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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #11.11.2016

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #16.09.2016

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Elya – Il Mio Canto è Questo Rock

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Poesia e rabbia nel nuovo disco del cantautore Elya. Un lavoro maturo che arriva a piantarsi come una pietra miliare nel cammino artistico di uno spirito fedele alla linea del rock d’autore. Sei brani aperti dalla hit “Il Mio Canto è Questo Rock”. Pezzo di pura espressione vocale dove il cantautore riesce a trasmettere a pelle, complice anche un testo ben calibrato, la sua carica emotiva. Capacità espressiva legata a sonorità ritmiche, calde e sempre incalzanti anche nel secondo brano, “La Luna Ora lo sa”. Più riflessiva e melodica la terza traccia “Ci Sei tu”, che denota ancora una volta, la buona fattezza dell’intero disco. Ottimi arrangiamenti e tanta cura che per l’ascoltatore, diventano un vero e proprio marchio di fabbrica. Un risultato forte, ottenuto dalla produzione artistica curata da Fabio Pignatelli, storico bassista dei Goblin earrangiatore dei maggiori cantautori italiani fra i quali Antonello Venditti. Un valore aggiunto che si somma alle collaborazioni di Toti Panzanelli (chitarrista – Ferro, Concato, Pravo, Venditti), di Alessandro Canini (batterista e produttore artistico – Fabi, Gazzè, Mengoni, Venditti) e di Fabio Colella (batterista -Molinari, Bosso, Neil Zaza). Collaborazioni arricchite dai preziosi contributi di composizione ottenuti da Elya e da Giuseppe Ferroni. Duo che insieme agli arrangiamenti di Pignatelli hanno dato vita anche alla quarta traccia “L’Incantanta”.Pezzo che parte da una rivisitazione di un antico canto della zona della città dell’Aquila, per diventare un invocazione d’amore, quello vero, che va oltre l’apparenza del corpo e del viso. Unione d’anime scolpite in poco più di tre minuti e mezzo da una ritmica coinvolgente e da un canto ispirato ed emozionante. Nel disco c’è anche spazio per una composizione di Beppe Frattaroli (compositore – Turci, Tosca e collaboratore musicale di Paola Gasmann, Montesano, Pagliai). Ritmi cadenzati nella quinta traccia: “Capita Anche a te”. Un messaggio a non lasciarsi andare e non smettere di inseguire i propri desideri. Chiude il disco, ma solo per il tempo di ricominciare l’ascolto, una riuscita cover di “Quanto t’Amo”di Johnny Hallyday scritta in italiano da Bruno Lauzi. Elya ha voluto che il ricavato ottenuto dalla distribuzione del disco venisse devoluto alle Missioni Francescane del Burkina Faso in Africa.

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Divine Fits – A Thing Called Divine Fits

Written by Recensioni

Tre nomi che nel circuito alternative Americano dicono molto. Dan Boeckner (Wolf Parade), Britt Daniel (Spoon) e Sam Brown (New Bomb Turks)  danno vita ad una nuova combinazione sonora che prende il nome Divine Fits e “A thing called divine fits” ne è il logico debutto discografico, disco che scava nell’elettro-rock con brani stuzzicanti, cantati con il tic wave e suonati con piglio robotico, angoloso e di rimando Ottantiano, una tracklist dall’effetto sorprendente che sforna – a ritmo convulso e  spasmodico – una personalissima originalità che regala punti a molti.

Non si sostituisce nulla di dimissionario, solamente una voglia matta di creare un “passato per il futuro”, ripercorrere storie, suoni e caratteristiche di una epoca seminale, portando a bordo le “fantasmerie” lussuose di Talkings HeadsFor your heart”, nuvolette di Bolan Baby  get worse”, il Duca BiancoMy love is real”, “ Whats gets you alone”,  e tutte le dominose sonorità mid-disco e rock piene di energia, glam e ricordi a go-go; un progetto questo dei tre musicisti che è già un fenomeno conclamato ovunque – forse qualche imprecisione nell’intelaiatura generale – ma è la spinta generale ha farla da padrona, ed allora tutto quello che viene è roba fine, roba su cui ballarci sopra è un bel gioco ringiovanente e tonicizzante.

Loro le liriche e l’ordito totale, una tracklist “mossa” al cento per cento che non da pace a muscolarità allenate e da incubi a giunture anchilosate, ma sono soprattutto gli episodi “lounge” a prendersi tutto per loro l’interesse dell’ascolto quando si giunge a metà scaletta, quelle ballate pop.field che rispondono al nome di “Civilian stripes” e “Shivers”, due rubini sonori messi a far riprendere fiato da tanto affanno dance  e che impreziosiscono in surplus il già apprezzabile risultato di tutto il resto. Ma forse il bello di questa nuovissima triade deve ancora venire, per il momento in cui ascoltiamo questo bel giro di sonorità vintage, il futuro del passato pare già arrivare e non “ascoltiamo” l’ora di veder arrivare un nuovo disco che – come crediamo – spiazzerà ulteriormente la scena internazionale come pochi. Garantito!

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