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Cosmic Box – Last Broadcasting Station

Written by Recensioni

Un motto è una frase che descrive le intenzioni o le motivazioni di un gruppo; per i Ferraresi Cosmic Box le magiche parole sono anche il titolo del loro primo EP uscito nel 2010, Not Better, Simply Different. Dopo quattro anni da questa dichiarazione d’intenti  è arrivato il momento per loro di ributtarsi nella mischia con un nuovo lavoro L.B.S., Last Broadcasting Station. La domanda spontanea è: “saranno ancora i fieri rappresentanti di quelle quattro parole?”. Discograficamente parlando quattro anni non sono pochi e L.B.S. è un album più maturo e ricercato. Non spaventatevi, non ascolterete una versione ammuffita e decrepita dei Cosmic Box ma dieci brani sanguigni e d’impatto, che scorrono velocemente. Al primo ascolto si percepisce subito la distanza rispetto al lavoro precedente. Le novità che il quintetto ferrarese ha adottato sono varie e molteplici sia a livello tecnico sia di songwriting: la presenza di assoli musicali che danno corposità e spessore a brani come “Trough Skin & Bones”e “The Daily Work”, ritmi rallentati che esaltano le suggestioni come in “All the Things You Cannot Hide”, e una vera e propria ballad, nell’accezione più classica del termine, dalle atmosfere rarefatte e dal titolo criptico “66”.

Tutte queste innovazioni sul lato della composizione confluiscono in un generale cambiamento di fuso orario, che da un sound marcatamente ispirato all’immaginario British si sposta verso influenze a stelle e strisce, Incubus, Pearl Jam, The Strokes, Foo Fighters solo per citarne alcuni. La stessa voce del cantante Andrea Gnani ricorda molto nel timbro e nell’uso quella del poliedrico Brandon Boyd, in memoria, forse, del loro passato da cover band. Nonostante i cambiamenti i Cosmic Box non rinnegano completamente le proprie radici e includono nell’album anche brani come “New Way Home” e “Don’t Move”, in stretta sintonia col passato, dove chitarre distorte e batteria decisa ed essenziale dettano le regole del gioco, creando quell’allure rock anni 90 che, sebbene semplice nella melodia, garantisce una certa resa d’impatto. Tirando le somme, L.B.S.  è un disco che musicalmente rende bene e ha quel gusto internazionale che consente al quintetto di rompere gli argini della bassa pianura emiliana. La stessa operazione viene replicata anche sul piano testuale, esulando dagli standard produttivi di molti artisti italiani, che si ostinano a scrivere in una lingua che non gli appartiene. Insomma un disco da ascoltare e magari consigliare per una serata tra amici, che in queste righe ha ricevuto molti punti , ma che però è colpevole di un solo grande peccato: la mancanza di originalità e distanza rispetto ai propri modelli musicali. Andrea a compagni, probabilmente, in questo nuovo capitolo dovrebbero cambiare il loro motto in better, not so different.

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