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Aa. Vv. – Brescia C’è New Generation

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Prima di ascoltare un qualsiasi disco Punk (e derivati) italiano, soprattutto, bisognerebbe comprendere da che parte si sta. Non è cosa intelligente frazionare il mondo e ogni aspetto che lo contraddistingue, in categorie fatte di opposti eppure, in questo caso, dobbiamo captare se è e sarà nostra intenzione schierarci tra le fila dei nostalgici anni 70, convinti che il Punk sia morto ormai da anni e con esso le illusioni di ribellione e cambiamento oppure tra quelle di chi è convinto che in realtà il Punk, interpretato più come condizione mentale che come stile musicale, non sia mai morto e anzi sia impossibile da sopprimere, almeno finché ci saranno giovani ancora capaci di sognare e di opporsi. Una compilation come Brescia C’è New Generation può essere seguita senza pregiudizi solo da questi ultimi, cosa che non indica necessariamente dover essere ammaliati dalla musica che contiene. Del resto, il valore delle raccolte è circa lo stesso di quello che avevano tempo fa, quando erano allegate alle riviste, o ancor più in là negli anni, quando erano utili a mettere in mostra una marea di emergenti nel minor spazio fisico e uditivo possibile. Del resto, è più facile scoprire una qualsiasi nuova promessa attraverso queste trovate che non ascoltando intere discografie di band trovate a caso sul web, col problema anche di dover stanare, scrutare e sporcarsi le mani. Chi fa un lavoro come il nostro non ha complicazioni ma per un pubblico sempre più impigrito dalla “velocità” del web, scovare la next big thing rischia di diventare un’impresa inverosimile.

Ecco allora che Brescia C’è New Generation acquisisce un valore moderno per certi versi, anche se vecchio come la musica stessa nella realtà dei fatti. L’idea fondamentale è quella di mettere insieme ventidue band in ascesa o comunque non troppo note nel resto dello stivale, così da dare la possibilità a un pubblico più ampio possibile di farsi un’idea di quello che è lo stato di salute delle scene emergenti italiane, nel caso di uno specifico territorio e magari svestire qualche formazione degna di considerazione. A essere sinceri non c’è da aspettarsi molto a osservare l’estetica di artwork e libretto (comprensibilmente inesistente) ed anche la qualità non avvicina minimamente quella delle migliori uscite internazionali. Brescia C’è New Generation mette invece ancor più in evidenza un grattacapo che si fa sempre più critico e che ho avuto modo di rilevare anche durante diverse manifestazioni, contest, eventi nei quali ho potuto lavorare a stretto contatto con gli indipendenti e gli emergenti. Proprio il concetto d’indipendenza, tanto rivendicato a parole, mai si traduce concretamente in una proposta veramente originale, fuori dagli schemi, qualitativamente eccelsa e non solo sotto l’aspetto tecnico. Forse troppe sono le persone che decidono di provarci e il talento finisce per nascondersi. Non voglio con questo gettare fango sulle tante formazioni di tutto rispetto che compongono la compilation, su tutti i grandi punker Totale Apatia che in realtà poco avrebbero bisogno di farsi notare ancora ma non posso, per onesta intellettuale, negare che non siano molti i nomi veramente sopra la media, nel disco qui trattato. Non è il caso di scendere nei particolari perché la mole dell’opera e i tempi ristretti non coincidono, ma gli unici che forse sarebbe il caso di approfondire, oltre ai già citati Totale Apatia, paiono essere i Micro Touch Magics (Crossover), i French Wine Coca (Alternative Rock), i Coffee Explosion (Garage acerbo ma potenzialmente molto interessante, nella sua capacità di unire epoche lontane), La Cena dei Cannibali (assurdamente genialoidi e anche loro dal potenziale notevole), The Mugshots (evidentemente capaci anche, se il brano proposto non mi ha troppo entusiasmato). Non mancano inoltre band di tutto rispetto, come gli Under a Curse, gli Uprising o i DCP, che però seguono troppo i loro idoli e il loro stile, imitando senza scrupoli anche se non facilitati da generi difficili da rinnovare. Poi c’è chi si è proposto con registrazioni veramente improponibile e di scarsa qualità ma, in questo caso, il discorso sul “mettersi in mostra a tutti i costi” si farebbe troppo lungo e complesso. Meglio tornare ad ascoltare questi ventidue brani, alcuni bellissimi, altri grintosi, molti mediocri, pochi veramente difficili da digerire eppure certamente tutti onesti e fatti con cuore e anima, più di ogni altro brano che possiate aver ascoltato oggi sulla vostra Rds.

