guadagna?

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Era stato annunciato come lo statuto che rilanciasse la Società italiana autori ed editori, che regola i diritti d’autore nel nostro paese, approvato il 9 novembre 2012 con un commissario straordinario, promosso  dai vari Ministeri dei Beni Culturali e dell’Economia con l’incarico di dover risanare la società commissariata. Doveva essere il rilanciodel diritto d’autore e invece questo decreto finisce per spostare ancora di più l’ago della bilancia dalla parte dei “big della musica” a discapito di tutti gli autori associati. Insomma doveva essere la svolta e invece, come spesso accade in Italia, si è fatto un ulteriore passo nel nulla.
Il cuore dello statuto e nell‘Articolo 11, comma 2: «ogni associato ha diritto di esprimere nelle deliberazioni assembleari almeno un voto e poi un voto per ogni euro (eventualmente arrotondato per difetto) di diritti d’autore percepiti nella predetta qualità di Associato a seguito di erogazioni della società nel corso dell’esercizio precedente». Avete capito bene. Chi guadagna di più con i diritti ha più potere in assemblea. Ciò fa dell’arte una mera merce di scambio. Il più bravo è chi guadagna di più e decide per tutti gli altri. E gli altri associati sono demandati e obbligati per le leggi italiane a finanziare questa macchina.

La domanda sorge spontanea. Chi sono gli autori più ricchi? Quali gli editori che guadagnano di più?

Ci ha pensato il Corriere della Sera in un articolo di approfondimento. Leggendolo ne esce fuori che il più ricco di tutti è un certo Guardì, Michele Guardì. Chi?! Il regista di Uno mattina e Domenica In. Si, avete capito bene, il regista di Domenica In e qualche altro fortunato programma televisivo. Lui insieme ai più famosi Vasco e il Liga nazionale si spartiscono oltre che il potere di decidere sull’assemblea della società, ciliegina sulla torta, anche la maggior parte della ridistribuzione degli utili dell’ente (40 mln anno). Per intenderci il sig. Guardì percepisce, solo di utili, quasi 2 mln di euro, seguito dagli altri due con 1,6 mln. Attenzione, stiamo parlando solo di ridistribuzione degli utili a cui vanno aggiunti i proventi dei diritti che ovviamente, visti i nomi, saranno altissimi.Tutto ciò potevamo immaginarcelo e questa vuole essere una conferma. Conferma del fatto che degli oltre 83mila associati (di cui 80mila autori) solo una piccolissima parte vede, a fine anno, i soldi dei proventi. Tutto questo, ovviamente, va a discapito dei nostri giovani rockambuliani, determinati e indipendenti artisti che sono obbligati al bollo SIAE per stampare e vendere i propri dischi ad un pubblico più ampio della loro cerchia di amici. Si, siete obbligati. Non lo sapevate, leggete qua:
 “Ai sensi dell’art. 171 ter della legge 633/41 (ovvero la legge sul diritto d’autore), chiunque, a fini di lucro, detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo di radio o televisione con qualsiasi procedimento, supporti contenenti fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, per i quali è obbligatoria l’apposizione del contrassegno (comunemente detto “bollino”) da parte della SIAE e lo fa utilizzando supporti privi di tale contrassegno o dotati di contrassegno contraffatto o alterato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2.582,00 a 15.493,00 Euro se il fatto è commesso per uso non personale.”
Visto quello che è venuto alla luce alcune associazioni come ARCI e AUDIOCOOP hanno tentato la strada del ricorso al Tar, raggruppando artisti e etichette indipendenti, ma ovviamente, notizia di qualche giorno fa, è stato respinto.Qui l’approfondimento. La sintesi è questa. Tu che hai una band da scantinato, tutti i giorni a lavoro per sopravvivere, che i tuoi soldi li investi in strumenti, il tuo tempo in musica e dopo tanti sforzi fai un EP e lo stampi, alla fine ci devi mettere il bollino SIAE su, i cui ricavi per la maggior parte vanno ai tizio di Domenica In che campa così dagli anni ’80 insieme ai grandi della musica leggera italiana.E si. Siamo in Italia, dove si guarda l’arte come ad una forma di merce da supermercato. Dove il merito passa per le tasse pagate. Dove contano le parentele e a chi sei affiliato. Dove se non sei nessuno sei costretto a pagare per finanziare altri come nel caso della SIAE.

