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Primavera Sound 2015 – parte I

Written by Live Report

Barcellona a maggio è una città ingiusta nella sua imprevedibilità meteorologica, e nonostante possa avvalermi di una informatrice in diretta sul campo finisco sempre per fare una valigia di dieci chili di inutilità. Nei giorni del Primavera Sound le temperature si rivelano sempre inversamente proporzionali alla pesantezza del vestiario selezionato. Portatevi dietro almeno due parka e potrete star certi di trovare un clima torrido come quello dell’edizione appena trascorsa (brezza marina violenta alle 4 del mattino a parte, quella non se ne perde neanche una).
La kermesse catalana ha compiuto quindici anni e in questo caso, pur trattandosi di una signora, mi permetto di dire che li dimostra tutti, perchè sotto la maggior parte degli aspetti l’affermazione è in senso buono. Quindici edizioni sono trascorse dalla prima nel 2001 a Montjuïc, una sola giornata per una dozzina di performance, fino a raggiungere rapidamente una portata tale da coinvolgere e apportare beneficio a tutta la città grazie all’ampio respiro internazionale di cui ormai gode (che non è solo un bel modo di dire quando ti capita di ingannare l’attesa pre-Interpol aggrappata alle transenne della prima fila in compagnia di due sconosciuti provenienti rispettivamente da El Salvador e da Israele).

prehome_2015

Ci sono tante cose che adoriamo del Prima ma ce ne sono anche molte altre che ci fanno incazzare parecchio. Forse è questo il motivo per cui continuiamo a tornarci, un po’ come ci ritroviamo a fare con gli amanti stronzi.

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Ci piace un sacco il fatto che, oltre alla tre-giorni intensiva al Fórum del Mar, tutta la settimana del Primavera Sound sia dedicata agli eventi live. Mercoledì sera, dopo un rapido ritiro del braccialetto (ultimo momento utile per sbrigare la faccenda evitandosi le code chilometriche del primo giorno di festival vero e proprio), ci gustiamo Albert Hammond Jr. e quella che sarà una delle varie performance della famiglia Strokes all’interno di questa edizione. Non ci piace però il fatto che il mercoledì sembri sempre un grosso sound check generale, e il palco ATP che guarda verso il mare aperto probabilmente non risulta di facile gestione. Timbro vocale nettamente meno virtuoso rispetto alle sue eccezionali doti di chitarrista ma, complice una sezione ritmica ben assestata, Hammond e i suoi ci fanno sculettare a dovere.

Il Primavera ci piace perchè è un viaggio nel tempo ininterrotto, che oscilla tra luoghi reconditi del passato e le ultime novità proiettate al futuro. Qualche salto sulle note di “Enola Gay” ma senza farsi intenerire troppo, perchè l’alternativa al momento revival che gli OMD ci offrono sono i Viet Cong all’Apolo, che valgono tutto il largo anticipo con cui conviene arrivare causa alta probabilità di restarne fuori.
Atmosfera da saloon per il main stage illuminato di rosso, Mike Wallace si aggira attorno al banchetto del merch sgranocchiando carboidrati non meglio identificati. Avrà modo e tempo di smaltirli durante un’ora di performance in cui pesterà sulla batteria con un’energia fuori dal comune. I giovani canadesi meritano tutta l’attenzione che hanno ottenuto dopo il debutto con l’EP omonimo in gennaio. Gli arrangiamenti in versione live suonano meno stratificati e l’essenzialità conferisce un vigore che va oltre ogni aspettativa, unito alla voce di Matt Flegel che perde la componente ovattata per farsi greve e urlata. Distorsioni prolungate e perforanti creano un’ipnosi scandita da percussioni potenti e marziali, che dettano di volta in volta le regole del gioco, ora caricando i giri dilatati per un tempo indefinibile, ora scemando e afflosciandosi, in un’altalena emotiva allucinogena.

https://www.youtube.com/watch?v=PR5ptoc9mMw

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Il giovedì mattina scopriamo che non ci piace affatto la prima novità di quest’anno, ossia la necessità di prenotazione per alcuni degli appuntamenti previsti all’Auditori Rockdelux. Ciò significa ad esempio dover arrivare al Forum alle 15, due ore e mezza prima dell’inizio della performance di Panda Bear, peraltro senza alcuna certezza di riuscire ad accaparrarsi i biglietti (un grazie e un concerto pagato per chi lo ha fatto anche per me che mi sono alzata alle 16). Ci piace però inaugurare accomodandoci sulle poltrone della grande sala al piano interrato del Museu Blau e lasciarci avvolgere da cotanta cornice, mentre l’eclettico newyorkese propone uno show in cui peripezie sonore e videoart pesano in egual misura, sensuale e psicotico, dallo stage fino al soffitto di specchi screziati che ne amplifica gli effetti.