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A Maggio il nuovo disco dei Peter Punk

Written by Senza categoria

I Peter Punk, uno dei gruppi più amati del Punk Rock italiano, è tornato più in forma che mai!
Dopo dieci anni l’attesa è finita e la band è già in studio per registrare un nuovo album che al momento prevede 14 tracce. “Il materiale nuovo ci piace moltissimo”, dice il cantante Nicolò.
“Eravamo tutti dubbiosi del rientro in studio, ma il feeling è rimasto e le cose sono subito andate al posto giusto. Sarà un disco nello stile Peter Punk, però in dieci anni cambiano molte cose e questo sul disco si sente indubbiamente”. La band registrerà presso gli studi di registrazione Officine Underground di Montebelluna e avranno l’onore di essere assistiti da un professionista del calibro di Ryan Greene, noto produttore americano che ha lavorato con artisti come Jay-Z, NOFX, Usher, Lita Ford, Strung Out, Megadeth e molti altri. A seguito dell’uscita del disco che si prevede per inizio Maggio sotto catalogo La Grande V Records, la band inizierà un tour di promozione del disco di cui a breve saranno annunciate le prime date.

Un video di qualche tempo fa.
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EUA – Tanto Valeva Viver Come Bruti

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Secondo disco ufficiale per i parmensi EUA, il disco chiamato Tanto Valeva Viver Come Bruti esce addirittura sei anni dopo il precedente. Quattordici canzoni (e sono tantissime) di musica irriverente e demenziale, puro divertimento per scollegare il cervello. Loro si definiscono alfieri del Folk-Punk-Swing. E di questi tempi rendersi leggeri aiuta a superare i problemi con più facilità. E non è poco. “Capolinea” inizia il disco con una simpatia intelligente, testo attuale e ricordo alla teatralità artistica di Giorgio Gaber. Ci sentiamo subito a nostro agio e Tanto Valeva Viver Come Bruti presenta tutte le buone premesse per farsi ascoltare con piacere. Tra l’altro il brano in questione rappresenta il singolo di lancio dell’intero lavoro discografico.

Ritmi caldi e solari in “Extrasistole”, sembra di trasferirsi in in sud America per il clima caldo dei riff. Ballabile. I problemi reali dell’essere umano sono considerati molto nei testi degli EUA, soprattutto la condizione psicologica ripresa in brani come “Ingranaggi”, l’alienazione è il pericolo più grande dal quale bisogna ripararsi, le macchine sostituiscono la manualità dell’uomo ma non possono certamente sostituire i sentimenti. Nei momenti successivi inizio a provare qualche difficoltà nell’ascolto, non riesco a calarmi nella demenzialità con cui vengono affrontati alcuni tipi di argomenti. Avrei preferito testi spensierati ed emotivamente poco coinvolti, non tutti possono essere Enzo Jannacci. Esiste un equilibrio sottile tra serietà e demenzialità, rimanere seri scherzando riesce soltanto ai grandi artisti. In molti casi si rischia di scendere nella banalità più assoluta, una musica piacevole che lascia il tempo che trova. Niente di più. Che poi tecnicamente è suonato egregiamente è un altro discorso. Una svolta verso il piacere arriva durante l’ascolto di “ Decalogo”, colgo molta intimità nel pezzo, qualcosa di diverso rispetto alle precedenti canzoni. “Antimondo” prende vita grazie ad una frase del fisico Stephen Hawking, brano semplice e lineare che strizza l’occhio alla classica musica leggera italiana. E fino a questo momento di Punk ne ho trovato ben poco, ma non posso certo nascondere l’animo festoso della band. “Il Mallo” parla dei sintomi post sbornia, il giorno dopo è letale per tutti, un passo ben tirato nella ritmica con concretezze sonore poco evidenti. Comunque sia divertente. Il kazoo prende il merito della diversità in “La Cena Dei Peracchi”, un basso ben assemblato ma “vecchio” decide i tempi da seguire. Un brano che vuole apparire triste, “Fuori dal Tempo” sembra appartenere a tutt’altro disco. TVVCB si chiude con la cantautorale “Storia”, molto stile Guccini nel cantato, diversamente interessante nonostante non sia nulla di così originale. Ma poi non cercavo niente di originale, avevo bisogno di divertirmi e mi sono divertito se non fosse per un durata complessiva di quattordici pezzi. Una scelta molto pesante, troppa carne gettata nel fuoco. C’è materiale per quasi due dischi distinti anche nel genere. Gli EUA sono stati dei simpatici compagni di viaggio ma subito dopo rimanevo senza la voglia di scherzarci nuovamente. La musica dovrebbe conquistare senza forzature, il secondo disco degli EUA in buona parte sembra essere forzato.

