Sigur Ros Tag Archive

Margareth – Flowers

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Sono ormai lontane le sonorità Pop ed acustiche degli esordi di White Line e oggi i Margareth si ripresentano al pubblico dedicandosi maggiormente ad un Rock sempre più etereo ed elettronico, tra i Flaming Lips nei momenti più sperimentali, gli Archive di With Us Until You’re Dead in quelli più incazzati, e i Sigur Ros in quelli più acustici e Indie. Flowers si compone di quattro tracce, la prima, “Help You Out”, si apre con un ticchettio ritmico a mo di “lancetta di orologio” accompagnato da una batteria acustica ripetitiva, un basso-synth importante, una voce calma e accordi in stile Explosions in the Sky e gruppi affini. Lounge e percorsa dal suono di un pianoforte è “Flowers”, una di quelle canzoni che ascolteresti volentieri di notte tornando a casa su un autobus, mentre particolare e ben strutturata è “Asimov”, un canzone che si fa spazio tra momenti di pace prevalentemente acustici e sfoghi distorti e sintetici. Bisogna dare merito a questi ragazzi dell’ottima scelta di cambi di suono e ritmo in questa traccia: si passa da un inizio tipicamente Ambient-Rock che incorpora strane combinazioni di suoni, ad uno stacco con tanto di riproduzione virtuale del classico organo ed una batteria a modi Chillstep (Dubstep in versione Chill per intenderci meglio), ed un finale che ritorna ad essere incazzato. Chiude il tutto “Maze”, una canzone caratterizzata da parole, guitar-noise e strings che ti permettono di andare in un altra dimensione e fluttuare.

I Margareth sono strani ed il loro è un suono dove conta veramente e principalmente il timbro sonoro generale e le atmosfere invece che voce, ritmica e struttura. Ciò che si percepisce è la voglia di trasmettere un’idea non ben definita e soggettiva attraverso la loro musica ed i loro strumenti. Il difetto (se così si può chiamare) è quindi quello di non aver bisogno di un cantante che comunque non disturba ma nemmeno fortifica o aggiunge qualcosa al tutto, diventando dunque superfluo.

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Múm – Smilewound

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Il panorama musicale islandese, mai come negli ultimi anni, ha attirato così tanto l’attenzione su di sé. Sulla scia dei successi internazionali di Björk prima e di Sigur Rós dopo, sono emersi band della forza di Amiina, Agent Fresco, FM Belfast, Of Monsters And Men e i Múm. Pur con declinazioni molto diverse in ogni esito, la formula che sta alla base delle composizioni di questi artisti sembra essere sempre la medesima: una commistione di Pop, musica colta, folklore, elettronica, ciascuna in percentuale diversa a creare un panorama musicale variegatissimo ma anche immediatamente collocabile sul piano culturale-geografico.
Uscito il 6 settembre scorso, Smilewound, l’ultimo disco dei Múm, sembra essere una summa di tutte le precedenti esperienze della band. Il disco si apre col singolo “Tootwheels”, un brano dal sapore particolarmente trip-hop, con un contrappunto di archi pizzicati e pianoforte che lascia lo spazio a sonorità elettroniche da carillon. “Underwater Snow” è una ballad con un’introduzione pianistica alla Yann Tiersen e il cantanto alla Julia Stone (o Emiliana Torrini, se vogliamo pescare fra i connazionali della band). Una rivisitazione degli artifici elettronici anni 80 sembra essere la base di “When Girls Collide” (come della successiva “Candlestick”, in fondo), con un motivetto in loop ipnotico e quasi fastidioso, che però ben si amalgama con le voci spesso in deelay. “Slow Down” ricorda particolarmente Björk ed è forse la traccia più studiata e costruita, con un continuo slittamento di accenti ritmici e l’uso massiccio di rumori coloristici. “One Smile” è il brano che più si discosta dall’omogeneità stilistica del disco: la melodia principale, affidata a un metallofono, rimanda all’estremo oriente e la freddezza del timbro di questo strumento viene subito scaldata dalle chitarre e dagli archi, in un crescendo ritmico-dinamico che diventa una specie di cavalcata nervale frenata solo dalla delicatezza vocale. Per “Eternity Is the Wait Between Breaths” sembra che i Múm si siano rivolti nuovamente a Tiersen: il brano sarebbe perfetto per una sonorizzazione cinematografica, con il mix di rumori sintetici e patina vintage con cui è costruito. “The Colorful Stabwound” è probabilmente la traccia più Pop di tutte, sia per la linea melodica, ben più lineare e convenzionale, sostenuta solo dal basso che scandisce l’incalzante ritmo della batteria, sia per la costruzione strofica.

“Sweet Impression” sottolinea moltissimo la precedente impressione sulla parentela fra la voce dei Múm e le rese canore di Emiliana Torrini e Julia Stone. La mia traccia preferita, comunque, è “Time to Scream and Shout”,  meravigliosamente ossimorica, visto che invece di essere urlata, l’esecuzione è placida, greve, con atmosfere trasognanti alla Himogen Heap. Piccola chicca del disco è la collaborazione per “Whistle” con Kylie Minogue che, chi l’avrebbe detto, si amalgama perfettamente col sound della band e non solo non disturba, ma conferisce addirittura un certo tocco di grazia al brano. Smilewound è un album veramente da ascoltare, un bello spaccato della produzione di una band e un gradevolissimo susseguirsi di ispirazioni e suggestioni.

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Good Morning Finch – Cosmonaut

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Aria timida fuori dalla finestra, il cielo che sembra gettare a forza su di noi i suoi rantoli, spuntando fuori i polmoni per soffiare l’ultimo vento caldo. E in un panorama così apparentemente banale abbino casualmente il romanzo che in un’estate troppo movimentata non sono riuscito a finire e un disco da recensire, pescato dagli arretrati di questo frenetico anno.

Murakami “Kafka Sulla Spiaggia” incontra i Good Morning Finch, band siciliana attiva dal 2010 che abbatte dalle prime note tutte le barriere spazio-temporali. Le visioni oniriche e magiche dei personaggi del romanzo si mischiano alla perfezione ai delay, alle poche chitarre ben incastrate tra beat carnali (questo è un album suonato e si sente) e ritmiche soffici. Sensazioni di calma, ma anche di angoscia e di tremenda lentezza e imprevedibilità invadono l’atmosfera. La dinamica non esplode mai, anche quando potrebbe permettersi più violenza come in “Last Rocket From Moskow to Neptune” è tenuta volutamente soffusa, calibrata quasi alla perfezione. Non ci abbandona l’alone di mistero e la sensazione di stare a mezz’aria pur avendo ben cosciente ed impresso il ricordo del nostro mondo terreno. Pink Floyd e Sigur Ròs trovano un facile accordo e mischiano le loro deviazioni. I Good Morning Finch però tralasciano spesso le efficaci venature pop. Qui nulla è cantato, anche la poca voce presente è un incredibile veicolo tra spazio e terra.Ci sentiamo astronauti più vicini alle stelle ma mai troppo distanti dal suolo. Non lo perdiamo mai di vista, lo osserviamo attentamente per vivere più intensamente il sogno. Proprio come in Murakami, dove mai perdiamo la sensazione del tatto. Anche quando si parla di fantasmi perduti nello spazio in “Alexis Graciov is Gone” (Alexis Graciov è un cosmonauta che pare essere scomparso nel 1960 in una missione spaziale russa, leggenda o complotto?) la chitarra acustica ci riporta in una spiaggia con un falò, resa surreale da una voce femminile lontana, che echeggia tra le onde.