Intanto a breve, il 1° marzo, ci saranno le elezioni del Consiglio di Sorveglianza. Come abbiamo visto sono i grandi della musica e dell’editoria Italiana a detenere un peso maggiore in sede di voto facendo strane alleanze per arrivare poi a spartirsi la fetta finale. Poi va aggiunto che i 80mila associati di basso profilo, che volendo potrebbero cercare di contrastare questo statuto criminale, non andranno a votare come ci fa notare il Fatto Quotidiano, perché chi è disposto a prendere un treno per Roma e andare a votare quando sa che a fine anno non gli andrà nulla in tasca, anzi dovrà pagare l’inscrizione,in più dovrà pagarsi il biglietto del treno?!?! Ecco, queste sono le ingiustizie, le disuguaglianze del nostro sistema di difesa del diritto d’autore. In cui quello che traspare è solo la difesa dei diritti di chi già ha una carriera affermata, in un tempo anche remoto, che continua a mangiare, anche non producendo nulla, nella stessa mangiatoia. La situazione è triste e deprimente ma per chi avesse voglia di provare strade alternative potrebbe intraprendere la strada delle Creative Commons che non sono la stessa cosa della SIAE (alcuni diritti riservati) ma permette di aggirare l’ostacolo SIAE ed essere tutelati ugualmente. Ovviamente questo tipo di licenze non sono utili per la distribuzione su supporti ottici (CD) ma offrono un alternativa per proteggere la propria musica propagata su internet che oggi è lo strumento più utilizzato per la diffusione dei brani/album musicali.

Alcuni link utili per l’utilizzo delle Creative Commons:

http://www.creativecommons.it/autori-musicisti

http://www.creativecommons.it/ccitfiles/Skillab_2011_06_30_CC_ShareYourKnowledge_Travostino.pdf

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Thee Jones Bones – Stones of Revolution Ep BOPS (recensioni tutte d’un fiato)

Written by Novità

Sono le 18,30 di un martedì grigio, salgo le scale di casa dopo il lavoro. Sono a pezzi.Giornata stressante, non voglio sentire nessuno. Mi cambio d’abito, butto dell’acqua sulla faccia per togliere la merda di questa giornata. Apro il frigo e prendo una birra, spengo il telefono, mi butto sul divano. Aaaaah.
Dura poco, l’angoscia comincia a sbranarmi. Come un cane randagio sui calzoni. Che palle!! Uffffff.
Mi alzo, non mi va di uscire, non mi va di sentire nessuno, non mi va di fare un cazzo!! Eppure non sono sereno. Mah… Mi sparo un disco. Mmmmm…. Fresco, Fresco. Appena arrivato. Vediamo un po’. La copertina colorata mi piace, arancione. Un uomoa dorso nudo che sembra un Hippy in sella ad un cavallo, con in mano una chitarra classica.  L’angoscia sembra lasciar piede alla psichedeliadi copertina. Il mio cervello è fritto al punto giusto. L’olio di quest’ascolto comincia a gocciolare sull’mio impianto HiFi. La prima traccia Free si rivela un inno alla libertà. Superficialmente potrei dire: “Into the wild” Eddie Vedder. L’ho detto. Comunque a me il country Rock piace. Ha sempre quel sapore vintage di tempi andati e fa molto scafato. Buono…. Cazzo il secondo pezzo parte dritto. Tre strimpellate di chitarra e Allright for you. Una ballata, un misto tra RollingStones e David Bowie. Siamo passati dal country rock al puro rock’n’roll. Ci può stare, anche se finora niente di nuovo. Continuo. Ogni canzone un richiamo diverso. Una moltitudine di influenze per questa band. Sicuramente rock. Sicuramente seventies. Chitarre dure, ballate, arpeggi malinconici, cori soul. C’è tutto in quest’album. Un meltingpot. Bravi ragazzi l’esecuzione è perfetta, forse manca un po’ di fantasia e innovazione.