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The Zen Circus – Canzoni Contro la Natura

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Cavalcare sempre la cresta dell’onda non è cosa semplice, soprattutto per una band ormai decennale e con sfracelli di dischi, progetti e collaborazioni alle spalle. Gli Zen Circus dopo un anno di silenzio volontario dedicato ad altre situazioni non mancano l’appuntamento discografico del duemilaquattordici (dove l’Indie italiano d’èlite sput(a)erà dischi a ripetizione) partecipando alla fiera delle uscite con il nuovo Canzoni Contro la Natura. Io sinceramente non ho mai capito cosa la gente si aspettasse dal Circo Zen, non capisco neanche quando venivano considerati questo eccelso prodotto, però capivo che mi piacevano e pure parecchio. Naturalmente il genio non vive eternamente dentro l’indole compositiva di Andrea Appino e compagni, ma una volta entrati nella loro dimensione scanzonata tutti gli altri ascolti che seguono perdono di lucidità. Penso più a Zen Circus come schiaffo all’ipocrisia culturale in Italia. Il precedente disco solista di Appino (Il Testamento) non aveva infiammato il mio cuore lercio da punk invecchiato ma mi aveva così poco coinvolto che quasi non riuscivo a spiegarmi la targa Tenco come miglior esordio. Canzoni Contro la Natura arriva proprio nel momento in cui avevo bisogno di spensieratezza musicale, non mi aspettavo stravolgimenti epocali, sapevo quello che avrei trovato. “Viva” primo singolo estratto dal disco mette subito le cose in chiaro, pezzo semplice e bastardo, il diretto interessato capisce subito quali saranno i compromessi dell’intero lavoro. Un buon lavoro di marketing e il gioco è fatto. Problemi relazionali in “Postumia”, siamo una società incapace di comunicare, un invito a guardarsi negli occhi suonato a  ritmi poco concentrati. “Il futuro me lo bevo per non pensarci” cantano i combattenti del Folk Rock. E anche qui spezzo quindici lance a loro favore. Title Track “Canzoni Contro la Natura” e reggetevi forte perché a parte il basso crepato come meglio non si poteva e un ritornello alla kiwi e melone il resto mi delude assai. L’arroganza degli Zen Circus dove è andata a finire? Pezzo molto potente che perde il controllo, poco istinto e tanta finzione. È destinata a diventare la Hit del disco. Voglia di fare “spessore artistico” in “Albero di Tiglio”, il testo e la voce di Appino prendono tutta la scena di una canzone dai riff mediocri che non lasciano niente di dolce in bocca, innervosisco davanti a questa necessità di sentirsi intellettuali. De Andrè volutamente ricordato in “L’Anarchico e il Generale”, viene subito alla mente “Il Pescatore” anche perché Appino non è affatto nuovo a questo genere di omaggi, già nel suo precedente disco da solista aveva composto il brano “La Festa della Liberazione” ispirandosi fortemente al brano di Dylan “Desolation Row”. Queste trovate artistiche sono da considerarsi perfette per paraculare l’ascoltatore, Appino mi piace. “Mi Son Ritrovato Vivo” è  il classico pezzo sornione alla Zen Circus, ci siamo capiti, niente da aggiungere. “Nessuno regala niente nemmeno l’onnipotente”. Arie Folk che sanno d’Irlanda. “Dalì” puzza di Western e non trovo la collocazione giusta per incastrarla, improbabile riempi disco al gusto di necessità. Non gradisco le forzature. Azzardano molto a fare i cantautori nonostante il risultato giochi a loro svantaggio in buona parte dei pezzi. Questi Zen Circus sono parecchio lontani dagli anni di Villa Inferno con Brian Ritchie, inevitabilmente gli anni passano per tutti e le idee iniziano a mancare. Canzoni Contro la Natura andrebbe preso e scremato per bene e ne uscirebbero fuori due dischi distinti, uno con voto dieci e l’altro con voto due. La media è sei, giusto Prof?