Non ci piace invece quando il palco Pitchfork ci frega (e succede di frequente). I Twerps si rivelano imbarazzantemente giù di tono, ma qui non si ha mai tempo di annoiarsi, e ci piace un sacco avere l’imbarazzo della scelta quando si tratta di rivedere il piano d’attacco. Grazie a Baxter Dury al escenario Primavera l’aperitivo del giovedì è salvo.

Una delle cose che ci piacciono di più dei grandi festival è il fatto che in tali contesti gli artisti con lavori in uscita spesso regalino qualche anteprima. Del nuovo dei Sun Kil Moon, uscito qualche giorno dopo il festival, Kozelek ci concede più di un brano. Rompe il ghiaccio sapendo che c’è da rispondere a una domanda che il suo pubblico è costretto a porsi ogni volta, e la risposta è no, stavolta non si lascerà andare agli sproloqui, oggi solo buona musica (anche se poi qualche intermezzo non mancherà, e sarà persino piacevole). “Concederci” è chiaramente un eufemismo se abbinato al soggetto in questione, che dopo una mezz’ora abbondante di performance chiede al pubblico di scegliere tra “Dogs” e uno dei brani inediti, e al sentirsi rispondere la prima opzione esclama un “fuckin’ Dogs!” e sceglie l’altra. Tra i brani nel passato più o meno prossimo, c’è spazio quindi anche per scoprire che nell’atteso Universal Themes le tendenze didascaliche diventano a tratti veri e propri spoken, che si alternano a momenti strumentali più decisi rispetto all’apparato di Benji.
No, proprio non ci piace il fatto che in ogni momento ci siano così tante performance in contemporanea. Capita infatti che scegliendo Kozelek e soci ci si trovi costretti a saltare i Replacements, ma mettetevi l’anima in pace il prima possibile perchè le rinunce saranno tante quante le gioie.

Ci piace parecchio anche lo stage Rayban, con la gradonata vista mare su cui bivaccare all’ora di cena (o in tarda notte, quando la batteria è ormai al 10%). Birra annacquata, paninozzo e Mikal Cronin, ed è subito paradiso. L’eclettico bassista di Ty Segall viaggia ormai spedito sulla sua strada solista e confeziona uno show che si rivelerà tra i migliori di questa edizione, miscelando con disinvoltura episodi del passato Garage con le gemme di Power Pop degli ultimi due album.

Gli Spiritualized sono ormai veterani della manifestazione e non deludono, col loro Alt Rock di qualità che in versione live si srotola con violenza su un pubblico adorante.
Mi dicono dalla regia che l’audio del palco Heineken non ha aiutato i Black Keys. Buon per chi come noi, dopo la psichedelia anglosassone, agli “ohh o-o-ohh” ha preferito trasferirsi al set di Chet Faker.
Ci piace il fatto che da qualche anno il programma del Prima si riveli sempre ben calibrato anche dal punto di vista degli orari, concedendo parecchio spazio anche alle performance elettroniche (in numero limitato fino a poche edizioni fa, anche perchè a un mese di distanza Barcellona ospita un’altra manifestazione interamente dedicata al genere, il Sónar). Dopo la mezzanotte è il momento di iniziare a muovere un po’ il culo a ritmo. Con formazione al completo alle spalle l’australiano si dimena sul palco e fa scintille dividendosi tra microfoni e synth, snocciolando i brani di Built On Glass col morbido timbro Soul che scivola sensuale su un compatto tappeto sintetico fatto di ritmi trascinanti.

Ci piace mantenere intatto il mood, e al cospetto di James Blake il danzereccio di certo non manca, ma l’atmosfera si fa più sofisticata e penetrante. Blake allestisce un set impeccabile e magnetico, senza alcuna necessità di riempire fisicamente il mastodontico stage Heineken, seduto alle tastiere a generare loop in cui la sua voce straordinaria si dilata all’infinito e si attorciglia alle distorsioni propagandosi viscosa.
Tra il pubblico c’è lo stesso Chet Faker, in un tentativo poco riuscito di mimetizzarsi con un foulard in testa a mo’ di chador (ma forse anche un po’ inutile poichè nessuno sembra riconoscerlo a parte noi). Dissuasi da una eloquente occhiataccia del suo accompagnatore, concludiamo il primo giorno di festival senza riuscire a portare a casa alcun selfie con VIP.

