Il Sogno Il Veleno Tag Archive

Alex Bandini – Signore e Signori Buonanotte

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Ecco un bell’esempio di chi lavora e plasma la musica con fantasia e fatica. Il primo disco di Alex Bandini (in realtà ne pubblicò uno nel 2012 sotto il nome IlSogno IlVeleno) sa essere a tratti leggero come una piuma e a tratti pesante come un macigno. Macigno che ci dobbiamo portare dietro di questi tempi e senza tante lamentele fischiettiamo melodie per alleviare la fatica e la paura. Utilizzando i muscoli e tutta la nostra immaginazione. Alex sfodera dieci canzoni dove tutto è ben amalgamato e ben tenuto nella classica forma cantautorale di storia. Il ragazzo però non cade, per sua fortuna, nella trappola di molti suoi colleghi che arrivano a sfiorare le corde dei vari mostri sacri italiani, scadendo in facili copie carbone dei vari De Gregori, De Andrè e Dalla. Alex Bandini invece attira verso di se tutte le ispirazioni (ci butta dentro anche Battisti e aggiungerei perché no?) ma non si ferma a farsele scivolare sulla pelle. Le immagazzina dentro, le lavora per poi soffiarle fuori, con quel filo di voce che al primo ascolto pare sembrare sintomo di timidezza e riservatezza, ma nasconde una grande potenza in ogni singola parola che sussurra. Le influenze del cantautore abruzzese non sono prettamente musicali e lo si capisce già dal primo brano del disco, dedicato allo sceneggiatore Ennio Flaiano (che lavorò in molti dei capolavori di Fellini). L’atmosfera leggiadra della canzone ci porta direttamente sull’onirico set di “8 e 1/2”. Da un filo di voce esce: “la solitudine non è un delitto se aiuta la poesia ad essere magia”. E se questa frase fosse stata gridata, sarebbe stata meno forte.

L’amalgama viene poi arricchito da arrangiamenti per nulla banali, che anche qui cercano ispirazione nel cinema italiano. Spesso strizzano l’occhio a Morricone e ai western italiani, omaggiati con “Il Grande Silenzio”, dedicata all’omonimo film di Sergio Corbucci. Il lavoro di produzione (compiuto da Alex insieme a Gianluigi Antonelli) è a dir poco sopraffino, la scelta degli strumenti è studiata sapientemente in modo da fornire ad ogni brano il giusto tappeto su cui stendersi e prendere forma. I suoni mandano ad un altro livello pezzi come “Antonio Vecchio Pazzo”, triste e malinconica decadenza dei sogni di un comunista vecchio stampo, e “Paese Sera”, uno spaccato dell’Italia fatto di semplici ma straordinari episodi. Tra realismo e (di nuovo!) Federico Fellini: “musicisti e ballerine dentro i cabaret le luci al neon, in bianco e nero”. Questo è un disco che si fa ascoltare innumerevoli volte. Ricco di dettagli. Ci tiene sull’attenti alla ricerca di qualche nuovo particolare, di qualche nuovo personaggio così strambo, eppure reale e così vicino a noi. Questo disco ti pianta con le orecchie davanti allo stereo. Gli occhi possiamo tenerli chiusi che di immagini già ne sentiamo passare una marea.

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Il Sogno Il Veleno – Piccole Catastrofi

Written by Recensioni

I cassetti delle memorie di Alex Secone, in musica come Il Sogno Il Veleno, cantautore o meglio cronista e sovvertitore di ieri riportati al presente, abruzzese e titolare del progetto musicale “Piccole Catastrofi”, sono spalancati e alla portata di tutti, i suoi smarrimenti, voli, tracciati e criticità mai lineari vanno a rompere il monopolio di quella fantasia finto-indie per tirarsi su, spostarsi  – crescendo – in quei paraggi ideali che dell’oggetto “d’autore” ne fanno qualità ed un insperato “qualcosa da dire” che vale come acqua fresca in un deserto allampanato.

Dieci tracce che profumano di arcobaleni seventies casalinghi, piene di rimandi in bianco e nero, nuvolette e grandi cirri che scorrazzano rincorrendosi per tutta la trackist, amarezze, punti di fuga e le influenze di una forte cinematica di realismo fanno la sintesi, e perché no, il pensiero di un giovane artista che non ha “rinnegato” lo specchietto retrovisore volto verso certe radicalità musicali, anzi ne ha “raddrizzato” la visuale per centrarle meglio, ed il bello che l’intento è un successone che ti riempie orecchio e animo come un vecchio 45 giri moltiplicato per dieci che gira mutevole dentro un “mangiadischi” della Pioneer color carta zucchero.

Disco d’altri tempi insomma, lo-fi, una forma “cantautorale” che forse risulterà incomprensibile alla maggioranza infatuata e refrattaria alle piccole opere artistiche stuzzicanti, vere, ma la qualità di questa proposta è svettante che se distoglie dalla massificazione dell’underground non lo fa per  difetto retrò e dunque di spocchia intellettualoide, lo fa perche gli riesce d’essere “altro” nella sua semplice genuinità e anche di essere poesia appieno e non immagine da fenomeno “indiegesto” come tante; ballate in punta di fiato “Comizi d’amore” dove aleggia il pathos Pasoliniano,un pianoforte che fa ombra intima in “Le cose importanti”, il senso caracollante di una spensieratezza mal filtrata “Favole”, odori Caposseliani che intercettano il dinoccolamento di “Bistrot” o lo scoppio dolce di un rock gentile “Signora in foulard nero” sono alcune di quelle mercanzie mnemoniche contenute in quei cassetti sopracitati che l’artista abruzzese rovista, spaglia e mette all’aria per un posto d’onore tra le cose più belle ed intelligenti che, in questi ultimi mesi, ogni lettore ottico possa mai  aspettarsi.

L’essere umili nella presentazione dei propri sogni messi in musica premia, se poi ci si mette pure la grazia e il contenimento di un talento naif che si fa amare in punta di piedi, tutto assume una luce accecatamente vincente.

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