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Revo Fever – Più Forte

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Se dovessi riassumere in tre righe i Revo Fever li definirei la risposta italiana ai Franz Ferdinand con degli inserti alla Ministri e un cantato simile agli Oasis (la voce ha lo stesso timbro di Liam Gallagher!). Rimango quindi quasi incredulo quando leggo che i quattro ragazzi hanno poco più di vent’anni e un curriculum di tutto rispetto composto da due Ep registrati da Federico Dragogna (chitarra e seconda voce dei Ministri), trattasi di Fegato! del 2011 e Il Mendicante/Tutto da Rifare del 2012. Inoltre una grande esperienza live in giro per Milano e provincia li ha portati a condividere il palco con Ministri, Dente, Management del Dolore Post-Operatorio, Tonino Carotone, Lombroso e tanti alti nomi illustri della scena indipendente. Il loro primo disco autoprodotto si chiama Più Forte. Tra le loro influenze citano le aperture (solo quelle?) dei Queens of the Stone Age (provate a fare un paragone tra “No One Knows” e “Tutti i Santi Giorni”…), i riffs dei Black Keys (duo americano ormai affermato a livello mondiale che gode di ottima stima persino in Inghilterra) e l’attitudine Punk acustica dei Violent Femmes (che però di Punk avevano secondo me ben poco).

Pochi quindi i riferimenti italici, ma soprattutto sono pochi gli elementi innovativi presenti nel disco, un altalenarsi di roba buona e roba mediocre (era proprio necessaria una canzone come “Non Chiedermi  Come Sto” all’interno della tracklist?). Meno male che appena dopo averla sentita i Revo Fever riprendono la strada giusta con un one two three four tanto caro ai Ramones e riescono quindi ad arrivare fino alla fine senza particolari problemi. Ok per l’attitudine do it yourself marchio del Punk anni settanta che da sempre caratterizza le scelte della band, la quale ha scritto, registrato, mixato e masterizzato la musica nonché ideato, stampato, piegato, timbrato e cucito l’artwork. Ma una mano da un produttore di grido non avrebbe certamente giovato? Come esordio certamente non c’è male, ma sono sicuro che il livello di qualità crescerà notevolmente in un’eventuale seconda fatica discografica, soprattutto se qualche major dovesse accorgersi dei Revo Fever. Noi la sufficienza gliela diamo (in fondo se la meritano pienamente) ma siamo sicuri che il loro sound si presta più a una dimensione live che a quella in studio.
Non fermatevi quindi alle apparenze del primo ascolto di Più Forte e magari se potete andate a sentirli dal vivo dove sicuramente daranno il meglio di loro!

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Rainska – Media Stalking

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Ci sono voluti ben cinque anni per sfornare il primo disco dei Rainska, Lo Specchio delle Vanità ed altrettanti per la loro seconda fatica discografica, Media Stalking. Prodotto con l’etichetta discografica Udedi, registrato presso gli studi de La Baia dei Porci di Nereto, e mixato e masterizzato presso l’Indie Box MusicHall di Brescia, il disco vede la partecipazione di Totonno DUFF nell’opening “Le Bocconiane”, Maury RFC ne “Il ‘93” e Clode LAZULI in “500 Lire”. Oggi lo Ska (o Bluebeat, chiamatelo come volete) non è certamente più di moda come quando nacque nei primi anni Sessanta quando da esso derivarono altri generi che poi divennero persino più famosi quali il Reggae e il Rocksteady. Lorenzo Reale (voce), Angelo Di Nicola (chitarra e voce), Giulio Di Furia (basso e voce), Lorenzo Mazzaufo (batteria), Pierpaolo Candeloro (sax), Eliana Blasi (tromba) e Martina D’Alessandro (sax) ce la mettono tutta quindi per emozionare l’ascoltatore sin dall’incipit della già citata “Le Bocconiane”.

Il risultato è certamente egregio, ma forse da un gruppo che ha festeggiato il decennale della carriera (pochi vi riescono) ci si aspettava anche qualcosa di più. Gli spiriti di Madness e The (English) Beat per fortuna rimangono costanti con i sette teramani sino alla fine garantendo loro un buon fine. Un ulteriore sforzo poteva essere fatto inoltre anche a livello di testi, talvolta troppo semplici ma certamente di sicuro effetto ed il sospetto è che si sia badato più agli arrangiamenti dei fiati che a tutto il resto. Del resto di esperienza ormai ne hanno accumulata talmente tanta da garantire loro la presenza su prestigiosi palchi al fianco di artisti famosi quali Shandon, Punkreas, Velvet, Piero Pelù, Teatro degli Orrori, Giuliano Palma & The Bluebeaters, Paolo Benvegnù, Linea 77, Vallanzaska, Africa Unite e Bandabardò. Dopo tanti e ripetuti ascolti ci si abitua anche al sound che a tratti ricorda persino quello della premiata ditta Sting / Summers / Copeland, ovvero dei Police, e talvolta persino quello del Punk anni Novanta dei Green Day e degli Offspring. Consigliato a chi vuol passare quaranta minuti circa in allegria, da evitare per chi non sa apprezzare Ska e Reggae.

