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Anna Calvi – One Breath

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Non si può non restare colpiti dal fascino suadente e oscuro della britannica Anna Calvi. È una malia femminile e voluttuosa, ma non per questo indolente (come invece può esserlo una Lana Del Rey, pur essendo anch’essa ombrosa e vocalmente eterea). One Breath, il suo secondo disco, potrebbe apparentemente non suonare originalissimo: voce femminile dalla personalità forte più ritmiche intense uguale qualcuno ha detto Florence + The Machine? Sfido chiunque, però, ad ascoltare “Piece by Piece” e a continuare sulla strada del paragone. Anna Calvi prende l’impervia strada dell’Art Rock, miscelando archi taglienti e percussioni ossessive, organi incombenti nascosti appena sotto la superficie che si rompono e si spezzano con l’emergere di chitarre elettriche cacofoniche e disturbanti (“Cry”), passando da canti di sirene ipnotici ed inquietanti (“Sing to me”), armonie ripiegate su loro stesse e appoggiate su soundscape distanti e voci dalla carica sensuale fuori scala (la title-track), fino ai cori da cattedrale della chiusura (“The Bridge”).

Non so decidere, di questo disco, quale sia l’attributo più godibile: se gli arrangiamenti, così beatamente schizofrenici e radicalmente liberi; il mood, così scuro eppure così sensuale, così lieve nel suo pungere sul vivo eppure così decadente; oppure la voce, un mix killer delle già citate Florence e Del Rey, una voce lasciva, morbida, ma anche aguzza, affilata come un machete, o densa come sciroppo. Per gli amanti delle atmosfere meno prevedibili, un disco da consumare riscoprendone ogni volta lati nuovi ed inaspettati, fino a quando, inevitabilmente, non vi capiterà di invaghirvi della sua tenebrosa autrice, diabolicamente intenta a sussurrarvi nell’orecchio le sue canzoni maledette e dolcissime, facendovi, ogni volta, rabbrividire un po’ di più.

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Edoardo Cremonese – Siamo il Remix Dei Nostri Genitori

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Edoardo Cremonese torna con il suo secondo disco lasciandosi alle spalle il moniker di Edo, Edoardo Cremonese presenta il suo ultimo lavoro Siamo il Remix Dei Nostri Genitori. Il cantautorato italiano vive il proprio momento di gloria, o meglio, tanti decidono di fare il “cantautore” e tanta roba brutta e fortemente sopravalutata dagli addetti ai lavori non sempre coerenti con la qualità effettiva del prodotto finisce maldestramente nelle nostre orecchie prendendo il sopravvento sulle produzioni che meriterebbero davvero. Edoardo Cremonese prende la propria musica e la porge in maniera leggera, un ascolto poco impegnativo alla portata di tutti mantenendo sempre una linea impegnata nascosta dalla genialità dei testi e dalla freschezza della musica. Nel disco Siamo il Remix Dei Nostri Genitori tutte le qualità del cantautore vengono fuori in maniera netta, persino la mai nascosta predilezione per la musica del maestro Enzo Jannacci, un lavoro impreziosito dalle tante partecipazioni di artisti come Lodo Guenzi (Lo Stato Sociale), Nicolò Carnesi, Alberto Pernazza (Ex Otago). La copertina del cd è un quadro del pittore Carlo Alberto Rastelli raffigurante il ritratto di Cremonese. Bene, abbiamo fatto il nostro dovere di cronaca, ora pensiamo alla musica. Verrebbe subito da pensare che Edoardo Cremonese non vuole troppo prendersi sul serio giocando su un lavoro ai limiti del demenziale, per alcuni momenti pensavo fosse realmente così, mi sbagliavo. Sbagliavo alla grande. Siamo il Remix Dei Nostri Genitori racchiude al suo interno una quantità immensa di colori e teneri giochetti, una creatura bella nella sua semplicità. Il disco si apre con “Siamo il Remix Dei Nostri Genitori” (come il titolo dell’album), una canzone simpaticamente allegra che parla del passaggio di consegna del testimone dai genitori ai figli, tra gli anni ottanta dei Duran Duran e voglia di lasciarsi tutto alle spalle e partire per una vacanza. Poi “Super Eroi” e la sua orecchiabilità assoluta e la mia preferita “Samuele” con sonorità molto Beatles o comunque ballabilissime. Ritorno ad assaporare molta vivacità e nostalgia della mia infanzia quando arriva “Bagaglino” , il modo migliore per ridere sopra le cose, ricordate le mini figurine dei calciatori che uscivano nelle gomme da masticare? Qualcuno di voi possiede(va) quelle di Poggi o Volpi?
Nicolò Carnesi ad impreziosire “Il Re Nudo con le Vans, semplificazione in musica della metafora filosofica de “Il Re Nudo” avvistato per le strade di Palermo, non prendiamoci troppo sul serio.

