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Ilenia Volpe – Radical chic un cazzo

Written by Recensioni

Non sembrerebbe, ma la cantautrice romana Ilenia Volpe  è un bel dettaglio “dell’altra metà del cielo”, anche se il suo essere donna fa terrificante massa tra amplificatori devastanti, pugni nello stomaco e una poetica malata, nervosa, piena di sensualità storta; “Radical chic un cazzo” è il suo debutto ufficiale, sebbene la sua abilità a prendere fuoco nell’arte dei live, è cosa da manuale in ogni dove, un disco teso e dolce, prodotto da Giorgio Canali – che ne colora alcune atmosfere – e Diego Piotto, un undici tracce che impressionano il calendario di anni novanta mai andati via veramente, neppure un istante, quella finta assenza che di bordate grunge, picchi di hard-metal e prodigi di gioielli mid-acustici rarefatti, ne riportano l’urgenza ed il tenerume tutto per intero.

Non è un cattivo auspicio il titolo, ma è quanto promette e mantiene questa elettrintrigante artista romana che va ad inserirsi tra quelle figure rockeurs fragili “con le ali di metallo e acciaio”, quell’arte al femminile che divora le febbri della Courtney Love esasperata e una PJHarvey in collisione con l’anima, la parte nobile delle The Breeders con il concetto sussurrato d’ampere alla Claudia Fofi, fradicia anche della lirica Canaliana che ne costruisce le ritualità e l’immagine sentimentale verticale; aria e asfissia, buio e luce, deliri reali ed incubi vissuti, sono le prerogative primarie che girano nelle vene di questo disco stupendo, anche due cover “Fiction” del Santo Niente ed il brivido in acustico de “Direzioni diverse” del Teatro degli Orrori prendono parte a questo baccanale d’amore e tragedia di watt, poi quello che rimane a colpire nella tracklist è un attacco ai sensi ed all’esistenza riflessa.

Chitarre d’ aria “Mondo indistruttibile”, “La croci-finzione” e di fuoco “Prendo un caffè con Mozart”, “Indicazioni per il centro commerciale”,  ossessioni lancinanti “La mia professoressa di italiano”, il senso ripetuto di un vomito interiore di rabbia  “Le nostre vergogne” fino al pathos irraggiungibile di un cielo al contrario dentro il quale si muove la leggiadria eterea virtuale di una Ginevra Di Marco che si esalta con il plumbeo di una MannoiaPreghiera”, tutto ci rimanda, attraverso lo sviluppo di questo sentire, ad un demone sulla nostra spalla, a quelle produzioni linfatiche che non utilizzano nessuna forma di tendenza per stupire, uno strepitoso neutralismo da classificazioni che la Volpe ed i suoi blasonati scagnozzi gestiscono alla perfezione come un vento gelido sulla fronte.

Semplicemente bello.

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