Qualcosa combina romanzo e disco in uno strepitoso vortice in cui le sensazioni visive, le parole e le note si combinano chimicamente. Conoscendo i miei gusti questo EP (sebbene prodotto al meglio) non si sarebbe mai insediato nelle mie orecchie in assenza di “Kafka Sulla Spiaggia” e dei suoi bizzarri soggetti. Fatemi pensare che sia nulla più che una piacevole coincidenza.

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Samaris – S/t

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Soffice elettronica Dowtempo, ghiaccioli di piacere etereo e tutta  l’Islanda fredda e calda che mai si possa contenere in un disco. È questa la periferica induttiva che il disco omonimo dei Samaris – giovane formazione di Reykjavik – trasmette con una reputazione dolciastra e molto intima, praticamente come vivere e ascoltare l’eco di sé stessi dentro una bolla, un tubo di vetro o che so, un alambicco di cristallo che rimanda cadenze, soffi e sospiri delicatissimi in dodici tracce, un ascolto “moltiplicato” da bagliori bianchi come panna, ben oltre la neve dell’Artico.

E dietro tutta questa esuberanza delicata di suoni, scandagli, rimbombi gommosi e vapori impalpabili. il disco trova la sua dimensione adimensionale, tenero nelle sue esplorazioni elettroniche e fautore di una e più atmosfere dinamiche e rallentate, un ascolto a più livelli di coscienza  che non forza nessuna opposizione a questa magia senza peso, tracce (dodici) che arrivano da due precedenti lavori e qui “riassemblati” in una meccanica color perla e prettamente rivolta ai climax che già hanno fatto conoscere al mondo intero i sospiri raggelati e passionevoli di Mum, Sigur Ros, The Knife, e per dirla tutta un disco che scende in verticale in un pathos che fa brividi ed immaginazione oltre le quote delle distanze infinite.

La stupenda voce di Jofridur Akadottir è come una manna che cade lieve su questa stupende ambientazioni sonore, voli e radenti asettici che lambiscono le orge strutturali di ambient e di quelle onde magnetiche che si rimbalzano come swap lunari e che veramente danno la sensazione di non avere più la dotazione della posizione eretta, ma un dolce vacillare, un galleggiare out-weight; illusionistici i bagliori di leggende “raccontati” da percussioni e parole mistiche popolari “Viltu Vitrast”, il basso che detta  una linea bluastra a margine di “Goda Tungl”, la cosmicità ritmata dei rimandi “Voggudub” e la dissolvenza di loop, strumenti a fiato e sintetizzatori “Kelan Mikla” che alla fine di tutti i discorsi ed i flash d’ascolto accendono la luce dell’innocenza interiore, quella valvola interna di batticuore silenziato di cui spesso non ci si accorge di averla.

I Samaris vincono la scommessa di stupire e lasciare a bocca aperta molti, la loro è una etera mistica volatile, la nostra è una sorpresa dura a compattarsi. Buon Ascolto e allacciate le cinture di sicurezza, si parte!

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Live Footage – Doyers

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Un album imponente. Questo è più di ogni altra cosa il secondo lavoro del duo di Brooklyn Topu Lyo (cello, sampler) e Mike Thies (drums, keyboards). A distanza di tre anni dal buonissimo esordio di Willow Be, tirano fuori un’opera costruita su ben diciassette tracce, rigorosamente strumentali, per la durata limite di quasi settanta minuti. Un disco che vi permetterà di godere pienamente del loro estro e vi giustificherà le parole di una certa critica che li pone tra i migliori compositori di colonne sonore surreali in circolazione. Corde ed elettronica, batteria e tastiere, realtà e sogno si mescolano alla perfezione per creare una suggestione sonica indimenticabile, resa ancor più umana dall’aspetto dell’improvvisazione esecutiva.

“L’assenza di limitazioni è nemica dell’arte”. Parte da quest’aforisma di Orson Welles il duo statunitense per mettersi a realizzare Doyers. Sono queste parole del genio della regia (ma non esclusivamente) che fanno da mantra al lavoro dei Live Footage, durante le registrazioni e la creazione delle diciassette (numero che in terra di Obama non genera gli stessi gesti scaramantici) gemme in questione.
Le limitazioni amiche dell’arte, in questo caso, possono essere tante e riferite a una miriade di diverse questioni tecniche, creative e non solo, ma quelle che saltano più all’orecchio, sono quelle dirette delle note, che sembrano spaziare e volteggiare nell’infinità del cosmo ma in realtà, alla fine dell’ascolto, vi renderete conto essere parte di una precisa galassia, uniforme e delimitata, pur se enorme. Tutto ha limite, anche se nella sua apparente illimitatezza e sta solo nel punto di vista dell’osservatore che tali limiti si rendono in parte visibili.

La musica dei Live Footage passa con disinvoltura da eteree e riverberate atmosfere lisergiche e Psych Rock (“Broklyn Bridge”, “Asian Crane”, “Lucien”) a un sognante Dream Pop più stile Beach House che Sigur Ròs utilizzando spesso le stesse forme del Post Rock mogwaiano, fatto di crescendo continui e muri di chitarre, o dello Slowcore Glitch (“Purgatory (The Storm Has Passed)”, “Broklyn Bridge”). L’ossessione ritmica dell’inizio di “Foresight” anticipa altri punti di vista, tendenti al Jazz e non mancano divagazioni addirittura nei territori della Dub Music (“Mortality”), della Drum’n Bass (“Going Somewhere”, “New Breed”), della musica sudamericana (“Caipirinha”), dell’elettronica di chiara matrice Kraftwerk (“Korean Tea Shoppe”, “Computer is Free”) o anche il Rock alternativo contaminato da ritmiche Funky, ovviamente sempre in combutta con un liquefatto e caldo Ambient (“Secret Cricket Meeting”) o il più fumoso e oscuro Trip Hop (“Ant Colony”). Eccezionali i passaggi più spiccatamente Film Score/Soundtrack (“Just Moving Parts”, “Airport Farewell”) nei quali si rende ancor più palese e chiaro il concetto di surreale applicato all’opera dei Live Footage.
Ovviamente, se ancora non avete ascoltato Doyers, vi starete chiedendo come possa io parlare di limiti ma poi tirare in ballo una quantità di generi musicali sconfinata. Come già vi ho detto, dovete ascoltare per capire. Ogni influenza sembra schizzare qua e là, apparentemente senza controllo ma in realtà, se provate ad allontanare per un secondo l’anima dalle note, noterete che la musica dei Live Footage, si ammorbidisce, quando deve suonare più forte e s’indurisce quando invece mira alla leggiadria. In questo modo, si crea una linea imprecisa che, come il volo d’un uccello, apparirà più armonica, con l’allontanarsi dello sguardo.

Per chiudere, non posso che rinnovarvi le mie promesse. Ascoltate e poi ditemi, basta leggere le mie parole, o impazzire dietro ad esse. Citando Welles, le promesse sono molto più divertenti delle spiegazioni. Quindi, buon divertimento.