Edoardo Cremonese rappresenta quella schiera di artisti che non dovrebbero mai mancare nella musica, quella inebriante musica a cui tutti dovremmo dare più attenzione per uscire fuori dalla pesantezza quotidiana con cui siamo costretti a fare i conti, io voglio legarmelo forte al dito questo lavoro. Oltre ad essere simpatico e soprattutto un buon disco di musica italiana, non lasciamoci ingannare dall’apparente semplicità, Siamo il Remix Dei Nostri Genitori è un album carico zeppo di emozioni di vita vissuta. Tutti dovrebbero ascoltarlo non lasciatevelo scappare.

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Jacopo Ratini – Disturbi di Personalità

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Pop italiano d’autore, melodico quanto basta da non essere mieloso e con quel pizzico di semplicità che non te lo fa odiare solo perché passato da Sanremo e da una major come Universal. Questo è Jacopo Ratini, colui che nel 2010 dopo la sua partecipazione al Festival finisce inevitabilmente in radio con il singolo “Su Questa Panchina” (brano che se andate a cercarvelo sul tubo vi tornerà in mente e vi ricorderete di lui) e poi ci riprova poco dopo con i’ironica “Ho Fatto i Soldi Facili”. Ora sono passati un po’ di anni e tante cose sono cambiate: l’Universal ha lasciato spazio all’Atmosferica Dischi, la letteratura si è fatta spazio nella sua vita (fondatore del Salotto Bukoski, autore del libro Se Rinasco Voglio Essere Yoko Ono, ideatore del Contest Il Club dei NarrAutori), si è avvicinato maggiormente a tematiche etico-sociali, ed è tornato all’attivo musicalmente con questo suo ultimo lavoro dal titolo (non a caso) Disturbi di Personalità.

Leggera come una mela è la prima traccia “Sei Distante”, dal videoclip simpatico in cui ritroviamo diversi personaggi storici legati al frutto del peccato originale, più critica è “Maledetto il Tempo”, brano che attraverso un motivetto orecchiabile che tanto ricorda “Tieni il tempo” degli 883 cerca di descrivere l’impossibilità di afferrare questo nostro tempo veloce, insensibile e immutabile. Di amore tra alti e bassi si parla in “Come Mai Come”, “Arrivederci a Mai Più”, “Come ti Pare” e in “Mi Sono Innamorato Del Tuo Nome”, di donne in particolare invece in “Ogni Tuoi Ventotto Giorni”, brano veramente divertente e irriverente in cui ogni donna una volta al mese ci si può rispecchiare appieno. “Disturbi di Personalità” è la title-track e l’ispirazione per l’artwork del disco: cinque dita di una mano che raffigurano i personaggi rappresentativi dei vari disturbi di personalità e dello stesso Ratini intento ad osservarli. Intimista, melodica e capitanata da un pianoforte è “Ogni Mio Passo”, sintetica e dai tratti anni ’80 è “Buonanotte a Te”, descrittiva e dal sapore estivo é è invece “Perditempo”, una canzone in cui si narra la giornata tipo e le non-convinzioni di un nullafacente.

