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Capputtini ‘I Lignu / Wildmen – Drunkula Split EP

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Assai curioso questo 7” split edito da Shit Music For Shit People che vede Capputtini ‘I Lignu e Wildmen cimentarsi in un brano a otto mani (la title track) a nome Wild Lignu, oltre che a presentarsi attraverso brani propri (rispettivamente, He never tells e Born after midnight).
Il primo brano, He never tells dei Capputtini ‘I Lignu,  è uno sporco blues dalle sonorità lo-fi tendenti al noise. Il duo, formato da Cheb Samir e Kristina (francese lui, siciliana lei) ci porta in un mondo rumoroso, intenso e scuro, in cui la strofa potrebbe fare tranquillamente da sfondo ad un film di Tarantino, mentre il ritornello, armonicamente più aperto, perde un po’ di grinta e si smarrisce in un effetto canzonetta poco ispirato. Un pezzo che suona rauco, sanguinolento e caotico (volutamente, immagino), ma che, alla fine, non mi lascia granché.
Stesso discorso per Born after midnight dei Wildmen (altro duo, stavolta romano, nato, secondo biografia a me pervenuta, dopo una rissa in un bar): ritmica trascinante, voci intense e graffianti, di un rock’n’roll veloce e immediato (un minuto e quarantanove di durata totale). Un pezzo che dal vivo dev’essere molto caldo, ma che su disco lascia un po’ il tempo che trova.
Ciò che rende interessante tutta l’operazione è Drunkula, il brano inciso e scritto da una combo di cui fanno parte tutti e quattro i musicisti delle due band e battezzata per l’occasione Wild Lignu. Un brano leggero, semplice, e che porta con sé la sporcizia e la follia che abbiamo imparato a conoscere durante il brevissimo viaggio negli altri due pezzi dell’ep. Questo, però, si lascia dietro una traccia, come un graffio – sarà il giro di basso, saranno le linee vocali, saranno quelle chitarre sghembe, ma arrivato alla fine me la riascolto più che volentieri.
Per concludere: se vi piace la musica caotica, a tratti sconclusionata, ma piena d’energia e fatta col cuore e i calli sulle mani (polpastrelli e nocche…), ascoltatevi questo Drunkula Split Ep, che magari vi scappa di appassionarvi a qualcuno dei protagonisti di questa cavalcata western/blues/rock’n’roll. In ogni caso, attendo con curiosità l’uscita (a breve) del disco (intero) dei Wildmen – e, in questo senso, operazione decisamente riuscita.