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À L’Aube Fluorescente

Written by Interviste

À L’Aube Fluorescente è la band vincitrice di AltrocheSanRemo Volume4. Nella nostra home potete vedere il loro banner e cliccandolo visitare la loro pagina Facebook mentre a breve avrete la possibilità di leggere la recensione del loro nuovo lavoro e vedere il primo videoclip proprio del pezzo che li ha portati alla vittoria. Nel frattempo Silvio “Don” Pizzica li ha intervistati e il risultato, che potete leggere di seguito, è una bella chiacchierata che spazia dalle curiosità del progetto, alla loro formazione, da qualche incomprensione (vedi domanda in cui si citano i MaDeDoPo, che volevano essere presi solo come esempio di band che ce l’ha fatta non solo grazie alla musica e non un riferimento stilistico), alle critiche e i complimenti della nostra redazione, per passare agli Smashing Pumpkins e a Steven Wilson, fino alle critiche alla critica musicale. Una lunga chiacchierata, una intervista vera in cui scoprirete l’anima di una band giovanissima che prova a fare le cose da grandi, districandosi con eleganza anche tra le questioni più spinose. Signore e signori, À L’Aube Fluorescente.

Ciao a tutti. Per prima cosa come state?
Ciao a te ed a tutta la redazione di Rockambula che ci ha concesso questa intervista. Siamo tutti carichi al punto giusto, pronti per i prossimi live!

Partiamo dalla domanda più banale di questo mondo. Come è nato il nome À L’Aube Fluorescente? Cosa significa, oltre il mero significato letterale? Perché il francese, visto che non c’entra molto con il vostro stile “anglosassone”?
Diciamo che la risposta che cerchi è all’interno della domanda che hai posto. Il nome si basa proprio su questa voglia di distaccarsi, almeno per quanto riguarda il primo impatto, da quello che è lo standard dei gruppi alternative rock italiani e stranieri. Ormai siamo abituati ad una marea di termini inglesi che sono entrati costantemente nel nostro vocabolario (e non fraintenderci, è assolutamente un bene) ma semplicemente ne eravamo un po’ stufi. È stato anche un modo per rinnovarsi, per respirare aria fresca. È dunque più che altro un’esigenza personale, senza nulla di particolarmente pretenzioso. Inoltre crediamo che in un certo senso la musicalità della lingua francese si sposi in maniera perfetta con la musica che cerchiamo di proporre, nonostante i testi siano scritti in inglese. È una sorta di assonanza inconscia che ci è venuta naturale sin da subito, già dalle prime prove quando lavoravamo ai primi arrangiamenti. Per quanto riguarda il significato preferiamo rimanere piuttosto coperti a riguardo, proprio per non togliere la possibilità a nessuno di associare il nome a quello che sente quando ascolta i nostri pezzi. Possiamo solo dirti che per noi esprime un profondo senso di rinascita, musicale e non.

Raccontateci molto brevemente come nasce questo progetto, cosa avete fatto fino ad ora e quali sono le strade artistiche percorse dai vari membri.
Le nostre strade artistiche sono molto simili; pur ascoltando generi di musica a volte molto distanti, abbiamo sempre avuto un’enorme passione per quella che suoniamo, eccezion fatta forse per Alberto, il nostro batterista, che dopo l’incontro con Paride (chitarra) in una cover band antecedente a questo progetto, si è avvicinato in modo prepotente all’alternative rock (che poi nella nostra musica ha un infinità di sfumature per i motivi sopra citati), entrando dunque nella line up definitiva. Jacopo (voce e basso) porta avanti diversi side project, come i Sixty Drops (l’ep uscirà ad Ottobre) e l’Articolo Il (duo con Lorenzo Lucci ormai super affermato in zona). Francesco (chitarra) lo trovate a suonare ovunque ci sia bisogno di un chitarrista, ci dorme pure con la chitarra, anche se ormai abbiamo abbastanza monopolizzato la sua attenzione!

Come descrivereste la vostra musica?
Beh domanda da un milione di dollari. Facciamo molta fatica anche noi a classificarci e a dire il vero non ci piace nemmeno molto. Sicuramente possiamo essere inquadrati in quell’enorme calderone che è l’Alternative Rock ma è un po’ come dire tutto e dire niente. Per far riferimento ad una cosa un po’ inusuale diciamo che in ogni arrangiamento cerchiamo sempre di essere il più raffinati possibile, evitando quelle che secondo noi sono scelte vistose, atte a far emergere il singolo strumento penalizzando il risultato finale. Facciamo tutto in funzione del pezzo. Se un chitarrista deve fare due accordi tutto il tempo per la miglior riuscita del brano non c’è nessun problema. La voglia di emergere come singoli non ci appartiene. In questo senso definiamo la nostra musica raffinata (non tanto per chi ascolta, quello è un giudizio che spetta agli altri) ma proprio per il modo che abbiamo di lavorare.

Parlateci del vostro ultimo lavoro in studio. Credo sia anche il primo, giusto?
Si è il nostro primo EP e si chiama Soar. Sarà anticipato dall’uscita del videoclip di Brand New Stupid Words, che avete già avuto modo di ascoltare. È stato registrato durante il maggio di quest’anno presso l’Acme Recording Studio di Davide Rosati, che è stato anche a tutti gli effetti un produttore artistico. Quello che ne è venuto fuori è un qualcosa ben oltre le nostre aspettative proprio perchè in studio si è creata subito una forte alchimia tra noi e Davide, che ci ha permesso di lavorare molto bene e senza nessun timore di esprimere in modo sincero la singola opinione su ogni arrangiamento. Questo aspetto è stato molto importante per dare ad ogni pezzo quel qualcosa in più che temevamo mancasse alla fine delle registrazioni. Siamo molto soddisfatti.

Come nasce una vostra canzone e cosa ritenete che sia una canzone?
Molto spesso Jacopo costruisce quelli che ci piace chiamare “scheletri”; si tratta sostanzialmente di bozze di testo e linea vocale su una melodia di basso o pianoforte. Da lì cominciamo a costruire gli arrangiamenti e ne prepariamo diversi per ogni strumento, finché non troviamo la combinazione ottimale. Altre volte si parte da riff o giri di chitarra molto semplici che vengono man mano resi più articolati, sempre nel rispetto del registro stilistico del pezzo. Poi Jacopo fa un lavoro altrettanto meticoloso di completamento dei testi, accompagnato da discussioni che spesso facciamo tutti insieme sul loro significato . Siamo piuttosto pignoli sulla questione grammatica e pronuncia, è un aspetto a cui teniamo tantissimo, forse spesso sottovalutato da molte band nostrane. Una canzone è nient’altro che un’evasione dal concetto di tempo per noi. Viviamo le nostre giornate scandite in un certo modo e molti non sanno nemmeno bene perchè. Una canzone è quell’elemento che messo nell’equazione dello scorrere del tempo quotidiano la scombina, la sbilancia.

La vostra dimensione ottimale è quella “elettrica” ma non disdegnate serate live in acustico. In fondo è uno scendere a compromessi per poter avere più spazio possibile, no? A cosa sareste disposti a rinunciare e a cosa non rinuncereste mai per un pezzo di successo. Cosa sareste disposti a fare per diventare i nuovi Management Del Dolore Post Operatorio (perdonatemi la provocazione)?
Ma no, non si tratta di scendere a compromessi, anzi. Amiamo profondamente l’acustico, siamo cresciuti col mito di quegli unplugged straordinari che solo gli anni 90 hanno saputo darci ed è logico che ne siamo allo stesso tempo estasiati ed affascinati. Ci piace (ri)arrangiare i pezzi, trasformarli e dargli una nuova luce. È quello della musica che più amiamo. Gli acustici per noi non sono uno scendere a compromessi, ora come ora sono quasi un’esigenza. È bello ritrovarsi in intimità e far ascoltare i propri pezzi come sono nati: con un basso praticamente spento, la porta della camera socchiusa ed una chitarra acustica. Per quanto riguarda il discorso delle rinunce è una politica che non ci appartiene. Noi sappiamo fare musica solo in questo modo, non conosciamo altre strade. Speriamo di riuscire a piacere per quello che siamo, è l’unica cosa che possiamo augurarci. Un pezzo pop non sapremmo nemmeno farlo! Per quanto riguarda la domanda sui Management la risposta è molto semplice: nulla. Ma non è una risposta dettata da gusti personali. Oggettivamente non abbiamo proprio nessun elemento che possa essere di contatto con una realtà come quella del gruppo abruzzese che hai citato (a parte essere abruzzesi, è ovvio!), non vediamo dunque come possa essere possibile seguire un percorso artistico simile. Sicuramente le strade che dobbiamo battere sono altre, e sono quelle che vogliamo perchè ce le siamo scelte.