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Valter Monteleone – Hill Park

Written by Recensioni

Oggi mi trovo a recensire un polistrumentista, Valter Monteleone,  con un esperienza pluriennale come session musician. Ma che pluriennale, decennale è l’espressione giusta. Si decennale. La sua carriera da chitarrista, bassista e batterista ha inizio nellontano 1967 quando comincia la sua esperienza da turnista in varie formazioni pop italiane di spicco come:  Nada Malanima, The Showmen, Nini Rosso, Ombretta Colli, Carmen Villani, Lucio Dalla, Sergio Bruni, Aurelio Fierro, Rita Pavone, Teddy Reno, Betty Curtis.Sicuramente anni di formazione e di pura esperienza visti i nomi e visti i tempi, d’oro appunto. Personalmente la musica leggera Italiana fa inacidire il mio stomaco e mi chiedo cosa mai possa venir fuori da questo disco. Ma soprattutto, perché l’ hanno inviato a Rockambula?!?! Non capisco cosa c’entriamo noi Rocker con la musica pop per l’aggiunta italiana. I dubbi mi assalgono e l’unico modo per toglierli dalle scatole è infilare il CD, Hill Park,nell’HiFi e pigiare su play.
OK allora parto. La prima track è Bossando, il richiamo al latin jazz è immediato. Subito, i primi accordi in levare lasciano alla fantasia lo spazio di una calda spiaggia sudamericana con l’aria calda che ti sfiora la pelle e il tempo inizia a dilatarsi intorno. E’ Jazz, altro che musica leggera italiana, altro che pop. Questo è jazz!!!
Nel 1994, il nostro Valter, inizia la sua avventura jazz che lo porterà a suonare la batteria in varie formazioni, da una Big Band, la Taras Jazz Forum Orchestracondotta dal maestro Domenico Rana all’Academy Jazz Trio.Non faccio elenchi ma la storia continua ed è piena di partecipazioni rilevanti. Inizia a uscire fuori lo spessore di quest’artista, di queste note. L’armonia di questa composizione. Il disco di una vita lo definirei a primo acchitto. Dentro c’è tutta la passione per la musica, lo studio, l’impegno. Roba seria insomma. La tracklist procede con Castle in cui una voce profonda (alla Paolo Conte) accompagna la musica che ci trasporta sempre più dentro questa esperienza. Si prosegue con Hill Park, traccia che titola l’album, che inizia con un temporale in sottofondo, tuoni e acqua a catinelle danno il la alla tastiera e alla chitarra. Molto New Age. Tutto accompagnato dalla sua calda voce. Scorre così quest’album, splendidi giri d’accordi che creano la perfetta atmosfera per qualcosa di intimo, di personale.
Tutto nei minimi dettagli. Note che scorrono lisce senza intoppi e ritmi studiati a pennello. Forse manca qualche virtuosismo di quelli da far drizzar la pelle. Forse si potrebbe anche dire che qualche “notaccia” in più sarebbe stata più viscerale. Ma alla fine che cos’è il jazz?! Nessuno può dirlo e solo l’ascolto può illuminarci.

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Hot Fetish Divas – Songs For A Trip EP

Written by Recensioni

Quello che mi ha incuriosito subito di questa band è il nome Hot Fetish Divas. Un richiamo forse all’ostentazione dei nostri tempi. O una presa per il culo a chi se la sente ”calla” come si dice a Roma. Fatto sta che il nome della band unita alla splendida copertina dell’EP Song For A Trip, realizzata da Antonio Boffa illustratore di libri da bambino, mi hanno subito catapultato su bandcamp per ascoltarli. Chi meglio di un illustratore di libri da bambino poteva fare da copertina a quest’album che dal nome ci porta da se all’innocenza di sognare e poterlo fare come via d’uscita a ciò che opprime la nostra esistenza. Ma non c’è nulla di triste in questo album, solo carica e sfrontatezza tipica delle band Punk. Sarà che a me il genere piace ma non trovo altri termini per definirli ai primi ascolti: Forza, Sfrontatezza, Ritmo Serrato e Spensieratezza. Tutti gli ingredienti necessari ad una band punkrock.

Quest’album è stato registrato in poco tempo ed fa da apri pista al full-lenght album “Natural Inclination For Pussy” la cui uscita è prevista per questo mese.A mio avviso hanno tutte le carte in regola. Ascoltandoli mi sembra tutto mixato al punto giusto. Voce adatta al genere, chitarra superdistorta e batteria che picchia duro.C’è poco altro da dire su questa promettente band: semplicemente fantastici a mio avviso. Non posso far altro che aspettare il nuovo album e aspettare che passino a Roma per un live. Bravi ragazzi continuate così e i risultati non si faranno attendere.

