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Winter Dust – Thresholds

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Quattro canzoni, quattro potentissime scosse telluriche che si insinuano sotto pelle e bruciano  fino a far ribollire il sangue nelle vene. Ecco una piccola sintesi di cos’è Thresholds, nuovo EP dei padovani Winter Dust. Non avranno la delicatezza ammaliante dei Mogwai, ma in loro resta intatto lo spirito evocativo del Post Hardcore di Cave In o Pelican. “There” è il battesimo che non ti aspetti con questa realtà musicale: paesaggi martoriati che rifioriscono per poi appassire nuovamente, il cui concime sono le liriche urlate da Marco, che non mostra neppure un briciolo di autocontrollo. “Acceptance” ci fa capire che non c’è fine alla disperazione, mentre la terra si sgretola sotto i nostri piedi e l’Apocalisse festeggia intorno a noi. Il pianoforte corre a darci soccorso ed è come uno spiraglio di luce che fende le tenebre. Ecco che “Let the Morning In” ricostruisce il mosaico di un mondo devastato, corrotto dalla piaga della deriva. E’ un salmo viscerale, emozionale, fondato su una melodia solenne, è una sorta di “Inno alla Gioia” di Beethoven in chiave Post Rock. L’epilogo avviene con “Elsewhere” ed è un’ennesima carica di emozioni contrastanti: la calma, la pace fugace, le insidie della discordia, la purezza di un disco che non conosce limiti e manda in frantumi diversi clichés legati alla nostra Patria. Quattro canzoni, una moltitudine di brividi.

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Zolle – Porkestra

Written by Recensioni

Su Facebook si definiscono un gruppo che fa Ultra Heavy Rock e chiedono la cortesia di non essere catalogati come band Sludge. Impossibile accontentarli, sorry.  Titolo irriverente, come irriverenti sono i nomi dati alle singole canzoni, accomunate dal prefisso Pork. Ecco quindi iniziare con “Porkediem” e “Porkeria”, concise e dannatamente fuori da ogni schema tanto da ricordare la perizia di Cloudkicker. I brani si intrecciano tra loro mossi sempre da un riff portante di Marcio a cui si palesa la batteria di Ste, ruvida e caustica al punto giusto. La scelta di suonare musica orfana di testi è tipica dello Sludge (…e due), avvicinandoli per sound a Pelican e Neurosis (vedere i tempi Doom di “Porkimede”). “Porkobot” è la vita artistica dei Melvins condensata in meno di tre minuti, “Pork Vader” si intromette con un Math Rock embrionale vicino ai nostrani Ruggine. Il duo lombardo si affida a “Porkangelogabriele” per congedarsi: una traccia di sei minuti dove prende il comando lo xilofono di Ste, mostrandosi così un abile polistrumentista. Porkestra è un progetto ambizioso, forse anche troppo, sorretto da eccellenti qualità tecniche, sviluppato però in maniera avulsa. Pochi acuti, poche parti che ci fanno sobbalzare dalla sedia. Tutto molto glaciale, privo di empatia. Risfodero il cappotto in anticipo. Ho già nostalgia della bella stagione.

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