Siete i freschissimi vincitori del nostro concorso AltrocheSanRemo Volume4. Perché avete scelto di parteciparvi e cosa vi è rimasto di questa esperienza?
Ci sembrava un’ottima vetrina per poter far ascoltare il singolo prima che uscisse ufficialmente, per testarlo diciamo, ed è andata molto bene. È stata un’esperienza che ha consolidato in noi ancor di più la consapevolezza riguardo l’importanza che ha oggi il web nel proporre musica.

Vincere un concorso come questo non è solo questione di qualità ma anche di conoscenze. Quanto è importante per voi avere un pubblico di affezionatissimi, spesso amici, che vi supporta? Non pensate che avere sempre quel gruppo di supporter della porta accanto ai vostri concerti, possa trasformarsi negativamente in un’ancora che vi lascia agganciati ad una dimensione provinciale?
Beh per una band che esiste ufficialmente da qualche mese (dato che siamo stati per molto tempo in sala prove ad arrangiare la scaletta che oggi proponiamo dal vivo) è già tantissimo avere un gruppo di supporter della porta accanto. Basta rendersi conto di dove si vive, di che situazione musicale c’è e quali possibilità di suonare in giro. Non abbiamo paura di confrontarci con realtà estranee alla nostra, basti pensare che siamo stati selezionati per suonare al Voci Dal Sud music festival a Salerno dove apriremo , insieme ad altre band, il concerto di Meg, Ettore Giuradei e Valerio Jovine. Un risultato assolutamente stupefacente se si pensa che la nostra prima data insieme ufficiale è stata il 4 maggio scorso ( se escludiamo una breve apparizione “confusionaria” nei primi mesi di sala prove).

Passiamo alle domande più “toste”, derivanti anche da alcune considerazioni scaturite dalla vostra partecipazione alle preselezione di Streetambula (p.s. complimenti, siete tra le 8 band finaliste che suoneranno il 31 agosto a Pratola Peligna (AQ)). La redazione di Rockambula ha evidenziato in voi alcuni limiti e alcuni punti di forza importanti. Ad esempio hanno criticato la poca originalità e l’eccessiva somiglianza con band come Placebo o con Melissa Auf Der Maur; qualcuno non ha apprezzato l’apparente necessità di scandire le parole da parte di Jacopo e la troppa povertà del suono delle chitarre. Particolarmente apprezzata invece la capacità di ricerca melodica, cosi come la tecnica vocale (evidente che Jacopo non si sia improvvisato cantante), e anche la pulizia sonora. Rispondete voi, come preferite, alle critiche e ai complimenti. P.s. uno solo dei redattori è stato particolarmente duro affermando che “non sono di nessun impatto e dovrebbero rivedere l’intera struttura sonora”.
Beh essendo una primissima uscita era ovvio che le critiche non potessero mancare. Sicuramente già ora, rispetto a quando abbiamo preparato i pezzi per l’ep ci sentiamo musicalmente molto cresciuti;di certo non credevamo di arrivare sulla top ten americana con un primo ep, registrato in 4 giorni. Ha ovviamente tutti i limiti che un primo lavoro , fatto molto in fretta, può avere. Ci sono delle cose da migliorare e da correggere, certo prima di esprimere giudizi di una certa rilevanza si dovrebbe tener conto delle tempistiche in studio che una band agli inizi può avere. Per quanto riguarda il sound delle chitarre è una scelta fortemente voluta. Non siamo i primi a farla e non saremo gli ultimi, è una questione di gusti di chi ascolta. Alla fin fine è solo il gusto personale che determina il successo o l’insuccesso di un brano, i tecnicismi servono a chi fa le recensioni, ma non sono quelle che fanno andare bene un singolo. Potrei dirti che il suono di Slash a me personalmente non piace, così come quello delle chitarre dei My Bloody Valentine (quasi vuote) mi faccia impazzire. A critiche e complimenti va dato il giusto peso. Siamo consapevoli di dover lavorare, le critiche ci aiutano a capire dove e come possiamo alzare la qualità.

Sul discorso dell’originalità, non siete certo gli unici che hanno guardato alle strade sicure e già battute del passato. È cosi pericoloso rischiare e provare a fare qualcosa di nuovo o semplicemente è impossibile essere considerati se si prova a sperimentare?
Questa è una domanda che leggiamo spesso nelle interviste di molte band. Molte webzine battono su questo discorso dell’originalità pensando che sia ancora una domanda “scomoda”. In realtà non lo è affatto. Seguendo questa linea di pensiero non avrebbero senso il 90% dei movimenti musicali che oggi esistono e vengono portati avanti. Dovremmo far chiudere baracca a tutto il Punk, a tutto il Post Punk, il Black Metal, il Post Grunge ed a tutti quei generi che vengono costantemente riproposti. Basti pensare che perfino i Sigur Ròs sono riusciti a diventare banali agli occhi della stampa musicale. Senza nulla togliere al grande lavoro che Rockambula fa per la musica emergente è una questione su cui c’è veramente poco da dibattere. Se c’è il talento emergi, qualunque sia il genere che proponi. Questo discorso poi in Italia vale doppio, proprio perchè rispetto agli altri paesi del mondo, a parità di genere, serve molto più talento.

Torniamo a cose più leggere. Abbiamo parlato di Placebo e Melissa Auf Der Maur. Ma quali  sono le band che più vi hanno influenzato e a cui più somigliate?
Beh due le avete già citate, le altre sono tantissime. Sarebbe impossibile farti un sunto. Diciamo che i punti fermi sono due: Smashing Pumpkins e A Perfect Circle. Non sappiamo quanto le ricordiamo, ma sicuramente ci hanno influenzato tantissimo.

Consigliatemi due band esordienti, una italiana e una straniera e quello che ritenete sia il miglior disco del 2013, italiano e straniero.
Beh in Italia gli About Wayne sono riusciti ad avere un grande seguito, nonostante le critiche nei loro confronti fossero sempre le solite, riguardo l’originalità e la questione delle strade conosciute. Per quanto riguarda l’estero i Bwani Juction sono una realtà scozzese molto interessante (restando sempre nell’ambito di gruppi strettamente esordienti). Sul discorso del miglior disco la domanda si fa molto personale. Diciamo che possiamo consigliare quelli che secondo noi sono due buoni dischi: l’omonimo Giuradei dei fratelli Giuradei e The Raven That Refused To Sing (and other stories) del mitico Steven Wilson.

