Al Jourgensen è un icona, un simbolo della musica d’avanguardia, l’Industrial appunto; tra alti e bassi con i suoi Ministry ha sempre fatto come gli pareva, ha sempre proposto ciò che voleva nonostante i vari cambi di line-up che il gruppo ha subito. La band si presenta adesso con un interessante live DVD e CD dalle mille sfumature svoltosi nell’ occasione del Wacken 2012 dinanzi a 75.000 spettatori. Effettivamente il lavoro, intitolato Enjoy The Quiet: Live At Wacken 2012, oltre ai diversi contenuti extra e il live a Wacken del 2012 contiene un altro show che riguarda sempre quest’ultimo ma datato 2006, ricordiamo inoltre che questa ultima fatica è anche un omaggio al chitarrista Mike Sciacca (vedete anche l’ artwork) deceduto improvvisamente durante un esibizione lo scorso 22 dicembre. La differenza tra i due show è notevole: l’ esibizione del 2012 ha un suono più pulito ed elaborato rispetto a quello del 2006 che invece presenta qualche sbavatura ma indubbiamente questo è molto più emozionante rispetto al concerto che hanno tenuto i Ministry al prestigioso festival nel 2012. I pezzi proposti nei due live sono i soliti, chiaramente con qualche variazione ma nel bene o nel male i classici della band come “No W”, “Rio Grande Blood”, “Waiting”, “LiesLiesLies” e le impareggiabili “Thieves” e “New World Order” sono sempre presenti. Per quanto riguarda il concerto del 2012 è strepitoso ascoltare “99 Percentes” e “Relapse”, due tracce che hanno fatto la loro sporca figura. Parlando dello show del 2006 abbiamo già accennato che ha suscitato molte più emozioni nonostante il sound sia inferiore a quello del 2012: il vecchio Al e i Ministry di qualche hanno fa sono diversi rispetto a quelli di oggi; ad ogni modo tracce come “Worthless” e “Senor Peligro” la dicono tutta sulla loro grandezza. Solo una pecca ho riscontrato in questo live: l’assenza di capolavori come “Flashback” e “Stigmata”, non a caso le preferite del sottoscritto, soprattutto la seconda. Concludendo questa uscita dei Ministry è un vero e proprio piacere, un lavoro che da un lato i fan più accaniti devono possedere assolutamente e dall’altro è un ottimo inizio per le nuove leve ovvero per coloro che vogliono avvicinarsi allo storico gruppo.
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La Notte Dei Lunghi Coltelli – Morte A Credito
Il primo disco de La Notte Dei Lunghi Coltelli, progetto solista di Karim Qqru, già batterista degli Zen Circus, è una sorpresa assoluta. Al primo ascolto lascia perplessi, al secondo cattura, al terzo incanta. È un disco stratificato, profondo, citazionista, colto, e devo ammettere che non mi sarei aspettato questa varietà di stili e rimandi da un disco del genere.
Morte A Credito (questo il titolo, “rubato” ad un romanzo dello scrittore francese Louis-Ferdinand Celine) è infatti un pastiche di generi ed influenze. Si passa dall’hardcore di “La Caduta”, energico e accorato brano d’apertura, fermo su due accordi e sul mantra l’urlo che precede l’urto (testo ispirato al romanzo omonimo di Albert Camus), al quasi-rap industriale di “J’ai Toujours Été Intact De Dieu”, da un testo di Jacques Prevert. C’è una cura quasi maniacale sia delle atmosfere, incazzate o sospese, alla bisogna, sia del materiale lirico, che viene gestito con una sapienza rara (abbandonato per pezzi strumentali, come in “Ivan Iljc”, regalato da altri autori, come Aimone Romizi dei Fast Animals And Slow Kids che firma “Levami Le Mani Dalla Faccia”, o addirittura, con l’aiuto di Diego Pani del King Howl Quartet, sperimentato in sardo logudorese in “D’isco Deo”).
L’anima del disco è, senza dubbio, il punk: quello sentito, duro, sgolato; più un approccio, una forma mentis, che un genere musicale. “Morte A Credito” (la canzone) ne riassume tutte le caratteristiche: diretto, incazzato, disilluso, cinico, ma allo stesso tempo disgustato. Il punk, però, viene infilato ed immerso in un bagno di modernità industrial/ambient, soundscapes umidi o polverosi, che aiutano a bilanciare la ruvidità degli episodi più duri (come nel lungo parlato sintetico de “La Notte Dei Lunghi Coltelli”, con l’ausilio dell’onnipresente Nicola Manzan).
Morte a credito è anche un racconto: la follia dell’uomo, il male, l’orrore, la morte, appunto. Il raccapricciante rifrangersi delle onde della Storia sugli uomini e sulle loro azioni, visto attraverso una lente molto novecentesca, che sorprende trovare in un disco, così ben strutturata e fondata. Morte a credito è un esperimento audace, rischioso, e, purtroppo (ma mi piacerebbe essere smentito), di nicchia. Ma è un esperimento che, almeno per quanto mi riguarda, è completamente riuscito.
Metibla – HellHoles
La one man band Metibla è il progetto musicale di Riccardo Ponis, autore di musica e testi, che per l’uscita del suo lavoro definitivo Hell Holes(2012) si è avvalso della collaborazione di Valerio Fisike Paolo Alvano.