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PSIKER – Synthetico EP

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Di sicuro l’atmosfera di questo album ci porta alla malinconia dei tempi andati. Personalmente, rimpianti e parole sfuggite. Arrangiato dal cantautore Psiker con la collaborazione strumentale di vari artisti che si susseguono in varie tracce con flauti, trombe e suoni sintetizzati. Si presenta così: un concept album basato su uno scritto, a mio parere molto beat, di Costanza Ghiotti che butta fuori la confusione che a volte genera l’amore e i vuoti che lascia. “Non percepisco nulla che assomigli alla dolcezza degli oceani, ad emozioni anche lievi: un battito, unfruscio… d’amore. Dov’è?”E questo inseguire l’amore vero che sfocia poi nell’amore viscerale per la musica: “Eppure l’unica cosa che ha sempre seguito il mio inquieto andare resta la musica. Lei, la musa, non si è maiallontanata da me. Né io da Lei.”
Attraversato da varie collaborazioni musicali che portano in campo strumenti come il flauto traverso di China o la tromba di Roberto Villan.Il tutto inspirato, diretto e sintetizzato da Psiker.Ad un primo ascolto quest’album mi fa venire in mente la leggerezza della vita e alla paranoia, al dolore che genera, a volte, quando non sappiamo scegliere o non siamo noi a farlo. Ai meccanismi e alle trappole della mente. Alla confusione, lo stordimento.
Iniziando l’ascolto, synth sostenuto, un preludio per la voce di Psiker  che da il là a questa melodia melanconica, a stretto contatto col synth. Una vera e propria masturbazione. Un vero rapporto a due. Una litania quasi questo mix tra voce e synth super riverberato. Sembra quasi che l’autore ci stia dicendo qualcosa di sacro, anzi che si trovi in un luogo sacro. L’album prosegue con questo senso di sacralità tra voce e synth e strumenti più classici che si alternano per completare la melodia. Un canto, una preghiera dunque. Un album che ha molto poco di Rock ma si sente il lavoro meticoloso che c’è sotto. Forse una voce troppo monotonale che può anche stare nel contesto armonico ma alla lunga stanca. Ho apprezzato molto l’ultimatraccia che fra l’altro da il titolo all’EP Synthetico, in particolare il pezzo dove il synth probabilmente emula un clavicembalo che attacca con una bellissima melodia che poi lascia alla tromba e ti trasporta per tutta la durata del brano, quasi a volerci dire che lo strazio di quest’amore è finito.

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UFO Romeo – Divergenze Emozionali Ep

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Qualche tempo fa i Velvet suonavano “Soffro lo strees, io soffro lo stress, sono stanco e fuori forma, suono in una boy band, suono in una boy band, ci deve essere un errore.” E chi pensa che il tempo delle boy band è finito deve ricredersi. Da Roma, freschi freschi con il loro nuovo EP Divergenze Emozionali, Marco Ambra alla voce, Antonio Di Girolamo alla chitarra, Valerio Galassi alla batteria, Fulvio D’Alessio alla tastiera e Flavio Quintilli al basso sono gli UFO Romeo. Dalla loro pagina FB si definiscono: “Folgoranti, ironici, leggeri,amabili, spumeggianti, assolutamente  alieni”. Che dire gli ingredienti ci sono tutti e la carica non manca.
Con 5 pezzi, scattanti e vaporosi, questo EP mette fuori una sfera affettiva giovanile fatta di imprudenza e classica spensieratezza dove i rapporti perdono molta consistenza e viaggiano sull’onda delle emozioni momentanee e transitorie. Come accade in Sesso Take Away il primo brano dell’album che potete ascoltare su rockambula.com“…non voglio più perdere la ragione nelle tue illusioni… senza rimpianti e lacrime…. Divertiti e usami”.E così scorre tutto l’album, tra insicurezze, motti giovanili e chitarre distorte a un ritmo tutto da sBallo. Niente di eccezionale, 5 brani, 5 ragazzi che inseguono il sogno della rockstar e della dolce vita. Un prodotto standard, troppo POP. Ascoltandoli mi tornano in mente i Luna pop con la 50 special. @#°§;@[@#ò. Ma loro sono gli UFO Romeo. Oddio non ce la faccio mi serve il cesso…………

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