I prossimi giorni continueranno a veder susseguirsi performance indimenticabili, ma altrettanto indimenticabili saranno anche un paio di imprevisti.

In attesa della seconda parte gustatevi il live integrale di Mikal Cronin.

https://www.youtube.com/watch?v=Kxdpznuy9j8

 

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“On a Friday” è l’anticipazione del nuovo disco dei To You Mom

Written by Senza categoria

Un tappeto di synth apre il nuovo percorso musicale di To You Mom; un viaggio iniziato nel 2011 da Luca Lorenzi e Massimo Santoni (quest’ultimo già all’opera nei Casa del Mirto) con l’EP I Am Ian dedicato alla memoria dell’astronauta Ian Coleman. I due ora consegnano alle stampe We Are Lions primo album in uscita a gennaio per Ghost Records/ Self. “On A Friday” è il primo singolo ufficiale che apre al mondo il contenuto di We Are Lions anche se ad inizio 2014 era uscita la cover di Lennon “God” che è comunque contenuta nel disco. Nel suo scorrere “On A Friday” rivela i suoi strati delicati, ipnotici, sognanti, moderni senza cadere nell’avanguardia fine a se stessa. To You Mom in “On A Friday” è elettronica IDM, rimandi ai suoni anni ’90 ed ad un certo Indie Pop futurista ed intimista che porta alla mente personaggi ed atmosfere portate al successo underground da personaggi come Sohn, Active Child, James Blake e How to Dress Well. Nel singolo “On a Friday”, come b-side, è stata inserita “Happy People” brano inedito che non sarà incluso nell’album. La copertina del singolo è opera dell’artista indonesiano Ade Santora.

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Stumbleine feat Violet Skies – Dissolver

Written by Recensioni

Solo qualche mese orsono vi ho parlato io stesso dell’Ep Chasing Honeybees, del duo Peter “Stumbleine” Cooper / Violet Skies muovendo tanti dubbi sia sul sound in sé sia sulla voce della nostra Violet ma anche rilevando gli aspetti positivi dati soprattutto dalla brama di fare Pop senza rotolare nelle convenzionalità del genere. Molte di quelle notazioni devono essere considerate ancora adesso opportune ma comunque alcune diversificazioni nette sembrano sollevarsi nell’ascolto di Dissolver. Si allenta notevolmente il legame con Dream Pop e Ambient, con il sound spectoriano anni 60 e con le atmosfere eighties di Cocteau Twins e My Bloody Valentine mentre tutto diviene molto più Pop o meglio più banale e stereotipato, anche se in certe congiunture (“Heroine”) Stumbleine pare seguitare a rendere omaggio a un passato sempre più remoto nel tempo tanto quanto attuale nella sua riscoperta. La voce di Violet Skies ostenta maggiormente la sua impostazione Soul e R’n’B, ma siamo lontani dai successi e dal livello qualitativo di un James Blake per intenderci. Le dieci tracce che avrebbero dovuto mettere sul piatto quanto di affascinante mostratoci nell’Ep Chasing Honeybees segnano invece una mezza sconfitta. Stumbleine e Violet Skies scelgono una strada sicura che però non fa altro che evidenziare ancor più i limiti del duo che, ancora una volta, butta via l’occasione di confezionare saggiamente qualcosa di alternativo dentro il sempre più deludente mondo della modern  popular music. Non mi stancherò mai di ripeterlo, la musica è più di una buona voce e capacità di usare uno strumento che sia un pezzo di legno o un groviglio di fili e bottoni. Se qualcuno dovesse apprezzare la voce femminile di Violet Skies magari potrebbe provare col suo esordio solista (la prima traccia uscita è “How the Mighty”) oppure, se come me è proprio quella voce che mal digerite, potreste provare con i lavori del produttore Stumbleine, ultimo Spiderwebbes, che uniscono Dream e Ambient Pop con Chillstep; ma non aspettatevi troppo, ve l’ho già detto, potete anche andare oltre senza perdere troppo tempo.

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