Non vi chiedo certo perché cantate in inglese ma invece sono curioso di sapere di cosa parlano i vostri testi. Pensate che a chi vi ascolta interessino veramente le parole? Sono cosi importanti i testi nella musica Rock soprattutto?
Non sono semplicemente importanti, sono importantissimi. Veicolare un messaggio è il primo obiettivo che qualunque artista dovrebbe porsi e non essendo un gruppo strumentale il testo assume un’ importanza primaria. I nostri testi riconducono esperienze spesso personali ad una dimensione più ampia, generalizzata, attraverso un forte processo di trasformazione che a livello del tutto teorico dovrebbe portare l’ascoltatore a poter dare il significato che vuol vedere all’interno di quel pezzo. Tutto questo ovviamente tenendo costante il messaggio di fondo che deve essere percepito in maniera inconscia. Diciamo che è un grande metodo per mandare un messaggio senza imporlo. Crediamo molto nella forza delle idee non imposte, ma condivise.

Perché un ascoltatore, un nostro lettore, dovrebbe dare fiducia e il suo tempo a voi, prima che agli altri, non potendo darli a tutti?
Ci piacerebbe che chi sceglie di seguirci e supportarci possa avere il tempo per fare la stessa cosa con tutti i gruppi emergenti che ritiene meritevoli. È proprio il fenomeno delle “tifoserie” che ha contribuito ad uccidere la qualità della musica in Italia. Che trovi il tempo allora per tutti quelli che vuole supportare; la musica restituisce sempre molto più di quello che chiede.

Dove pensate di poter arrivare, in concreto? Quale è invece il vostro sogno e il vostro incubo di musicisti?
Per ora, molto in concreto, vogliamo solo arrivare alla realizzazione del nostro primo full length Non facciamo piani decennali. Il nostro sogno è quello di fare un buon disco ed entrare nella casa di qualche sconosciuto che decide di accendere lo stereo ed ascoltarci. Niente di più. Di incubi al momento non ne abbiamo, solo tanta voglia di fare e di fare bene.

Per un attimo non parliamo di voi. Come sempre, provo a farmi dare un nome. Quale è la band o l’artista Indie italiano più sopravvalutato in circolazione?
Dai, diciamo che tu ci hai provato e il tuo dovere l’hai fatto! Noi manteniamo il silenzio stampa per adesso, è troppo presto per giocarsi qualche nome. Metti che poi ci tocca suonarci, che si fa?!

Come detto, il 31 agosto parteciperete alle finali di Streetambula, music contest organizzato dalla nostra testata in collaborazione con Nuove Frontiere. Tanti premi importanti in palio, presenza garantita di etichette come la Indelirium Records, la V4V, la To Lose La Track (e tante altre) e rappresentanti di webzine importanti come Rockit, Ondarock, Mola Mola, Stordisco, ecc… Voi perché avete scelto di partecipare? E avete avuto modo di conoscere le altre band in gara? C’è qualcuno che vi ha colpito?
Beh che domanda! Abbiamo voluto partecipare proprio perchè avete fatto un lavoro straordinario di organizzazione e di coesione. Un’occasione che un gruppo emergente come il nostro non poteva farsi sfuggire. Abbiamo avuto modo di conoscere la musica dei Too Late To Wake in maniera approfondita e sono davvero una grande band. Sarà un piacere conoscerli e condividere il palco con loro (così come con tutti gli altri). Nei prossimi giorni ascolteremo per bene anche tutti gli artisti in gara. Non sentiamo la competizione, solo una grande voglia di confrontarci e imparare magari qualcosa dagli altri. È sempre bello passare delle giornate con dei musicisti.

Cosa avete in programma per l’immediato futuro? Album, live, video, qualunque cosa!
Intanto è imminente l’uscita del videoclip di “Brand New Stupid Words”. Sarà un videoclip animato realizzato da Tonino Bosco. Non vi diciamo di più per adesso. Poi gireremo a breve un altro video per promuovere un secondo singolo, dobbiamo ancora definire diversi dettagli. Sotto il punto di vista live avremo un agosto stra-pieno e ne siamo ben felici. Gireremo davvero parecchio e appena possibile pubblicheremo un calendario ufficiale. Poi sicuramente ci rimetteremo per bene a lavoro su tutti i pezzi che faranno parte del nostro primo album. Per ora non ci siamo dati una scadenza, vediamo come va la promozione dell’ep e poi decideremo il da farsi. Insomma, tanto lavoro e tanta strada da fare, ma tanta voglia di farla!

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Diciamo che essendo la nostra prima intervista non siamo abituatissimi a parlare, e per ora, ci sembra di aver parlato fin troppo! Speriamo che le canzoni possano essere per tutti una spiegazione più che sufficiente in merito a tutto quello che ci riguarda!

Ciao Rockambula e grazie di tutto! Stay alternative!

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Sigur Rós – Kveikur

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Questa recensione non è assolutamente semplice. Ho dovuto ascoltare Kveikur, l’ultimo disco dei Sigur Rós, uscito praticamente un anno dopo Valtari, almeno sette volte in giorni diversi e momenti diversi, prima di potermi avvicinare al foglio di Word. E ho letto in giro cosa se ne pensasse per capire se ero io che non coglievo certe sfumature o se semplicemente tra i fans e tra gli esperti non ci fosse un po’ di sano servilismo. Come a dire: questi sono dei grandi, non possono che sfornare l’ennesimo capolavoro. “La sferzata Rock degli Islandesi”, “Dopo aver indagato il cielo eccoli che scandagliano l’inferno”. Ne ho lette veramente per ogni colore, ma ancora adesso non riesco a districarmi tra la mole di informazioni raccolta e l’impressione diretta che ne ho io all’ascolto. “Brennisteinn” semplicemente non sembra farina del loro sacco: la struttura è molto più canonica, le singole componenti (e soprattutto la batteria), sembrano prese da un qualsiasi gruppo indie-rock che non si scula nessuno o quasi. Manca quella sensazione di artificio elettronico comandato dall’uomo, quella sacralità di ogni movimento melodico a cui ci hanno abituato con i lavori precedenti. Persino la voce di Jonsi non sembra più la stessa. “Hrafntinna” è semplicemente debole e fortuna che “Ísjaki” e “Yfirborð” sembrano riportarci in un universo sonoro più noto e sicuro, per quanto il ritornello della prima suoni troppo troppo Pop. Anche “Stormur”, non fosse per una tendenza danzereccia che proprio non è da loro, potrebbe essere un bel brano, ma, davvero, sono le percussioni a essere strane in questo disco. E non ci trovo niente di terreno, non sento il tentativo di un’esplorazione del basso, dell’infernale, dell’interno, in contrapposizione ai voli pindarici ed eterei precedenti. Sento una patina Indie-Pop che stride con le mie aspettative. Solo la title-track, “Kveikur”, sembra confermare la lettura di chi sente una virata Rock nel disco. Più industrial, a dire il vero. E anche un industrial piuttosto malato e visionario. “Rafstraumur” è scontata, “Bláþráður” è sintetica, “Var”, invece, è meravigliosa, la prosecuzione ideale dell’ “Ég anda” che apriva Valtari. Ce l’hanno lasciata lì, al fondo, come la promessa di un ritorno, come a dire che questa era una prova, una parentesi, un esperimento e che torneranno. Senza farsi schiacciare dai loro stessi strumenti, senza bisogno di appigli pulsionali e scansioni ritmiche così rigide, senza dare l’impressione di essersi persi nei confini netti di strofa-ritornello.

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Sigur Ros: in streaming l’integrale del nuovo Kveikur

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Da oggi è possibile ascoltare in streaming l’ultima fatica dei Sigur Ros, Kveikur.
L’intero album in ascolto gratuito si trova sul sito della band. Buon ascolto!