La forza di Disturbi di Personalità sta tutta nella straordinaria capacità di questo cantautore romano di descrivere storie di ordinaria normalità attraverso la psicologia analitica delle piccole cose, risultando così semplice ma non per questo banale. Con questo passo e chiudo, ciao e buon ascolto.

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Gibonni – 20th Century Man

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Ha una bella faccia, questo Gibonni (al secolo Zlatan Stipisic), una faccia non più giovanissima ma sbarazzina, accattivante, che te lo rende subito simpatico. E il suo ultimo disco, 20th Century Man, il primo sul mercato internazionale dopo una carriera ultra-ventennale che lo ha visto ascendere alla fama prima in Croazia e poi un po’ in tutto il territorio dell’Ex-Jugoslavia, è fatto esattamente allo stesso modo. Una faccia simpatica, sorridente, con qualche ruga qua e là che però forse non è neanche un male, forse è meglio così.

Come spesso rischiano i dischi di artisti non anglofoni che cercano di buttarsi nel vasto mare del Rock’n’Roll internazionale, si ha a tratti l’impressione che 20th Century Man abbia un sapore un po’ retrò, un po’ “ritardatario”. Ma altri episodi più felici ci mostrano un Gibonni viscerale, con un impronta quasi Soul (non tanto come approccio di genere: un uomo pronto a mostrarsi nudo, a cantare col cuore, con l’anima, per l’appunto). Penso a pezzi come l’opener “Hey Crow”, o l’intensa “My Cloud”, dove il Rock più lineare si batte con influssi Southern e inclinazioni Folk con risultati parecchio apprezzabili. Gibonni perde un po’ la strada quando cerca la consacrazione Pop, costruendo un Rock vecchiotto fatto di fiati e effetti vocali (come nella title track – e forse non è un caso che il disco si riferisca ad un uomo del Ventesimo Secolo – o nella conclusiva “Ain’t Bad Enough For Rock’n’Roll”, dal sound Aerosmith), ma appena dopo recupera facendoci percepire l’intensità delle sue emozioni (“My Brother Cain”), anche se macchiate qua e là da eccessi di retorica (“Kids in Uniform” con il coro di bambini…).

20th Century Man pare proprio essere un disco onesto e sincero, con una produzione eccellente (Andy Wright), leggermente dislocato temporalmente, per l’appunto, nel Ventesimo Secolo. Può non essere un male: si legge tra le righe la passione di Gibonni per quel tipo di sound, e anche solo questo basterebbe forse a riscattare il deja vù di certe scelte. Se quest’aria di nostalgia, questo vento di Rock anni ’80, non vi disturba, Gibonni è un compagno credibile per una passeggiata sospesa tra i Grandi del Rock e gli stadi stracolmi che lo accompagnano nei tour nella sua terra natia (e a questo punto non fatico per nulla a capirne il motivo).

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Eternauti – Il Vuoto è Segreto

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Gli Eternauti sono un giovane gruppo pugliese formato da Dario Bissanti, voce e chitarra, Giuseppe Carucci, basso, Antonio Attolini, batteria, con l’aggiunta nel 2013 di Claudio Giuseppe Fusillo, tastiere e seconda voce. Il loro percorso inizia nel 2009 quando incidono la loro prima demo casalinga assieme alla mini demo La Majorité C’est Vous del 2010, continua sui palchi della Puglia e dei più svariati festival (Controfestival, Festival Fuori dal Comune, Dirockato, Giovinazzo Rock Festival) e anche grazie al crowdfunding. Infatti in Puglia si è sentito parlare degli Eternauti proprio perché sono stati il primo gruppo ad affidare la promozione del loro disco alla piattaforma MusicRaiser, avvenuta grazie alla più tipica raccolta fondi ricambiata poi con svariati regali (una foto, un autografo ecc).

