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Bruno Bavota Ensemble – La Casa Sulla Luna

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La copertina di questo album fatta da disegni semplici, colorati con colori primari, in primis un bellissimo blu notte, e un musicista che con il suo pianoforte raggiunge la luna, mi ha riportato alla mente quando da piccola lessi il Piccolo Principe. Quel musicista che cavalca la nuvola della musica è Bruno Bavota, pianista e compositore partenopeo che nel 2013 esce con il suo secondo album La Casa Sulla Luna, per la Lizard Records.

La Casa sulla Luna è un album di nove tracce strumentali, dedicate nella maggior parte dei casi alla signora luna. “Ho comprato casa sulla luna, qui non ci sono oceani da solcare ma crateri da riempire.  Ho comprato casa sulla luna, qui non c’è suono. Come un ruscello canto la mia melodia alla notte”. La luna e la notte che da anni e secoli sono le protagoniste più gettonate non solo della storia della letteratura ma anche della musica, continuano ad esserlo anche nel 2013 e non stupisce che un giovane e romantico compositore possa aver ceduto al loro fascino. Al fascino di una melodia malinconica e di un pianoforte senza tempo, che però il tempo ce l’ha eccome e non solo uno preciso di metronomo ma un tempo di un determinato momento storico musicale, quello minimale/contemporaneo, a cui paragonarlo. Si potrebbero fare dei nomi, come lo stesso Bavota fa sul suo profilo Facebook e sulle sue biografie: Ludovico Enaudi, Roberto Cacciapaglia, Giovanni Allevi …ah no questo non era citato, ma può sempre saltare alla mente anche se cosa abbastanza scontata.Ritornando al disco, “un viaggio musicale della durata di 36 minuti”,  potrei dire che uno dei pregi è sicuramente il bel timbro dello strumento principale, un pianoforte Steinway&Sons model D-274, e il piacevole impatto che l’orecchio ha con tutti i nove brani. Brani romantici, malinconici, sereni, a seconda del momento, utili per fare da sottofondo a foto di ricordi romantici (magari anche di qualche ex che vuole farsi del male). Piacevoli anche e soprattutto i brani dove il pianoforte duetta con il violoncello di Marco Pescosolido e il violino di Paolo Sasso. Dall’album è stato anche estratto un singolo che poco tempo fa è diventato video ufficiale e si tratta di “Amour”, girato nella stazione londinese di St. Pancras. “Un pianoforte risuona in solitudine tra pochi passanti.Là dove, tra addii, rincorse e sguardi fugaci tra passanti indifferenti, gli amanti si stringono forte l’un l’altro…”.

Tutto gradevole ma qualche interrogativo può saltare in mente. Del tipo: perché con uno strumento così potente come il pianoforte, che per secoli ci ha abituati a Bach, Mozart, Beethoven, questo giovane musicista non si spinge oltre? Oltre il limite del suono, dell’armonia e di ciò che è conosciuto? Perché si ferma nell’atmosfera scontata di suoni e di melodie già un po’ sentite? Per quale motivo dovrebbe essere ricordato? Nonostante i tempi che corrono, le industrie musicali, il sempre più fiorente moltiplicarsi di gruppi, musicisti e album, e l’estrema facilità che si ha oggi nell’ascoltare musica, l’ascolto vero, studiato che diventa piacere assoluto rimane sempre cosa difficilissima. Infine è pur vero che nell’assoluto c’è il bisogno di avvicinare i giovani alla musica classica, ma non bisogna sempre farlo con la pappa pronta alla mano, anzi all’orecchio. Nonostante queste mie riflessioni, certamente scaturite dall’ascolto de La Casa Sulla Luna (e questo lo inserirei nella lista dei pregi), rimane un lavoro gradevole e ben suonato.

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Airportman – Modern Modern Modern

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Parole e musica, concetti e polvere di palcoscenico, visioni e rimorso, bellezza e decadenza degli imprevisti; e l’aeroporto preso a dimensione di un non luogo dove tutto avviene e niente si coagula, un tentativo di esplorare una umanità che va e viene ma che non si fissa nel dentro di una vita che, tra pezzi, snodi e fratture, non trova mai il suo punto fermo, la sua postazione eretta.
Stupendo progetto questo messo in piedi dai cuneesi Airportman, qui anche con la forza magica di Giacomo Oro e Stefano Giaccone (fondatore dei mitici Franti ed ex Kina), una alchimia da vedere oltre che ascoltare (bellissimo il dvd incluso nel packaging) e che trasforma l’ascolto in un qualcosa di irraggiungibile se non attraverso la fusione mentale con l’ipnotismo delle parole che circolano profonde come trivelle indolori, un circuito espressivo multimediale che custodisce segreti e verità. “Modern Modern Modern” è un delirio vigile che migra e trasmigra dentro una personalità inafferrabile, suoni e circuizioni benevoli, un andirivieni di lampi e flash in cui sensorialità Ferrettiane “No Future”, l’agro pensiero che si fa strano dub psicologico “Il Taccuino” o la magnificenza mex-mantrica che la rotondità fissa di “Acqua di Luna” incanta spudoratamente,  aprono – se non addirittura imbevono – ogni millimetro di incertezza di chi sta al di qua dei woofer stereo.
Una forma cantautorale di pregio, alla larga da certi commercialismi  e aderente ad una scena sognante nel senso di scandaglio, note e frasi che vivono nel pathos buio di una notte immacolata, che odia rischiararsi a soli malati, una estetica dai toni pesti e chiari, il pianoforte che sottolinea “L’Uomo Sul Balcone di Beckett” o i landscapes di arrendevolezza che “Una Lettera Per Te” spande come nebbia sono le cifre stilistiche che la formazione musico-teatrale piemontese offre come quando si incardina l’idea greca del “fato”, l’apoteosi della poesia “off” che incombe e fa intravedere nitidamente un’ottica artistica che lascia la dolcezza dell’amaro in gola e la bellezza integra di chi l’arte la sa anche partorire, all’infuori della mera “pratica”.

Cento e lode!

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