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2nd District – What’s Inside You

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Di Punk-Glam-Sleazy Rock credo se ne sia visto a bizzeffe negli ultimi quindici anni, soprattutto nel Nord Europa. C’è chi ha solamente messo due litri di lacca nei capelli, si è piazzato qualche tatuaggio da duro e ha smaltato gli occhi con l’eyeliner più resistente. Ma come in tutti i fenomeni di costume, c’è chi ha pure sfornato un pane molto gustoso per gli amanti del genere. Ha preso l’eredità di Guns N’Roses e Hanoi Rocks dando una forma al proprio suono, con canzonette che sicuramente non entreranno mai nella Rock N’Roll Hall of Fame, ma hanno fatto muovere il culetto a migliaia di ragazzini in calore. Detto onestamente, tra queste band fino a ieri io non avrei mai inserito i tedeschi 2nd District. Visti dal vivo un anno e mezzo fa a Torino di supporto ai Prima Donna (band da tenere d’occhio), i quattro non mi avevano particolarmente colpito né per attitudine, né per groove e tanto meno per le canzoni. Su questo disco invece svoltano. Il loro secondo album suona un Power Pop facile, diretto, schietto. Tra accenni di Post Punk e il sound ruffiano e moderno dei Pretty Reckless. Con la voce di Marc de Burgh in primo piano che non strappa di certo via le nostre orecchie con violenza, ma anzi spesso è sinuosa e femminea. Verrebbe da ridere a pensare che un omone vestito scuro e con i braccioni tatuati possa cantare in questa maniera, ma tra un sorriso che scappa e uno scossone alla testa in segno di disapprovazione, ci viene pure da battere il piedino a tempo.

Il giro di basso per nulla banale che introduce “Broken Bits of a Lifetime” ci porta diretti su un treno veloce che mantiene però ben salda la traiettoria. Nulla di nuovo insomma, tanti power cords e assolini, ma una buonissima intuizione melodica. “Borgeoise Attitude” è il brano di punta del disco, i Backyard Babies sono un po’ ammorbiditi, ma il richiamo al freddo sound svedese è praticamente scontato. “Wherever” è più facile, ma non manca di mordente con un ritornello scanzonato e cantato a squarciagola in coro. Basso e batteria stanno sui binari e vantano un amalgama furba, mai troppo calda e mai troppo fredda. Giusto per rimanere ben ancorati alla locazione geografica. “Market Crash” e “Bad Habit” pagano il loro tributo al glorioso Punk inglese targato 1977, con rullate veloci e ritornelli da calci in faccia, invece “Pain Museum” è uno dei pochi episodi “ricercati”. Sia ben chiaro: senza esagerazione, con il ritornello da chitarra in spiaggia e l’eyeliner che si sfalda e cola nel romanticismo più bieco.

In ogni caso questo è un disco che si fa ascoltare tutto d’un fiato (dote rarissima al giorno d’oggi) e soprattutto è degna di nota l’assenza di riempitivi. E sebbene possa suonare a tratti banalotto, ha nel suo punto di forza l’ottimo bilanciamento tra Pop mainstream e Punk incazzoso, tutto in equilibrio senza forzature. Il rischio era forte, ma per fortuna questa pare non essere musica scritta per mettersi semplicemente in vetrina.

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Coconuts Killer Band – Party ‘n’ Fun

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La Coconuts Killer Band nasce nel 2010 dalle menti di Mick e “Little Demon Sim”, fratelli e rispettivamente chitarrista e batterista di quella che ben presto diventerà una tipica Rock’n’Roll band. Ma come fare una Rock’n’Roll band senza prima una particolare voce con un carisma non indifferente? Ed ecco che alla formazione si aggiunge il cantante John Ron Carpenter, il bassista Ste Doc, il tastierista El Gringo e le killer babies Jade & Gretha. Il gruppo al completo quindi comincia a girare sulla loro instancabile Lemmy Van per diversi locali e festival, partecipando come gruppo spalla a concerti de Il Pan del Diavolo, Moltheni, Zamboni &Baraldi ecc, e vincendo concorsi come “Sotterranea Rock Contest” di San Benedetto del Tronto e il “B-live alternative” di Cosenza che li porterà a suonare in Germania, Belgio, Olanda, Svizzera e Austria nel 2014.