Nel 2013 finalmente esce il loro disco d’esordio Il Vuoto è Segreto, registrato e missato a Milano, con copertina e disegni di Claudio Losghi, fotografie di Nicola Boccardi e grafica interessante di Giuseppe Carucci.L’album è formato da undici brani registrati dalla band esclusivamente in analogico e al riparo dal “gelo” dei supporti digitali, il che è assolutamente apprezzabile. Naturalmente in tutto l’album si sviluppano testi che vogliono raccontare, come loro stessi dicono, riflessioni, storie personali, rapporti passati e futuri, visioni, ostacoli e omaggi come per esempio nel secondo brano “La Fotografia Dei Led Zeppelin” interessante e piacevole soprattutto nel ritmo. Ritmo che si sviluppa in quasi tutto il disco anche mediante un approccio Pop-Rock (“Senza Fine”, “Carro Armato”), Cantautorale (“Malinconica Giornata”, “Essere Meraviglioso”, “Solo tu”) e dissonante (“La Formula”, “Voglio Diventare Come Te”).

Se si ascolta più attentamente si scopre anche come un album di protesta, come già detto prima contro i supporti digitali che appiattiscono il suono facendolo diventare quasi finto o contro qualsiasi forma di oppressione (Protesta se vuoi per la libertà, nessuno lo fa è una questione di priorità). Al centro inoltre c’è il significato del vuoto in senso metafisico e sociale come loro stessi dicono “siamo circondati da tonnellate di orpelli inutili. Ma basta grattare in superficie per scoprire che dietro questi orpelli c’è solo un grande vuoto, di cui dobbiamo liberarci, rendendolo palese”. Insomma un album che si conquista la sufficienza grazie a certe idee espresse, al ritmo e a qualche brano interessante, ma che non va oltre proprio per la mancanza di particolari pregi vocali o colori strumentali. Inoltre nessun brano o parte di esso risulta emozionante in senso stretto o talmente particolare da essere catturato dalla memoria orecchiabile nei giorni successivi agli ascolti. Questo è certamente un vuoto che andrebbe colmato con lo studio, la costanza ma soprattutto la bravura e la voglia di esprimere qualcosa di emozionante e degna di essere ricordata.

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Viva Lion! – The Green Dot EP

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C’è grande magia nella musica delle radici, quella della campagna, dei paesaggi distesi, più visiva che mai, degli amori lenti e forse meno ragionati, della passione che fa esplodere le vene, delle fabbriche che si avvicinavano sempre di più e ora (purtroppo) non ci fanno più paura. Storia? Possibile, ma negli ultimi tempi (e non solo se scaviamo bene tra gli scaffali impolverati dei negozi di dischi) queste note di libertà sembrano essere tornate in voga, con quella naturalezza che molto spesso completa la scaltrezza del Pop. Ed ecco a voi la magia del Folk: una chitarra e tante differenze tra est e ovest, tra nord e sud, ma un popolo che si riconosce sempre nelle sue radici, che siano tarantella o canti celtici.

Il caso di Viva Lion! non è forse sulla carta il più azzeccato per elogiare le virtù di una musica così ancorata alla propria terra. Daniele Cardinale arriva infatti da Roma e, senza tanti mezzi termini, il suo suono ha il sapore di praterie e deserti americani. La meraviglia sta però nella spontaneità. La sensazione di farci sentire a casa nonostante l’internazionalità del progetto, che vanta pure numerosi ospiti. Americani come la cantautrice Megan Pfefferkorn, che brilla di luce propria nella chiara ballata rupestre “Goodmorning/Goodnight”, ma pure italianissimi (anche se come Daniele propensi all’espatrio) come Gypsy Rufina e Roads Collide. Nonostante le miriadi di contaminazioni e sebbene i confini geografici siano letteralmente annientati direi proprio che questo è Folk purissimo.