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Cabeki – Una Macchina Celibe

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Cabeki è compositore d’altri tempi, uno di quelli che riesce a concepire la musica anche senza il bisogno di un testo letterario che supporti il significato. I brani di questo lavoro, Una Macchina Celibe, sono tutti quadri di pura musica strumentale, che si susseguono senza soluzione di continuità in un unicum guidato solo dal programma, per usare un termine più vicino alla musica colta che a quella Pop, esplicitato nei titoli. Frasi ispirate al dadaista Alfred Jarry, con frequenti riferimenti alla tecnologia, che, a dire il vero, forniscono più suggestioni che spiegazioni. Come del resto è giusto che sia.

L’intro orchestrale e arioso di “Se Quest’Uomo Diventasse un Meccanismo”, aleatorio nella scansione temporale e impalpabile, con un rimando immediato ai Sigur Ros, lascia spazio a chitarre acustiche rese caldissime dalla percezione dello scorrimento delle dita sul manico dello strumento. “Il Necessario Ritorno” è prepotentemente cinematografico, un omaggio a Nino Rota, con uno sguardo oltralpe alle composizioni di Yann Tiersen. La terza traccia, “Verso il Ronzio Remoto”, è una delicata e didascalica composizione in cui la chitarra, ancora una volta, spadroneggia con echi della sua tradizione classica. “Di un Ingranaggio Che si Perde” arriva da lontano e sa di Medioriente, a tratti Rock, mentre sembra il Sud l’ispirazione di “Fra Elettrodi di Seta Blu” e l’estremo oriente invece pare guidare idealmente “Negazioni che si negano”, seppure i cori ariosi che seguono immediatamente l’introduzione, suggeriscano ispirazioni carioca. Cabeki ci accompagna in un viaggio che è geograficamente orientato e che lascia trapelare tutta la gamma emozionale che il cammino porta con sé, come nel caso del tono riflessivo di “Alla Banalità di un Valore” o dello smarrimento psichedelico -e molto didascalico considerato il titolo- di “La Bellezza Pura e Sterile Della Semplice Ruota”. “La Diapositiva si Ricorda” richiama i Beirut e i Mogwai, mentre “L’Ultimo Degli Uomini” allontana nuovamente la percezione ritmica per concentrarsi tutta sulla melodia, strizzando l’occhio con veemenza a Ennio Morricone. Un disco per tutti, elegante, raffinato e mai scontato, veramente da sentire.

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Rockambula propone i Festival dell’estate e intervista Costello’s per il Pending Lips Festival

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Quest’estate fatti un giro rock, invece della solita vacanza al mare; leggi Rockambula e scegli il Festival che fa al caso tuo. In quest’articolo la nostra redazione propone i migliori festival in giro per la penisola e non solo. In più un esclusiva intervista a Simone Castello della Costello’s booking agency. Buona lettura e buone vacanze!!!

La musica e la cultura stanno attraversando un periodo poco felice e, spesso sotto il gioco di continui tagli e difficoltà, faticano a crescere se non addirittura a sopravvivere. I piccoli scompaiono e i grandi annaspano. Il quadro che si delinea farebbe scoraggiare anche i più impavidi, ma per fortuna ci sono realtà  che giornalmente resistono a questa “guerra silenziosa” . L’obiettivo di queste righe è di raccontare brevemente una di queste esperienze, e in particolare una che tocca da vicino il mondo dei festival. Il tema è molto ampio e in questa sede non pretendiamo di realizzare un’analisi esaustiva del fenomeno, ma dare visibilità a un piccolo spaccato di capitani coraggiosi. Risponderà alle domande Simone Castello della Costello’s Booking e Management, un’agenzia di servizi che opera nel mondo della musica e degli eventi, da qualche anno punto di riferimento per le realtà musicali del territorio milanese, con un focus specifico rivolto alle band emergenti. La Costello’s si occupa dal 2011 della direzione artistica del Pending Lips Festival,  rassegna per band emergenti che si tiene a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Innanzitutto ringraziamo Simone e la Costello’s per la disponibilità concessaci e iniziamo con le domande.

La Costello’s è una piccola realtà che riesce a essere cuore pulsante per alcuni eventi e rassegne sul territorio di Sesto San Giovanni e di Milano; vorresti raccontarci brevemente cos’è il Pending Lips festival, la sua storie e come è nata l’esigenza di realizzare una rassegna musicale?
Pending Lips Festival è nato a fine 2011 grazie a noi di Costello’s, ad Arci La Quercia, a Il Maglio e all’Assessorato alle Politiche Giovanili di Sesto S.G. supportato dall’Informagiovani. L’esigenza da parte nostra era di dare vita a un progetto che rispondesse a esigenze concrete e contemporanee di chi suona in un gruppo emergente indipendente. L’esperienza maturata negli anni ci ha aiutato nell’analizzare in che modo potesse avvenire tutto ciò. Pending Lips è venuto alla luce dopo aver pensato nei minimi particolari (dalla composizione della giuria, alla modalità di svolgimento, ecc..) a come creare un contesto innovativo, fertile e piacevole. La formula creata si è dimostrata decisamente vincente e le prime due edizioni ci hanno regalato grandi soddisfazioni. Alcuni dei gruppi che hanno suonato al Pending Lips hanno firmato poco dopo la loro apparizione con importanti etichette e operatori di settore (ad esempio l’anno scorso i MasCara dopo aver partecipato hanno firmato un contratto discografico con Eclectic Circus/Universal, i We, the Modern Age quest’anno con Ghost Records e, sempre quest’anno, Il Rumore Della Tregua ha cominciato a collaborare con Ja.La Media Activities).

Siamo consapevoli del contesto attuale e delle difficoltà che si incontrano, che anche i grandi festival patiscono. In base alla tua esperienza, quali sono le difficoltà maggiori in cui ci si imbatte nell’organizzazione di un evento di questo genere? Milano rappresenta ancora una piazza privilegiata per numeri e possibilità rispetto al resto dello stivale?
Penso che la difficoltà più grande sia legata al fatto che oggi la musica live non ha più l’appeal che poteva avere fino a qualche anno fa. Certo poi ci sono le “banalità” legate ai costi, alla burocrazia, ecc ecc… ma per quanto mi riguarda passano in secondo piano. Nel momento in cui si riesce a coinvolgere il pubblico, il resto in qualche modo si sistema. Pending Lips si svolge interamente a Sesto S.G., che è alle porte di Milano, e ottimamente collegata. In questo senso non so quanto Milano però possa essere considerata una piazza privilegiata rispetto al resto d’Italia. Gli eventi con musica live emergente che funzionano a Milano sono quasi sempre più legati ad aspetti “modaioli” che alla musica in sé (che se è la modalità per far sì che i locali che fanno musica dal vivo continuino a fare il loro, ben venga. Ieri gli hippies, oggi gli hipster?…)

Un festival è qualcosa di prettamente fisico, reale, che si sente e si vede. Che valore ha una rassegna come il Pending Lips in un contesto come quello attuale, nel quale stiamo assistendo a una smaterializzazione dei supporti a favore di uno scenario dominato da dischi virtuali e social network?
Penso che proprio la contemporaneità, insieme alla gratuità e alla direzione artistica, sia stato il valore aggiunto che Pending Lips ha portato con sé in queste due edizioni. Si è creata una rete di collaborazioni che ha garantito al festival (e di conseguenza alle band che vi hanno partecipato) sempre maggiore visibilità e che, come detto, ha dato buonissimi frutti. Come già detto, il nostro intento era quello di creare un contesto molto fertile e il più possibile al passo con i tempi e con la situazione della musica al giorno d’oggi.