Insomma tre anni davvero pieni per la band abruzzese che nel 2013 esce con la loro prima Demo. Quattro tracce che in toto rappresentano il loro stile predominante che è quello Rock’n’Roll con una spruzzata di altri generi, soprattutto Garage e Punk, tanto per colorire e rendere più gustosa la modernità. Appena parte la prima traccia “No! No!” non è difficile immaginare l’atmosfera fatta di ciuffi alla pompadour, maniche a giro, coriste in rosso che ciampettano una semplice coreografia e lui, microfono simile a un MS-55 Elvis stile anni sessanta che primeggia davanti a tutti. “Party’n’Fun” si muove invece in quel Rockabilly tipico degli anni Cinquanta-Sessanta, periodo che si respira anche nel quarto brano della demo “Last Day” che riconferma prima di tutto la loro conoscenza del genere e del periodo in questione, certamente come “Running Wild” posto come finale eclettico e ritmato.

Insomma i Coconuts Killer Band con questo lavoro dimostrano qualcosa. La passione per gli anni Cinquanta-Sessanta, la padronanza delle loro intenzioni, la tecnica musicale, la voglia di girare e farsi conoscere; infatti il gruppo nell’arco della sua breve vita artistica ha collezionato più di trecento live che non si fermeranno certamente ora. A tutto questo si aggiunge la peculiarità di genere utile soprattutto in realtà festaiole e goliardiche per ballare, sballarsi e non pensare troppo. Tutto può sembrare positivo, elettrizzante e centrato nel punto. Ed ecco che il punto è proprio questo: troppo centrati in una sola epoca, troppo simili ad uno stampino di Elvis, tutto già sentito, già suonato e già vissuto. Quindi perché non usare questa tecnica e bravura musicale per creare qualcos’altro? Magari è l’inglese a rendere un po’ tutto scontato al contrario dell’italiano che sarebbe probabilmente più interessante. Insomma tutti gli elementi ci sono, manca solo quel quid in più.

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Paul Collins in Italia!

Written by Senza categoria

Quello che nella seconda metà degli anni 70 veniva chiamato Power Pop altro non era se non Beat sporcato di Punk. E tra le leggende di quell’epoca aurea c’erano i The Beat di Paul Collins, uno che la storia l’aveva fatta già coi Nerves (è loro l’hit planetaria “Hanging on the Telephone”) e che in oltre trent’anni di carriera ha influenzato (ed è stato copiato) da decine e decine di band: dai Blondie ai Green Day. Paul Collins la storia ha continuato a farla sino ad oggi senza mai tradire il suo antico amore per il Pop e il Rock’n’Roll. L’ultimo album di Paul si intitola King of Power Pop: difficile obiettare. Ecco le tre date italiane del tour europeo, che vedrà, oltre allo storico musicista americano anche la presenza dei Miss Chain & The Broken Heels, reduci da un fulminante tour americano di oltre un mese e già pronti a ripartire per quella che sarà la loro prima volta in Francia.

14/11 GIO – Edonè – Bergamo
15/11 VEN – United Club – Torino + Miss Chain & The Broken Heels
23/11 SAB – Bounty – Thiene (VI) + Miss Chain & The Broken Heels

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Indelirium Records Festeggia Dieci Anni!

Written by Interviste

Indelirium Records festeggia dieci anni di attività e noi di Rockambula non potevamo non fare qualche domanda al fondatore Emiliano Amicosante (conoscenza importantissima di Rockambula). Una chiacchierata veloce ma intensa per cercare di capire cosa vuol dire stampare fisicamente cd e produrre Hardcore in un duemilatredici infettato dal sistema internet.

Indelirium Records festeggia dieci anni, ci vuoi spiegare cos’è e come è nata Indelirium Records?
Indelirium Records è una piccola etichetta discografica nata con la voglia di dare una mano ad amici e band HardCore e Punk Rock della scena musicale italiana.

Dieci anni sono una bella età, quali sono state le peggiori e le migliori cose fatte in questi anni?
La cosa peggiore che ho fatto è sicuramente stata mettere su la label, poi per rimediare a questo grande errore, ho dovuto fare 55 Release Top.