“The Green Dot EP” è poi un prodotto Cosecomuni e lo zampino dei Velvet si sente e non solo a causa della collaborazione nella spensierata cover di “Footloose”. La limpidità del pop senza pretese è sicuramente caratteristica della band romana e si riflette anche in questo prodotto della loro etichetta. Le canzoni così svecchiano e passano dallo starti vicino a prenderti addirittura per mano. Nonostante l’impostazione chitarra e voce gli arrangiamenti non scadono mai nel confezionato e preservano la freschezza dell’aria pulita e incontaminata, anche in un brano più intimo e articolato come “The Thrill”. Si attaccano la spina e addirittura il distorsore ma la sensazione è solo di vento e nubi, lo smog è tenuto alla larga. Questo brano arricchisce ancora di più di sfumature un progetto dai lunghi orizzonti, che vive in mezzo alla natura più cruda. Si ancora saldo alle radici di ogni pianta e succhia tutto il nutrimento dalla fonte.

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Mom Blaster – We Can do it!

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Sembrava di trovarsi di fronte all’ennesima copia dei Cramps dalle prime note del disco ed invece, appena trenta secondi e le note portano verso Bob Marley e Peter Tosh, anche se con una sensuale voce femminile,  per poi tramutarsi negli emuli degli Skunk Anansie e viene da pensare che sia incredibile. L’ascoltatore viene quindi spiazzato tre volte nel giro di due minuti (troppa carne al fuoco forse) e lo è ancora di più quando inizia la seconda canzone “From The Beginning” che inizia con riff simili agli Heroes Del Silencio per poi tornare al Reggae.

“Saturdaycomes” ci prova a rimettere le cose in chiaro fallendo miseramente a causa di un’armonica che è l’esatto contrario di come sta il cacio sui maccheroni. Se l’idea è quindi quella di creare una sorta di Crossover all’italiana c’è qualcosa che non va in quanto i generi e le idee proposti sono davvero troppi (a momenti manca solo un assolo Jazz e un orchestra classica). Forse tre anni sono pochi per comporre un disco così complesso (il gruppo si è formato nel 2010 a Lanciano, in provincia di Chieti) che propone un mix tra Reggae, Rock e Pop, utilizzando nuove sonorità in una miscela esplosiva che spazia dal Punk anni ’70, passando dal Pop anni ’80, arrivando fino ad un Rock più contemporaneo. In “Everyone is an African” si perde pure la minima atmosfera creata in precedenza dalla voce femminile essendo cantata per lo più da uomini e si smarrisce anche la via che portava per lo più in Giamaica (il messaggio si rafforza poi ulteriormente con “A four letter words” e “I’m just a ghost”).

Chiudono il tutto “Vicious boy” e “Really gone” e per fortuna tutto è veramente andato verso la fine. Chiariamoci: presi singolarmente sono tutti degli ottimi musicisti, ma vi immaginate cosa uscirebbe formando un gruppo con Malika Ayane, Stewart Copeland, Flea e Steve Vai? (sono i primi nomi di ottimi musicisti che mi sono venuti in mente). Probabilmente ne uscirebbe fuori solo un calderone sonoro, ma forse basta cambiare la formula per migliorare il tutto. A volte è meglio confrontarsi solo con un genere (in questo caso il reggae) senza varcarne i confini.