Un festival è fatto in primo luogo da musicisti. Vorresti raccontarci qualcosa sul rapporto che si instaura con le band e soprattutto come è strutturata la fase di contatto e reclutamento delle stesse?Per la prima edizione il reclutamento è avvenuto principalmente contattando in prima persona band che conoscevamo già. La seconda edizione invece, grazie anche all’apporto dei quasi 20 media-partners che abbiamo costruito, ha ricevuto più di 300 moduli d’iscrizione. I gruppi sono stati ascoltati uno per uno da 5 persone della direzione artistica di Costello’s. Non è stato facile; sono numeri davvero importanti che dimostrano quanto sia stata significativa la crescita del Pending Lips in un solo anno e quanto sia stato importante compiere sforzi per realizzare anche questa edizione. Il rapporto con i gruppi che hanno partecipato alle due edizioni è sempre stato di collaborazione e di stima reciproca. La cosa più bella che ho notato è proprio la partecipazione che si è creata durante le serate. Band che suonavano in una serata si presentavano ad assistere alla successiva. Forse, almeno tra chi suona, rimane ancora viva la curiosità, la voglia di appartenere a un movimento che possa essere stimolante e appagante, la musica insomma.

Un festival per essere un buon prodotto dovrebbe avere alcune caratteristiche imprescindibili, secondo te quali sono le cinque che una rassegna  deve assolutamente avere per essere considerata di altro livello? E soprattutto dicci un buon motivo per venire a vedere il Pending Lip festival…
Le scrivo di pancia, magari rileggendo tra qualche giorno mi verrà in mente altro:

1) Una buona idea

2) Competenza

3) Passione

4) Una buona location

5) Uno staff preparato

Penso (spero che chi c’è stato sia d’accordo) che il Pending Lips abbia tutte e 5 queste caratteristiche. Spot: “Hey amici, da oggi ci sono almeno 5 buoni motivi per venire il 4 Giugno al Carroponte ad assistere alla serata con i Diaframma con le aperture affidate ai due gruppi che hanno vinto grazie alla giuria popolare il contest: Vulvatron e JJ LaMorve. Parola di Costello’s”. Dopo questa perderemo tutto il potenziale pubblico che sarebbe venuto.

Siamo alla conclusione di questa piccolo viaggio all’interno della tua esperienza, vorresti Raccontaci il tuo “ momento migliore” durante il percorso del Pending LIps?In realtà sono state tutte serate davvero splendide… Vedere così tanta gente presente a serate con gruppi emergenti, sentire la partecipazione e la voglia di esserci, è sempre magico.Se devo trovare un momento in particolare penso che sia stato il giorno antecedente la prima serata dell’ultima edizione. Tanta emozione, tanta vicinanza e supporto, tanta voglia di ripartire. Un piccolo “miracolo” di questi tempi.

Il quadro che emerge da questa testimonianza delinea un stato dell’arte complesso, fatto di alti e bassi, che richiede passione impegno e dedizione. Fare musica e occuparsene obbliga a continui sforzi e a una costante ricerca di mezzi, di idee, di buone strategie, di conoscenze. Le band emergenti in Italia, come in altri paesi, non mancano, e le manifestazioni che si tengono in tutta Europa ne sono un esempio, ma spesso non si riesce a creare un corrispondente alone culturale e di crescita che accompagna questi eventi. L’ascoltatore dovrebbe poter essere più consapevole di quello che sta fruendo, del lavoro sotterraneo di molti e del valore che anche un piccolo festival può avere per band e artisti. I gruppi, da canto loro, devono offrire il meglio in termini di qualità, di energia, di emozione. Insomma: un implicito contratto, fatto soprattutto di reciprocità. Tra alti bassi, festival che vanno e festival che vengono, cerchiamo ora di passare in rassegna cosa succede da noi e all’estero.

 

A Perfect Day Festival
LOCATION:Villafranca di Verona (VR)
DATE:Dal 30 Agosto al 01 Settembre
LineUp: Primal Scream, Bastille, Wmerch Andise, Bloody Beetroots, Salmd, Tre Allegri ragazzi Morti, The XX, Editors
VOTO: 4

Arezzo Wave Love Festival
LOCATION:Civitella in Val di Chiana
DATE:Dal 12 al 14 Luglio
LineUp:UNHEIMLICH!, Avast, Subwayundersea, Emmecosta, Matteo Toni, Catch a Fyah, Boxerin Club, Ansomia, le Cpare a Sonagli, Swordfish Project, Blues Ash of Manaìhattan, Invers, Plof, B:Due, la Rappresentante di Lista, Etruschi From Lakota, in Medias Res, Soul Sailor & the Fuckers, Beautiful Bunker
VOTO: 3,5

Asti Musica
LOCATION:Asti
DATE:Dal 09 al 24 Luglio
LineUp:Ginevra di Marco, Area, la Fame di Camilla, Emma, Zen Circus, Goran Bregovic, Banco del Mutuo Soccorso
VOTO: 2

Bilbao BKK Live
LOCATION:Bilbao
DATE:Dal 11 al 13 Luglio
LineUp:Depeche Mode, Editors, Kings of Leon, Mark Lanegan Band, Green Day, Vampire Weekend, Fat Boy Slim
VOTO: 3,5

Carroponte
LOCATION:Sesto San Giovanni
DATE:Dal 29 Maggio al 12 Agosto
LineUp:il Teatro Degli Orrori, Diaframma, Neffa e molti altri
VOTO: 5

City sound
LOCATION:Milano
DATE:Dal 10 Giugno al 28 Luglio
LineUp:Killers, Mario Biondi, Toto, Korn, Motorhead, National, Iggy and the Stooges, Wu Tang Clan, Skunk Anansie, Atoms for Peace, Deep Purple, Santana, Blur
VOTO: 5

Collisioni Festival
LOCATION:Barolo (CN)
DATE:Dal 05 al 09 Luglio
LineUp:Jamiroquai, Gianna Nannini, Elio e le Storie Tese, Tre Allegri Ragazzi Morti, Marta sui Tubi, Fabri Fibra, Elton John
VOTO: 5

Festival di Villa Arconati
LOCATION:Bollate (MI)
DATE:Luglio
LineUp:Sinead O’Connor, Goran Bregovic, Daniele Silvestri, Francesco de Gregori, Mark Lanegan Band, Orquesta Buena Vista Social Club
VOTO: 3

Festival Strade Blu
LOCATION:Faenza
DATE:Dal 25 Aprile al 21 Giugno
LineUp:Lee Ranaldo and the Dust, Lambchop
VOTO: 3,5

FIB
LOCATION:Benicassim (Spa)
DATE:Dal 18 al 21 Luglio
LineUp:Queens of the Stone Age, Beach House, Beady Eye, Primal Scream, Artic Monkeys, Kaiser Chiefs, Miles kane, Killers, Jake Bugg, Black Rebel Motorcycle Club
VOTO: 4

Fuori Luogo Festival
LOCATION:San Damiano d’Asti
DATE:Dal 14 al 16 Giugno
LineUp:Aart Heering, Abdelkader Benali, Carlo Bordone, Kings of the Opera, James Walsh, Peter Murphy, Smoke Fairies, fabrizio Cammarata, Anna Viola, Davide de Martis, Turin Brakes and more…
VOTO: 4

Lucca Summer Festival
LOCATION:Lucca
DATE:Dal 6 al 27 Luglio
LineUp:Leonard Cohen, Nick Cave & the Bad Seeds, Killers, Mark Knopfler, Renzo Arbore, Neil Young, Litfiba, Thirty Seconds to Mars, Sigur Ros
VOTO: 3