Un’evoluzione musicale che parte nel 2006 con la nascita di Paraphernalia (uscito anch’esso nel 2012), epche serve, probabilmente, a trovare una strada, uno stile e un modo per esprimerlo. Un lavoro poco completo e meno accessibile, rispetto a Hell Holes, dove la forma-canzone viene poco sviluppata. Una sperimentazione non solo musicale, ma anche vocale, dato il continuo cambio di colore, che però sottolinea un cercare sempre continuo.
In questo periodo natalizio è inevitabile, inoltre, citare Christmas Time, quarto brano dell’ep, che viene utilizzato da Ponis, sulla pagina facebook del progetto, per presentare così il suo esordio: <<Torna il Natale, torna “Christmas time”, ma esce per la prima volta l’E.P d’esordio di Metibla “Paraphernalia” contenente il brano. Nato ben 6 anni fa vede la luce solo oggi per semplici questioni di malattia mentale>>.
E proprio questa “malattia mentale”, questi lunghi monologhi rivolti a un “tu” che non si conosce, la paura e il senso di malinconia perenne, accomuna il linguaggio musicale di entrambi i lavori, scritti e cantati in inglese, dove l’italiano si trova solo nella seconda parte di Sint Annen Straat,quarto brano dell’ep, costruito come una sorta di suite.
Hell Holes sembrerebbe un lavoro più completo, con dieci brani ben sviluppati nel loro significato di canzone. La melodia è il centro di tutto il lavoro, infatti, come si legge sul sito:l’obbiettivo principale del progetto è quello di comporre brani in modo diverso, mescolando diversi tipi di musica(rock, elettronica, metal), ma senza mai dimenticare la parte melodica.
Tutto questo succede fin dall’inizio, nel brano Crack, con i bellissimi armonici iniziali e la voce dai colori glam, in un testo sottile e sincero. Voce che si trasforma in una sorta di growl in Fool, secondo brano dell’album, che nonostante le tinte forti, esprime desideri semplici. E la chitarra trasporta la melodia anche in Pain, attraverso sonorità e testi moderni (Ma tutti questi ricordi, sono come le melodie che mi fanno sentire blu) che procedono senza fronzoli e senza retorica, per arrivare dritti a un determinato messaggio, poche volte felice. Ma invece di parlare di felicità, Metibla forse vuole esprimere se stesso, un se stesso che è accomunabile a tutti, un sé che si trasforma, giorno per giorno, in consapevolezza e forza, interiore, come in Victory, esprimendo l’integrità come la virtù più forte (Ora mi alzo, dalle ceneri delle vostre bugie), mediante una musica forse troppo digitalizzata.
Spino, quinto brano, uno tra i più interessanti, si dipinge dei più classici colori rock, per raccontare un amore sofferto. Sofferenza che si può toccare anche nella vita giornaliera, che lascia poco spazio ai desideri e alle aspirazioni delle giovani generazioni, che amano, sognano, suonano, scrivono, interpretano ma solo dopo essersi alzati dalla loro scrivania da impiegati, come in Brand New One, costruita su una melodia quasi infantile.
La pioggia, invece, si fa portatrice di profondi significati interiori, cullati da un timbro chiaro, una buona orecchiabilità e una chitarra sostenitrice, in Grave Sweet Grave e Cross the Rain, un cantato che guarda, sospira e soffre per i comportamenti della gente, per un Dio che abbandona e una famiglia distante. Tutto questo disagio si percepisce anche in You live, I don’t!, penultimo brano particolarmente cupo, nel quale la parola suicidio appare più di una volta e l’elettronica, poi, sottolinea costantemente questi pensieri martellanti. E la strada interiore termina con il lungo ricordo malinconico di Molly, il primo vero amore, la prima paura, la prima delusione.
E per finire la musica di Metibla,oltre ad essere una sperimentazione continua tra vari stili, una valvola di sfogo e un triste mondo parallelo,sarà anche colonna sonora del film Hop-Frog, di Rosso Fiorentino. Un 2012 fortunato, con l’uscita dell’ep, dell’album e della colonna sonora, per una musica lenta, sottile, cupa, che va ascoltata più di una volta,che sicuramente crescerà nel tempo e che probabilmente troverà in futuroanche un po’ si serenità.
Stahlmann – Quecksilber
Ecco un disco che emozionerà e farà la felicità degli amanti dell’ Electro Rock simpatizzanti dell’ Industrial, trattasi di “Quecksilber” secondo disco degli Stahlmann, un quintetto tedesco che nella loro patria oltre che essere affermati e adorati, sono stati inseriti in quel che è la NDA (Neue Deutsche Harte), una corrente nata in Germania nei primi anni 90. Ebbene questo “Quecksilber” non fa altro che confermare le capacità degli Uomini di Ferro (questo il significato di Stahlmann), il lavoro di Mart e soci detto in partenza è promosso a pieni voti. Il loro Rock elettronico condensato con una spruzzatina di Gothic ha dato prova di talento e voglia di fare, insomma potremmo considerarli una promessa. “Quecksilber” si apre con la stupenda melodica e tetra “Engel Der Dunkelheit”, un pezzo da 90 nonché la traccia più bella del disco insieme ad “Asche” e “Diener”. La chiusura è affidata ad una versione remixata di “Tanzmachine”, la terza traccia del platter è la versione originale di quest’ ultima che a dirla tutta non rende bene come questa modificata. In definitiva “Quecksilber” è un gran bel disco gli Stahlmann sono riusciti a procurarsi un proprio spazio mostrando le loro doti, non resta che seguirli. Di questo passo ci procureranno belle sorprese.