Pensi che le etichette indipendenti (ma anche non) abbiano ancora qualcosa da dire nella musica attuale? Le trovi ancora importanti? Perché?
Purtroppo proprio giorni fa pensavo a questo argomento. Dopo varie riflessioni posso affermare con tanto disagio (ma solo perchè a me diverte gestire band ed avere a che fare con loro) che le piccole label come le grandi label oggi hanno ben poco da dire. Un ruolo importante potrebbero averlo queste nuove figure di manager o uffici stampa che si occupano del marketing delle band, ma le etichette come una volta forse non servono più. Prima una label aveva i contatti diretti con i distributori e negozi di settore (diciamo in tutto il mondo e comunque in territori molto vasti). Oggi con il disco fisico che non ha più tiro diventa inutile tutto questo dispendio di energie per distribuire un album. Per concludere, posso dire che oggi la musica è al 100% della band che se la canta e se la suona grazie a servizi di distribuzione digitale.

Stampare dischi ha ancora senso?
Assolutamente no!! Diciamo che per massimo un paio d’anni il CD potrebbe rimanere il souvenir del concerto da affiancare alle tante maglie colorate da acquistare nei banchetti. Ma tra due tre anni non avranno più senso. Se pensate che già da più di un anno sui nuovi Mac non vengono più montanti i lettori cd questa cosa già basta per rispondere alla domanda.

Ci parli delle soddisfazioni che hai vissuto con le band del tuo roster?
Soddisfazioni tantissime ma senza fare nomi di band, una delle prime cose belle sono state le tante vendite di dischi che arrivavano dal Giappone e Sud America. Delle vere soddisfazioni…

Un episodio totalmente negativo che vorresti raccontare?
Forse in dieci anni sicuramente sono successe anche cose sgradevoli, ma posso dire che se ci sono state le ho totalmente rimosse… in fin dai conti Indelirium Records è una label TOP, BEST e DA PAURA.

Stampare dischi non ha più senso?
Assolutamente no!! Diciamo che per massimo un paio d’anni il CD potrebbe rimanere il souvenir del concerto da affiancare alle tante maglie colorate da acquistare nei banchetti. Ma tra due tre anni non avranno più senso. Se pensate che già da più di un anno sui nuovi Mac non vengono più montanti i lettori cd questa cosa già basta per rispondere alla domanda.

La tua è un etichetta quasi completamente HC, pensi che la linea vada seguita sempre e comunque evitando modaioli generi che spopolano nell’ambiente Indie italiano? Non credi che un estremismo eccessivo possa essere causa di autolesionismo?
Penso che una label che nasce esclusivamente per divertimento possa fare quello che vuole, variare dal Rock demenziale al Metal brutale. Io personalmente fin dall’inizio ho sempre voluto dare alla mia etichetta un taglio ben preciso e non penso che in futuro sperimenterò su cose diverse dal Punk Rock o Hardcore.

Progetti futuri?
Continuare per un po’ a fare uscite fisiche di Punk Rock Hardcore e poi meditare se buttare la spugna e fare solo uscite digitali.

Parlaci della tua visione della musica in Italia, cosa andrebbe o non andrebbe fatto per rendere accettabile la qualità della musica in circolazione?
Penso che grazie al web il livello qualitativo delle band si è alzato molto. Bisognerebbe salvaguardare e migliorare l’aspetto live e di conseguenza sarebbe bello se in Italia si iniziassero a valorizzare i Live Club e farli diventare professionali e rispettosi nei confronti delle band come per esempio succede in nel resto d’Europa.

Cosa ti piace fuori dal mondo HC, ascolterai anche altro?
Ascolto veramente tantissima musica dal Black Metal al Pop Punk per poi passare al Indie
Rock per quanto riguarda l’ HC non lo ritengo un genere musicale ma passione è stile di vita

Grazie, questo è un piccolo spazio per fare promozione alla tua attività…
Grazie a voi per lo spazio che ci avete concesso, veniteci a trovare sulla pagina Facebook per scoprire tutte le nostre produzioni!
https://www.facebook.com/indeliriumrecords

Una produzione Indelirium Records

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Cayman The Animal – Aquafelix