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Whiu Whiu – Whiu Whiu Ep

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L’onomatopea, loro ce l’hanno già nel nome: Whiu Whiu!! Come il fischiettio di belle canzoni sotto la doccia o alla vista di una bella ragazza. Ma i cinque cagliaritani assicurano: << il fischio si può regolare a vostro piacimento>>.
E senza porre limiti alla fantasia inizia il viaggio attraverso il loro primo Ep (in circolazione da Gennaio 2012). Un viaggio di sette brani e una ventina di minuti.
Tutto ha inizio con vari colpi di batteria (Gianni Dearca), un oh-oh che riecheggia pinkfloydiane sonorità e lick quasi cantautorali. Nella prima frase (lavoro tutto il giorno ma penso non basterà / guardo il futuro e te presente qui non ho), infatti,si scorge il pensiero e la preoccupazione giovanile della nostra epoca, del presente e del futuro precario; ma tutto viene smorzato dall’immagine di un oggettoa cui non viene data molta importanza (esco un po’/ insieme all’Abatjour), che qui è quasi utile a illuminare la via.
Sempre la batteria apre il secondo brano Per un’altra strada. Nei primi secondi la voce (Emanuele Pintus) dialoga con le chitarre (Daniele Mereu Alessandro Macis ), sempre chiare e ritmiche e un nome femminile irrompe, allo scoccare del primo minuto: Annalisa, forse la figura da cui si potrebbe cambiare percorso…
Invece, si dovrebbe imboccare un’altra via per evitare le atmosfere del terzo brano L’amo in due, fatto di sangue, uccisioni e stravolgimenti, ma anche di un bel riff batteria e basso (Massimiliano Macis), ritmo sostenuto, giochi di parole (lama=l’ama) che accumunano la musica alla poesia e un assolo finale di chitarra, molto caldo nel tocco. Che i Whiu Whiu!! abbiano una visione poco allegra dell’amore o della vita? Si scoprirà lungo il cammino, fatto apparentemente di nonsense nel quarto brano Orticaria, dove si mescolano varie immagini del nostro tempo, ospitando verso la fine il fischiettio primordiale, che ricorda il nome del gruppo.
Un ritmo cavalcante caratterizza l’Olimpiade(quinto brano dell’ep), simile quasi a una satira politica, per esorcizzare la crisi che imperversa (meglio senza leggi, senza soldi solo i Greci) e la figura del politico arraffone si presenta quasi come a voler chiudere il cerchio della verità. Un altro fischio, questa volta un po’ più malizioso, apre il penultimo brano Una e neanche una, dove protagonista è la vita, vissuta sempre al massimo ma, forse, senza tanta profondità (come puoi pensare di vivere 80-90 anni in salute/senza mai parlarmi fino in fondo) e senza troppi valori (come la chiesa non ho più valori/purificami con un occhiolino). Una vita che però ne è consapevole.
E per finire un lungo silenzio e una traccia fantasma, un lungo arpeggio di chitarra dissonante e qualche effetto psichedelico. Niente parole, niente testo, niente batteria per la fine di questo ep, attraverso le visioni del gruppo cagliaritano.
Visioni importanti con forti tinte sia politiche che sociali. Il che è apprezzabile, data la giovane età del gruppo, che non si sofferma solo a parlare dell’amore e di quanto è difficile la vita, ma va affondo, tacciando la politica e la chiesa di aver perso credibilità e valori. Sonorità e ritmi sempre veloci e ben amalgamati nell’armonizzazione degli strumenti, che però, spesso, coprono il cantato, mettendolo quasi in secondo piano.La voce che dialoga con le chitarre e che è portatrice di così importanti argomentazioni, dovrebbe emergere, scandirsi bene ed essere chiara, per far arrivare il messaggio. E non sarebbe male aggiungere nell’ep qualche ballata o qualche brano un po’ più lento, sia per diversificarne l’andamento e sia soprattutto per fare emergere le doti musicali (tocco, pulizia del suono, profondità della voce) di ogni singolo componente dei Whiu Whiu!!
Un ep pieno di buoni elementi musicali, che sviluppandosi col tempo e con la costanza ci auguriamo che possano dare ottimi frutti.

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Matta-Clast – Inferno

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L”Inferno” dei Matta-Clast è un frenetico e allucinato ritorno all’originaria carica psicologica del Rock, la discesa introspettiva e mid-velenosa di un sintomo plagiato dallo scavare dentro, dalla lacerazione ossessiva d’anima e sangue che non trovano pace, requiem e linfa alla luce del giorno, che adora la notte come energia vitale sul mortale; la formazione Perugina qui con il loro secondo album, distribuiscono ansie, disagio e paranoia in un viatico elettrico che porta undici stazioni soniche lungo una tracklist che brucia, segna e scarnifica l’ascolto formando un’orgia di riverberi e nervi tesi come estratto esaustivo della loro “malattia di vivere” l’esistenziale.

Tutto è impatto duro e straordinario con il mondo al di qua dei coni stereo, un mefistofelico e desertico “imbevuto” d’estetica noir –  a tratti color bluastro/ecchimosi – che poetica espansioni violente e calme piatte come dentro un cinematico progressive che non conosce contenimenti o linee proibite di sorpasso; con l’intensa atmosfera KuntzianaUn po’ di disperazione sospesa nel buio” che permea i tormenti generali del registrato, timbriche, eccitazioni elettriche e pads sintetici fanno la voce grossa non come incarnazione estrema del musicista cercatore di stranezze emaciate perdute, ma come una diabolica tac del’Io ed il tentativo convinto di evidenziare il male del quotidiano, nudo e crudo nella sua impietosa mossa venefica.