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Velvet – La Razionalità

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Spesso nella vita come nella musica ci si basa sulle proprie esperienze e si è vittima di preconcetti e pregiudizi, la cosa piacevole è quando in entrambe la situazioni tutti i pre del caso scoppiano come bolle di sapone. I Velvet, spauracchio delle boyband anni 90, dopo 5 dischi e alcune radio hit di successo escono con il loro terzo EP intitolato La Razionalità. Ultimamente la forma EP sembra essere la modalità espressiva preferita di molti musicisti, forse perchè meno legato ai vincoli e alle aspettative che si creano intorno agli album. Io, ascoltando le cinque tracce proposte, un’idea me la sono fatta. Ammetto di non essere mai stata una fedele ascoltatrice e una seguace pedissequa, ma sicuramente schiacciando il tasto play non mi aspettavo un’evoluzione di tale proporzione, distante anni luce dal 1998. I Velvet senza dubbio hanno lasciato dietro di sè il passato e hanno intrapreso un loro percorso che li ha portati ad esplorare nuovi mondi, neanche troppo sommersi. Insomma La Razionalità è un istantanea che fotografa lo stato dell’arte del momento vissuto dal gruppo. Dicevamo cinque tracce, il primo ascolto non è stato il migliore: ciglie aggrottate e naso arricciato, ma la sfida per me era persevarare e a posteriori sono contenta di aver scoperto un viaggo  variegato e  fatto di momenti distinti tra loro. Prima tappa l’elettronica, che rappresenta in maniera decisa l’influenza più prepotente a livello sonoro, un fiorire di tastiere e suoni distorti e coretti che strizzano l’occhio ad esperti del genere come i Subsonica. L’elettronica non è per tutti e come un arma a doppio taglio il rischio è quello di sembrare un lontano parente di Sandy Marton, piuttosto che un bravo musicista; per fortuna la tracklist e primo singolo in uscita, “La Razionalità”, sorprende per il carattere pop, ritmato, ballabile e con quel pizzico di ironia testuale che nel giro di pochi viaggi in metro mi ha catturata nel loop del tormentone dal quale non sono più uscita. Mi vedo già trasportata su di una spiaggia a ballare come non ci fosse un domani sorseggiando cocktail. Il mood elettronico si ritrova in “Le Case D’Inverno” anche se qui l’amtosfera si fa notturna e languida e tutto suona più morbido. Finisce il primo giro e ne comincia un altro nel quale atterriamo nel mondo delle colonne sonore, terra amica al quintetto, nel quale ha iniziato a sguazzare amabilmente già da un po’,“I Cento Colpi” e la sua versione estera “I’ve Dream About You Love”, lato A e B della stessa cassettina, si fanno notare per la loro attitudine, pacata, privata di eccessi, di accompagnamento, appunto, a una scena fatta di canne al vento che ondeggiano. Probabilmente la A version italica riesce a essere più suggestiva di quella inglese. La terza  e colclusiva tappa del Velvet tour approda in un mondo contemporaneo, forse troppo, fatto di parole recitate su basi ricche di suoni digitali ed effetti da smanettoni e privè Rock And Roll,  “L’evoluzione “ vorrebbe negli intenti essere un brano provocatorio ma le frasi celebri e  le citazioni che ne compongono il testo non riescono ad avere sapore e potenza espressiva. Una moda, forse, della quale potremmo fare a meno. Ritornati al punto di partenza possiamo quindi raccontare un bel viaggio fatto di momenti alti e qualche intoppo fuori programma. Non ci troveremo di fronte all’uscita dell’anno, ma nemmeno alla solita minestra riscaldata che molti propongono, e sicuramente nemmeno ai soliti Velvet, per una volta mettiamo al bando i pre e lasciamo parlare solo la musica.

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Jiurrande – Jiurrande EP

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I Jiurrande sono un duo acustico calabrese. Un duo di cugini, Ettore e Luca, che fin dalla scuola superiore hanno condiviso l’amore per la musica, l’hobby di una vita messo da parte per parecchio tempo, per poi decidere, però, di riprendere in mano le loro canzoni, riarrangiarle, scriverne di nuove e registrarle in casa tra Lamezia Terme e Platania (Cz) all’inizio del 2012. Questa è la loro biografia stringatissima, come pochissime sono le loro pagine sul web e questo certo non aiuta a conoscere il progetto.

