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Recensioni #01.2017

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Brian Eno // Jumping the Shark // Tiger! Shit! Tiger! Tiger! // Il Diluvio // Duke Garwood
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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #21.10.2016

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dEUS – Following Sea

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E’ fuori dubbio che l’eclettismo che Tom Barman ed i suoi dEUS avevano negli anni novanta della loro genesi si sia molto diluito man mano che la loro discografia sciorinava suoni e metamorfosi cangianti – tra i tanti The Ideal CrashPocket Revolution – ma poi la band belga, dal 2005 in poi – vedi il penultimo Keep Your Close del 2011 – mostra i denti ed una fiacca sonora che esalta solamente la disfatta totale di un’era, e “Following Sea”, numero sette della storia musicale della formazione belga,  ne è la conferma ufficiale non tanto per una certa ripetitività della sloganistica sonora che da sempre contempla un mix di generi che vanno da  Velvet Underground, filamenti jazzati, blues, rock, un po di Captain Beefheart e poesia interlocutoria, piuttosto per una mancanza vera e cronica di idee nuove, quel quid necessario per trasformarsi senza diventare sterili.

Si viene a sapere che la tracklist è composta da tapes in surplus derivate da session precedenti, ritagli di prove che fanno di questo disco quasi un outtake work da digerire in poco tempo e magari fosse così,  ritorna l’asprigno elettronico e i suoni si fanno orpello per una coreografia d’insieme che latita e che fa rimpiangere con lacrime amare il fasto alternativo che fu; difficile dire dove i dEUS abbiamo cominciato a mancare quel fluido mitteleuropeo che ben rappresentava una certa qual via per i vicinali e prossimi a venire anni zero, o perlomeno dove abbiamo svenduto la consapevolezza artistica di non avere più davanti i margini di una seconda crescita, tutto si riduce ad un ascolto passivo, ovvio e rattoppato, la leggerezza pop, troppo pop di “Sirens”, il funky sconnesso che vorrebbe saltare come i RHCP ma inciampa clamorosamente “Girls keep drinking”, la wave appassita di “The soft fall” e gli Afghan Whigs che si accasano compiaciuti dentro le architetture di “Fire up the Google algorithm”, un disco che si fa urticante per la stizza che procura a chi li ha amati e sostenuti come una fondamentalità ottima per aprire le branchie ed il respiro ad un nuovo rock.

Peccato davvero, i riverberi sfocati degli dEUS fanno male, ascoltarli ora è come un dopo sbronza andata a male, ti gira tutto,l mondo e testicoli inclusi.

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