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Toehider – What Kind of Creature Am I?

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Ci sono due preamboli da fare quando si parla di questa band australiana in attività da circa sei anni. Primo, il progetto di Michael Mills è esageratamente temerario e il risultato è senza ombra di dubbio di quelli che si faranno apprezzare dal pubblico innamorato del moderno Progressive Rock. A questo possiamo aggiungere che molto attraenti sono le illustrazioni a cura di Andrew Saltmarsh che ci riconducono al titolo stesso dell’opera, What Kind of Creature Am I?. Secondo, questo modo di suonare Prog mi urta parecchio i nervi; è pretenzioso, vecchio, inutilmente ridondante e sfiora in diverse occasioni l’autocelebrazione. La musica contenuta in queste dieci tracce è di chiara e manifesta influenza Queen, con particolare attenzione alla teatralità della lirica quasi a guisa di una Rock Opera che (così pare) si concreta in tutta la sua epicità, non priva di una discreta dose di umorismo, nelle esibizioni live. Noti, oltretutto, per la loro eccezionale prolificità che li ha portati a produrre ben dodici Ep nel giro di dodici mesi, i Toehider sprigionano un’energia pazzesca grazie alla velocità esecutiva strumentale e canora, grazie a ritmiche potenti e accelerate e a cambi di tempo da capogiro.

Eppure What Kind of Creature Am I? è proprio uno di quei dischi che non vedi l’ora di togliere dallo stereo, mettere da parte e dimenticare. Perché tutta quella tempra di cui parlo è troppo lontana dallo spirito di chi poi quei brani deve ascoltarli. E non bastano i diversi inserti strumentali, le citazioni, i tecnicismi e quant’altro a dare una parvenza di vitalità a un genere che, devo ammetterlo, mi stanca con facilità quando manca proprio di quello slancio produttivo che possa portarlo oltre quello che il Prog ha rappresentato negli anni passati. Non posso continuare ad ascoltare cose di questo tipo, come non ho tempo per andare a leggere altre stronzate di Gramellini o sprecare ore preziose dietro a film di Gabriele Muccino che m’indicheranno la via per la felicità. Abbiate pietà di me, ma per pulirmi le orecchie butto giù una dose massiccia di Hitchhiking to Byzantium.

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Anubis – Hitchhiking to Byzantium

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Se qualcuno dovesse porvi la domanda, stupida a dire il vero, su quale sia, a vostro avviso, il genere, lo stile musicale che più incarna l’idea di vetusto, cosa vi sentireste di rispondere? Non ho dubbi che il principale indiziato sia il Progressive ed è abbastanza chiaro anche il motivo di tale scelta. Il Rock Progressivo ha, del resto, già nelle sue fondamenta qualcosa di maturo, serioso, poiché voleva essere lo strumento per dare un valore più alto alla musica Rock. I testi e i brani erano complessi, lunghi, articolati e tecnici e non certo adatti a un pubblico grezzo, impreparato e proprio questa lacuna divenne l’arma principale di diffusione del Punk Rock, che, al contrario si basava su velocità, aggressività, semplicità. Con l’avvento del Punk, fu questo, con tutte le sue evoluzioni future, a incarnare l’archetipo di stile “giovane” e, man mano, il Prog divenne la risposta all’insulsa questione che trovate a inizio articolo. Eppure, ci sono band che sono riuscite negli ultimi anni, a rielaborare le lezioni del Progressive tornando a suonarlo non solo per un pubblico di esperti e “anziani” ascoltatori ma anche per le più fresche generazioni. Ovviamente, questo processo è necessariamente passato per le più disparate contaminazioni che ne hanno modificato sia la parte formale sia quella sostanziale, ma è indubbio che quanto fatto da band come i Marillion negli anni 80, i Porcupine Tree il decennio seguente e Tool o The Mars Volta all’inizio del nuovo millennio, è qualcosa di sensazionale.

In tale ambiente, s’inseriscono con cautela gli australiani Anubis, a dire il vero mai veramente capaci di imporre il proprio marchio a un pubblico anche solo moderatamente più ampio e che, con questo Hitchhiking to Byzantium spostano un poco indietro quel processo di rinnovamento del genere di cui abbiamo parlato. Cerchiamo di capirci, non si tratta certo di un lavoro mediocre o di scarso valore, anzi, probabilmente è questo il migliore dei dischi della band capitanata da Robert James Moulding e gli appassionati non dovrebbero certo lasciarsi sfuggire quest’uscita ma il punto è che tanta “classicità” in un disco Prog rischia di diventare un’autorete in pieno recupero, se mi passate la metafora calcistica. La principale novità rispetto alle opere precedenti sta nelle liriche e nella sua composizione. Non più affidate al solo Robert James Moulding ma ora lavoro di tutti i membri della band e quindi non più un unico fluire narrativo ma un insieme di diverse tematiche ed esperienze.  Musicalmente nessuna novità, brani lunghi, epici, accenni di psichedelia, note di piano che fanno da sfondo agli assoli notevoli ma non eccessivamente sopra le righe. Tutto suonato alla perfezione, tanto che non ci sono dubbi che questo Hitchhiking to Byzantium possa essere annoverato tra le migliore uscite Neo Prog dell’ultimo decennio, almeno se a stilare un’eventuale classifica fossero fanatici di quel genere. Il problema è che io non lo sono, o meglio ho uno spettro di ascolti più ampio di qualunque tipo di fanatico ed ho interesse a che un album non sia solo di pregevole fattura ma possa anche rappresentare un passo avanti rispetto al passato, specie quando si tratta di musica che nella sua stessa definizione ha il nemico pubblico numero uno.

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