Ma andiamo avanti. Alla fine della registrazione viene fuori un Ep omonimo, il primo lavoro discografico dei Jiurrande, formato da sei brani. Il primo è “Demo Goldsound” che più che brano lo potremmo definire un piccolo intro stile musichetta dei giochi 8 Bit. Il tutto continua con “Elastici” con il suo intro di chitarra e la forma canzone pop-rock più ortodossa, rispetto anche all’intero lavoro. Nonostante l’homemade  che si avverte fin da subito, il ritmo rimane l’elemento più piacevole del brano anche se qualche volta in maniera quasi impercettibile cade, al contrario della voce che non convince affatto fin dall’inizio,non amalgamandosi mai con la musica, con l’intonazione e con il ritmo. Un’alchimia che non c’è insomma. “In Dormiveglia” è il terzo brano che come inizio utilizza sempre la chitarra; la forma del pezzo è uguale al precedente, le impressioni della parte strumentale sono positive al contrario di quelle vocali, che peggiorano nettamente in “Autunnando”, quarta canzone nella quale si percepisce qualcosa di strano anche a livello strumentale (saranno stati gli strumenti scordati?) e naturalmente anche a quello vocale, il cui lamento diventa insostenibile. Penultimo passaggio è “Il Saggio” che, come prima, lo potremmo definire una poesia con sottofondo musicato al contrario dell’ultimo pezzo “Deliri”, in realtà  ghost track che non aggiunge niente e non toglie niente.

Insomma Jiurrande, avete aspettato ben dieci anni prima di riprendere a suonare la vostra musica, potevate aspettare un altro anno, altri due anni, prima di registrare e mettere in giro il vostro lavoro perché comunque il tempo è l’unica cosa davvero importante; parlo del tempo per studiare, per perfezionarsi, per creare uno stile. Questo a mio parere non è un Ep pronto; allora qual è il senso di mettere in circolazione un lavoro nel quale gli elementi positivi sono ben pochi rispetto a quelli negativi? Non certo per pubblicità o per creare con la musica una prospettiva. Forse per gioco, ma anche il gioco allora deve essere fatto bene altrimenti a nessuno andrà più di giocare.

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Prospettive di Gioia Sulla Luna – Il Giorno Dopo

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Nella loro biografia, i Prospettive di Gioia Sulla Luna ci fanno sapere, tra le altre cose, che “i tre [il nucleo fondante della band, ndr] sono stati dei punk incazzati, dei capelloni, dei fini rumoristi e anche degli onanisti elettronici”. E poi? Poi si accorgono di voler cambiare rotta, tentare strade nuove. “Era giunto il momento di provare a suonare facendo meno rumore possibile”.

Questo dice molto del progetto e del loro ultimo disco, Il Giorno Dopo. Si legge già tra le righe la voglia di Pop che permea il lavoro, sfacciata, senza remore, ma anche senza preconcetti: un pop bastardo, che si mescola, sfugge alla definizione, ci ritorna, si lascia ascoltare carezzevole e poi corre, inseguito da una batteria incalzante, da un synth fiabesco, da chitarre frizzanti. Le dieci tracce de Il Giorno Dopo scorrono comode, ma riescono, nella maggior parte dei casi, a passare indenni sotto i colpi della noia e del ricorrere di cliché e stilemi già sentiti. Il gioco, ai cinque PDGSL, è riuscito bene: dall’ossessionante “Baby” all’intensa “Una Promessa”, dall’esaltante “Las Vegas” alla sognante “La Luna Sbadiglia”, tutto crea un mondo sospeso, Rock quando vuole, Pop ogni volta che può.

Certo, magari non c’è il pezzo della vita, quello per cui ci ricorderemo di loro fra qualche anno. E se proprio devo dirla tutta, in qualche episodio il timbro vocale di Peppe Barresi non mi ha convinto moltissimo (è molto particolare, non si può negarlo; però capita che sembri fuori posto). Ma non siamo qui a spaccare capelli in quattro: ci accontentiamo di occupare le nostre orecchie con suoni che siano degni quanto basta. E Il Giorno Dopo può accompagnarci, almeno per un tratto di strada.

