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L’Officina della Camomilla, nuovo disco e tour

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L’atteso 4° album de L’Officina della Camomilla previsto per il 4 marzo con Garrincha Dischi s’intitolerà: Palazzina LibertyPalzzina Liberty, dopo la trilogia Senontipiacefalostesso, è il primo disco di soli inediti in cui Francesco De Leo ritorna alle origini scrivendo, arrangiando, suonando e producendo in solitaria l’intero disco.
Palazzina Liberty è: “violenza, droga, ecomostri, suicidi, decapitazioni, fiori pericolosi, rapimenti, rituali occulti. È un’umanità allo sbando senza punti di riferimento arrivata al suo capolinea. Palazzina Liberty è un apocalisse“. (Francesco De Leo)

Palazzina liberty in tour:

venerdì 08 aprile – Genova – La Claque
giovedì 14 aprile – Roma – Teatro Quirinetta
venerdì 15 aprile – Santa Maria a Vico (Ce) – Smav
sabato – 16 aprile Palermo – I Candelai
venerdì 22 aprile – Torino – Cap10100
sabato 23 aprile – Segrate (MI) – Magnolia
domenica 24 aprile – Pordenone – Deposito
sabato 30 aprile – Livorno – The Cage

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Officina della Camomilla – Senontipiacefalostesso

Written by Recensioni

Quando ti sei fatta la fama di smonta-cd a forza di rifilare dei 2 e invece inizi a ricevere dischi veramente pregevoli, aspetti l’inversione di tendenza da un momento all’altro. Non è ancora arrivata l’ora di ricominciare a sbuffare e storcere il naso e faticare per arrivare al fondo di un album, però, perché mi arriva questo irriverentissimo Senontipiacefalostesso, creatura dei milanesi Officina della Camomilla. Un ascolto solo e già li si ama per la loro abilità nel mal celare volontariamente tutta la profondità di cui sono capaci. Amore, disillusione, solitudine metropolitana e quella costante sensazione di asfissia dell’uomo soffocato da se stesso, sia psicologicamente, sia concretamente, tra l’architettura urbana che non ha nulla a misura d’uomo, questi ragazzi ci offrono canzoni in cui si parla di una bruttezza preconfezionata, venduta e servita come bellezza. Fanno i punk e piaceranno anche agli hipster. Il disco si apre con sonorità alla Strokes, con echi di quei gloriosi Sixties che per noi hanno un sapore così fresco e pop, che tanto emerge in “Dei Graffiti al Mercato Comunale” e in “Morte Per Colazione” e il suo eco geghegé e la frase, che colpisce per gli accostamenti, «Nell’azzurro dei cazzi miei». La scanzonatura prosegue in “La Tua Ragazza Non Ascolta i Beat Happening” (con quel «Siamo pieni di droga la la la la» che tradisce una sofferenza sociale profonda, affrontata con un’ironia graffiante resa ancora più densa dalla lallazione non sense, che invece che alleggerire il tutto fa scuotere la testa). “Agata Brioche” è quasi Folk, con un certo gusto francese per le sonorità, che si riscontra anche in “Un Fiore Per Coltello”, con molti riferimenti testuali pop (da Monica Vitti al Walkman, dal frigorifero ai quadri di piante) e autoreferenziali, in cui l’autore dice di ascoltare musica orrenda, di ribaltare i poeti e di non avere voglia di vedere nessuno, in una romantica ricerca di rifugio nella solitudine. “Città Mostro di Vestiti” è, invece, un divertissement con un’introduzione pianistica che ricalca un carillon, mentre in “Lulù Devi Studiare Marc Augé” la de-identificazione dell’individuo moderno è richiamata dall’antropologo maestro del Nonluogo, che distingue spazi realizzati intorno all’uomo e spazi, al contrario, che non hanno nessun riferimento storico, nessuna funzione aggregativa, nessuna particolare identità. Torna il rock’n’roll anni ’60 in “Le Mie Pareti Fluorescenti di Nord-Africa”, che cede di tanto in tanto il passo a una marcia, in stile Beatles. Il degrado urbano è il protagonista di “La Provincia Non è Bella da Fotografare”, mentre squisitamente Punk adolescenziale è “Ho Fatto Esplodere il Mio Condominio”. “Pegaso Disco Bar” inizia con uno sfruttamento del rumore alla Sonic Youth che cede il passo in breve a sonorità liquide, con un cambio di ritmo che diventa pesante e dilatato. “Ti Porterò a Cena Sul Braccio di Una Ruspa” ironizza sull’amore, sui ruoli, sulle convenzioni sociali ne rapporti di coppia, mentre la traccia di chiusura “Senontipiacefalostesso”, che nulla ha a che vedere col titolo, è una ballata tradizionale con tanto di archi, una sorta di delicata confessione sentimentale («Ti ho sempre chiamata, senza sapere il tuo nome»). Nessun lamento sterile, nessun compianto, nessuna autocommiserazione. In tutto il kitsch che viene descritto nel disco, in tutta la disillusione che porta a desiderare la solitudine in cui in fondo già si è, si sente una voglia di vivere con un’energia genuina e un’attitudine Punk che non cede mai, però, alla volgarità gratuita, alla provocazione tout court come negli ultimi esiti nostrani del genere (e mi riferisco al Management del Dolore Post-Operatorio). Ascoltatevi questi Officina della Camomilla perchè meritano davvero un po’ del vostro tempo.

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