Undici piste che regalano brividi ed obscured vision, undici tratteggi che il trio umbro formato da Nicola Frattegiani voce/chitarra, Paolo Coscia sinth e Tommaso Boldrini batteria/ SH 101/vocoder ti fa arrivare direttamente sottopelle come un dolce supplizio mai concordato, come una pena da scontare con te stesso; percorrendo questo bel disco  andiamo incontro al Luciferino sconquasso di “Inferno”, capovolti dagli spiazzanti effetti doom che cesellano “Replica”, stritolati nei marchingegni rock rutilanti “Campo K”, schiacciati dall’apparenza kraut che robotizza “Allarme all’alba incauta” per finire a cavalcioni estasiati dentro la notte amarognola di Corganiana memoria “Cattivi pensieri in una bellissima notte stellata”, attizzata da un pathos che mette luce e bellezza maxima e porta le quotazioni – già di per sé alte – di questo disco a livelli immaginifici.

Dal de profundis alle stelle, questa è la liberatoria ideale per questo bel ritorno sulle scene discografiche dei Matta-Clast, di questa band che non usa il “basso” tra i suoi arnesi sonori ma gestisce divinamente i suoni del buio per fare definitivamente luce in un underground che senza queste “ toniche sollecitazioni” rimarrebbe continuamente al palo.

http://www.myspace.com/mattaclast

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Chaos Physique – 1975

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Amaury Cambuzat (Faust, Ulan Bator), Pier Mecca (F.I.U.B.) e Diego Vinciarelli (Sexy Rexy), sono nomi che chi segue le vicende psich-kraut di casa nostra – singole e come qui sotto il moniker Chaos Physique – conosce bene come le tasche proprie, ed ora questi deux machine tornano con il nuovo disco “1975”, un registrato che sa d’antico come le registrazioni in presa diretta e che come di ruolo porta con sé il dualismo attrattivo e respingente nel primo ascolto, poi già al secondo tutti gli ipnotismi e levitazioni space mischiate alle sperimentazioni semantiche del Kraut, prendono il sopravvento nel sottopelle ed il consequenziale e straniante stato vigile-delirante è assicurato.

Come suona 1975? Come la parte notevole del fascino, come una summa in cui coesiste tutto ciò per cui Cambuzat & Soci sono diventati fari celebrati del genere: i ritmi ossessivi e reiterati che anticiparono posture techno, le algebreidi e le angolazioni a gomito di un dubbing pesto e pestante, i radenti cosmici e il tocco minimalista colto ed al cubo fanno di queste nove tracce una modernità assoluta e per nulla passatista, tracce che continuano nell’originale ricerca di ibridare il sogno con il collasso dei sensi.
Vicino all’ora d’ascolto, 1975 è magma e pulsione darkoide, veemenza e crepuscolo fondo, un climax debordante dove noise e visionarietà sono sorretti da una serratissima volontà di portare al centro focale dell’orecchio la metronomica espressività dell’allucinazione; l’alterato tribal che fluidifica “Captain Bloom”, l’immancabile “motosega” della guest Jean Herve Peron (Faust) che fa a pezzi l’atmosfera astrale di “Chainsaw beauty”, lo skizzo mestruale che satura l’ossessione di “Analphabet city” o la straordinarietà primitiva che percuote “Bunga –Bunga” mettono in moto una costruzione travolgente, una verifica emozionale che non ha paragoni e che fa tag-line tra reale ed irreale di una cifra stilistica immensa.

I Chaos Psysique, ancora una volta, si confermano l’amaro calice del tormento dal quale tutti vogliamo ubriacarci in maniera smodata, in maniera totale.

  • Genere: Post-rock noise
  • Etichetta: Jestrai/Acid Cobra
  • Voto: 4/5
  • Data di uscita: 16 Dicembre 2011

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