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Teenage Gluesniffers – Chinese Demography

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Non voglio spendere troppe parole per Chinese Demography dei Teenage Gluesniffers. Non voglio e, comunque, non potrei neanche volendo. Perché questo breve lavoro del trio milanese scorre prevedibile e inutile dall’inizio alla fine, brano dopo brano dopo brano.

È il solito Punk liceale, quello che andava di moda tra i ’90 e gli anni ’00 del Duemila. Non sto neanche a descrivervelo, sapete già di cosa sto parlando. E sinceramente, per quanto possano essere tecnicamente ineccepibili (o forse proprio per questo), mi sorprende che ci sia ancora gente che fa questo genere senza mai aggiungere nulla, senza mai reinventare. Posso capire le band storiche, che portano avanti, con dignità e passione, un genere che hanno contribuito a definire (e dico anche in Italia, eh). Ma perché continuare a sbattere la testa su questo insieme di cliché sempre identici, sempre uguali, sempre noiosi allo stesso modo?

Sono bravi i Teenage Gluesniffers? Sì. È un bel disco Punk? Probabilmente sì. È un disco che vi consiglio? No. Non sprecateci del tempo, se volete pogare e bere birra con sotto una bella traccia di Punk popolare ed orecchiabile ascoltate Rancid, Blink-182, NOFX, (e non me ne vogliano i puristi per gli accostamenti azzardati…) e, dal Bel Paese, Duff, Punkreas, Pornoriviste. Ne sto tacendo probabilmente molti altri, ma perdonatemi, il tempo in cui mi ammazzavo di schiaffi sotto un palco è passato da anni, ormai… e sarebbe ora di guardare avanti e farsene una ragione.

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Motel Connection – Vivace

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Prosegue la full immersion dei Motel Connection – Samuel, Pisti e Pierfunk dei Subsonica – nelle camera dell’eco, nelle zone sonore e abbaglianti dell’Electro-Pop in cui transitano compulsivamente dilatazioni ritmiche della dance che accelerazioni di stampo House e step, e Vivace ne è il sesto episodio della band, il sesto nervo scoperto al quale il trio da corpo e volume per una “nottata” forsennata e splendente come poche.

In tanti dicono meno epico del precedente e reduce da una crisi d’ispirazione che invece, aguzzando bene testa e muscoli, pare non pervenire e tantomeno rintracciare, tutto è un super slam dancey e ritmo ad intermittenza, è un tutto sound dove si scatena la voglia incontenibile del ballare, del ballabile e del ballereccio, tracce al fulmicotone che arrivano spingendosi come elettroni impazziti, grazie e goduria per chi affolla club e dancefloor alternativi, il tocco di classe sincopato della Jovanottiana “tribù che balla”.

Anni Novanta ed happening a josa, e forse il disco più compiuto da quando i MC si sono messi in piazza coi loro progetti collaterali, una forza che ha la dimestichezza totale di quello che fa vibrare sotto il suo potere, tracce “performance” possiamo insinuare che evidenziano a tutto tondo il trionfo della Techno-Dance, Dance e ancora Dance, e con il trio in questa nuova sparata di suoni stroboscopici il rapper Ensi nella caotica valanga di concetti “Vertical Stage” e Khary WAE Frazier in “Know”, e ancora l’intervento di Drigo e Casare dei Negrita, tutto il resto sono mine vaganti di sound e loud all’inverosimile che stordisce e diverte con le sue benemerite funzioni di piacere; undici tracce esplosive che non concedono tregua o momenti di calma, panacea per l’estate più che alle porte e viaggi cosmopoliti nel segno della trasgressione e del divertimento, come la fraudolenza canaglia di “Computer Power”, e “Praise God”, l’attimo stunz stunz  acido “Overload City”, una tinteggiata dei nero mistero “Eyes From Hell” e alla fine il rilascio totale di ogni volontà a fermarsi dai vortici insaziabili di “Vertigo”, chiusura che lascia un fiatone della madonna.

Ovviamente per osannanti folle della Techno colorata, per altri meglio andare a cercare uno squisito gelato all fruits da leccare avidamente.

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