MIAMI
LOCATION:Milano
DATE:Dal 7 al 9 Giugno
LineUp: Linea 77, Di Martino, Sadside Project, Bachi da Pietra, Gli Ebrei, Verbal, Bot, Riva Starr, Jennifer Gentle, HardCore Tamburo, Dumbo Gets Mad, New Ivory, at the Weekends, Selton, Amari, Phill Reynolds, Appino, Patty Pravo, Giardini di Miro’, Cosmo, Vanity, Wildmen e molti altri
VOTO: 4

Reading Festival
LOCATION:Reading (UK)
DATE:Dal 23 al 25 Agosto
LineUp:Green Day, System of a Down, Deftones, Bring me the orizon, Skindred, Eminem, Chase and Status, Foals, White Lies, Biffy Clyro, Nine Inch Nails, Fall Out Boy, Lumineers, Editors
VOTO: 4,5

Rock in Roma
LOCATION:Roma
DATE:Giugno/Luglio
LineUp:Green Day, Killers, Toto, Korn, Iggy and the Stooges, Max Gazzé, Rammstein, Arctic Monkeys, Bruce Springsteen, Mark Knopfler, Smashing Pumpkins, Mark Lanegan Band, Atoms for Peace, Ska-P, Deep Purple, Zucchero, Daniele Silvestri, Neil Young, Sigur Ros, Blur
VOTO: 4

Roma Incontra il Mondo
LOCATION:Roma
DATE:Giugno/Luglio
LineUp:Cocorosie, Steve Vai, Modena City Ramblers, Almamegretta con Raiz, Il Teatro Degli Orrori, Giuliano Palma, Neffa, Miss Kittin, Alborosie, Officina Zoe’, Apres la Classe, Elio e le Storie Tese, Kinks of Convenience, Sud Sound System, Intillimani, Skatalites
VOTO: 3,5

Sexto’nplugged
LOCATION:Sesto al Reghena (PN)
DATE:Luglio
LineUp:Loca Natives Villagers, Of Monsters and Men, MùM, Ane Burn, Rover
VOTO: 3,5

Sherwood
LOCATION:Padova
DATE:Dal 12 Giugno al 12 Luglio
LineUp:Marta sui Tubi, Modena City Ramblers, NOFX, Motel Connection, Ministri
VOTO: 3

SoloMacello Fest
LOCATION:Milano
DATE:26 Giugno
LineUp:Red Fang, Karma to Burn, in Zaire, Wrust, Fuzz Orchestra, Nero di Marte, Zolle, Black Moth
VOTO: 2,5

Southside Festival
LOCATION:Neuhausen ob Eck (GER)
DATE:Dal 21 al 23 Giugno
LineUp:Rammstein, Queens of the Stone Age, Arctic Monkeys, paul kalkbrenner, Sigur Ros, Portished, Smashing Pumpkins, Ska-P, National, Editors, NOFX, Hives, Kasabian, Gogol Bordello
VOTO: 4,5

Strummer Live Festival
LOCATION:Bologna
DATE:Dal 3 al 5 Luglio
LineUp:Goran Bregovic, Manu Chao, Modena City Ramblers, Alborosie, Africa Unite
VOTO: 2

Sziget
LOCATION:Budapest
DATE:Dal 5 al 12 Agosto
LineUp:Alex Clare, Azealia Banks, Blur, David Guetta, Die Arzte, Editors, Seeed, Ska-P, Skunk Anansie, Biffy Cliro, Mika, Nick Cave and The Bad Seeds, Bat For Lashes, Everything Everything, Flogging Molly, Afterhours, Bad Religion, !!!, Peter Bjorn & John, Editors e molti altri
VOTO: 4

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Ascolta Ísjaki, il nuovo singolo dei Sigur Rós

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Si intitola “Ísjaki” il terzo e nuovo singolo estratto dall’album Kveikur, in uscita il prossimo Giugno per la XL Recordings. I Sigur Rós hanno messo a disposizioni il nuovo brano sulla loro pagina ufficiale insieme ad un video cupo contenente anche il criptico testo della canzone. Il download di “Ísjaki” è già disponibile per chi effettuerà il preordine di Kveikur su Itunes.

 

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Droning Maud – Our Secret Code

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C’è voluto del tempo, c’è voluto il tempo necessario, i Droning Maud registrano ufficialmente il loro disco d’esordio Our Secret Code. Se ricordate le loro precedenti produzioni  Promo (2007) e The World of  Make Believe (2008) cercate di dimenticarle, non vi serviranno assolutamente da esca per l’ attuale lavoro in promozione, negli anni ci sono stati cambiamenti di line up, sperimentazioni sonore e fortunati incontri artistici che hanno dato vita ad una band completamente rigenerata nel sound e nella mente. Adesso è il tempo di Our Secret Code, è tempo di una nuova vita. Hanno conservato quella vena New Wave Post Rock di matrice nettamente britannica, i toni si abbassano e la produzione dei Dronig Maud prende strade Shoegaze con punte avvelenate di elettronica. Poi lo zampino dell’ormai sempre presente Amaury Cambuzat impreziosisce e di molto l’importanza del disco ( prima di questo vengo dall’ascolto di Oslo Tapes quindi le affinità riesco a sentirle tutte nonostante il risultato prenda strade diverse), le soluzioni sanno di freddi paesaggi incontaminati come la musica dei Sigur Ròs se proprio dobbiamo cercare un paragone (e che paragone) plausibilmente valido e preciso, senza dubbio dobbiamo lasciare da parte la musica italiana per entrare a stretto contatto con Our Secret Code. Le chitarre viaggiano incontrastate verso l’ignoto manipolando le menti di chi vorrebbe seguire l’esecuzione con attenzione, le ritmiche (senza basso) dettano tempi degni degli ultimi Radiohead, un continuo picchiare dritto e lineare con improvvise sterzate. La voce si amalgama al tutto giocando molto di squadra, intuizioni elettroniche non fanno mai sentire il vuoto sotto la struttura. Un disco pieno e deciso quello arrangiato dai Droning Maud, la volontà di avere tra le mani un prodotto esclusivo di cui andare fieri senza strani pensieri per la testa.

Un album pulito nei suoni con forti dosi di rock all’avanguardia, pezzi come “Nimbus” rendono molto bene l’idea di un lavoro comunque sia molto variegato nelle soluzioni sonore, uno studio valido e l’esperienza non fanno arrancare mai a fatica i Droning Maud lanciati a tutta velocità. Poi ci sono pezzi come “Ghost” che rendono leggera l’aria intorno, le chitarre girano e rigirano come fossero maledette da una profezia, l’intenzione surreale de Our Secret Code è subito chiara, non lasciare la ragione a chi si dedica all’ascolto del disco. Anche questa volta mi trovo a elogiare una band dai suoni nettamente nord europei, quasi come fossimo a corto di un identità italiana, come se non fossimo in grado di permetterci una propria e definita personalità al di fuori del cantautorato. I Droning Maud conoscono la ricetta della felicità artistica e registrano un album sopra le righe della decenza, maturo e completamente godibile in ogni sua sfumatura. Dieci pezzi che non mi metto qui a citare tutti sullo stesso livello compositivo, voglio invitare all’ascolto ripetuto de Our Secret Code per far cogliere le infinite scelte presenti, più si ascolta e più vengono fuori cose nuove e maledettamente belle. Una band che trova la propria maturità artistica non perdendo comunque l’entusiasmo della prima volta. Un disco che sinceramente ci voleva proprio.

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