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Prendete un po’ di Hardcore anni 90, miscelatelo ben bene con un po’ di Noise, aggiungete tanto sano Punk e Rock’n Roll ed otterrete il disco dei Cayman The Animal, gruppo nato sull’asse Roma / Perugia (a seconda di come gli conviene). A tratti Nofx, a tratti Black Flag, questo lavoro potrebbe rivelarsi una piccola gemma nel panorama indipendente italiano. Non sentitevi vecchi quindi se l’ascolterete perché pur avendo molto di già sentito (dagli anni Ottanta e Novanta è uscita comunque molta roba di altissimo livello), Aquafelix può essere considerato un pronipote di quella generazione che tanto ha dato e continua a dare a livello musicale. E nella migliore tradizione del genere ecco quindi che in soli diciannove minuti vedrete condensato un mondo fatto di accelerazioni sonore e di stop che lasciano indubbiamente soddisfatto l’ascoltatore.

Giusto quindi parlare di EP nonostante siano ben nove i brani contenuti al suo interno. Evidente l’eredità raccolta dai mitici Ramones, padri (o nonni?) del Punk moderno, soprattutto nell’opening “Cayman Jr.” e dai Dead Kennedys di Jello Biafra in “Killed by the Golden Gun”. Sono presenti invece un pizzico di ironia anche in “Next Stop Orte” ed in “I Say Prévert – You Say Pervert”e di sano rumorismo in “Here Comes the End Part II”. Qualche effetto in più del solito in “Donkey Man” tinge di curioso il disco che ritrova nuova linfa in “Shiny Happy People Dying”. Una risata e un urlo invece vi accoglieranno in “Rock ‘n’ Roll Ice Cream”prima della conclusiva bonus track “Next Stop Orte Special Version” che però aggiunge poco a quanto detto precedentemente e come dicono proprio qui i Cayman The Animal: “Hai capito?”.

Altrimenti, se qualcosa non vi è chiaro, mettete su un disco della hit parade ma di certo non ne guadagnerete nell’ascolto. “Aquafelix” è stato registrato, mixato e masterizzato da Valerio Fisik all’Hombre Lobo Studio di Roma nella primavera del 2013 mentrele voci sono state registrate da Alberto Travetti all’HD Studio Perugia. Degna di nota anche la copertina artistica a cura di Ratigher.

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Mr Boonekamp – Turn Off Fake Reality

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Il Veneto è da sempre una regione incubatrice per band emergenti e non, che abbracciano i suoni del Grunge e del Punk. Oggi è la volta dei Mr Boonekamp, quartetto di giovanotti veneziani che dopo alcune vicissitudini, periodi bui e cambio di formazione, si presentano, orami già da qualche mese, con un secondo album dal titolo Turn Off Fake Reality. Scorrendo velocemente tra le dieci tracce si percepisce subito una forte influenza proveniente della cultura cinematografica horror degli anni 80, tanto che molti dei personaggi descritti potrebbero benissimo essere grotteschi protagonisti di qualche serie splatter un po’ datata, scampati a qualche epidemia apocalittica “Splatters”, in preda a manie da stalker “Jeremy The Stalker”o rincorsi da mostri plasticosi “Tremors”.

Musicalmente il background dei veneziani è,anche in questo caso,marcatamente old school, con un sound figlio legittimo delle sonorità Grunge dei Nirvana e dei Soudgarden, a tratti però decisamente più violento e rumoroso. L’energià e l’impatto rappresentano i cardini del gruppo  e pervadono tutti i brani, non c’è spazio per sentimentalismi e fughe romantiche per campi bagnati dalla rugiada, tutto è duro, incazzato, sballato quanto basta. Non mancano poi pezzi  come “Problem” e “A Culple of Bitches” definibili come ibridi Rock, che fanno dell’accelerazione e della velocità del Punk il loro fulcro. Vocalmente sono nuovamente i Nirvana icreditori assoluti del gruppo, e Francesco,voce e chitarra, si avvicina molto col suo cantato a quella pasta vocale un po’malata e ubriaca che cotraddistingueva  Kobain. Turn Off Fake Reality è a conti fatti un disco che pesca dal passato, in quel  calderone dell’underground sudicio e sporco degli anni 80,  adatto ai maleodoranti locali, spesso malfrequentati di una periferia metropolitana.  A tratti ironico e grottesco e a tratti eccessivamente autoreferenziale “Boonekamp World”, sulla carta ha molti numeri, ma in fondo non colpisce e spicca per grandi novità. Decisamente adatto a chi sulla propria cartà d’identità, alla voce occupazione, preferirebbe mettere pogatore selvaggio e molesto ad attento e sodfisticato ascoltatore musicale.

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