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Afterhours 27/08/2014

Written by Live Report

Il festival Contro, di Castagnole Lanze in provincia di Asti, marca, per i piemontesi, la fine dell’estate. E per me, con l’esibizione del 27 agosto degli Afterhours, chiude un cerchio iniziato tanti anni fa. Perché la band di Agnelli è stata la prima che ho visto dal vivo, in una di quelle occasioni assurde in cui sei ancora così piccola che tuo padre ti accompagna a vedere un concerto e sta fuori in auto a fumare per due ore, commentando fra sé quanto siano strani i tuoi amici. E sempre in piena adolescenza, il 27 agosto 2003 (chissà se gli organizzatori l’hanno scelta di proposito questa data anche per il 2014), ero a vederli per quella che era già almeno la terza volta della mia esistenza, esattamente a Castagnole, a urlare di volere una pelle splendida. Undici anni dopo, sulla soglia dei 30, posso dire che la mia pelle, nicotina e tutto, si difende alla grande. Ma su questo faremo bene a tornare tra una decina d’anni di sigarette, litrate di birra e vita varia. Gli Afterhours, in questo tour, suonano tutto Hai Paura del Buio, da cima a fondo con tanto di intro. Sono così filologici nella ripresa che sono persino vestiti come allora, con le loro camicie colorate dai colletti larghi e le giacche con un taglio di almeno una decade anteriore all’uscita del disco.

Ricordavo che la volta precedente, in piazza San Bartolomeo a Castagnole, Agnelli aveva censurato la bestemmia di “1.9.9.6.” per via della chiesa antistante. Nel 2014 ha vinto la filologia. Non crediate, nonostante l’adorazione brufolosa che avevo per la band, che io abbia passato gli ultimi dieci anni a farmi delle gran seghe mentali sui dischi degli Afterhours. Grazie a dio ho aperto i miei orizzonti e, se anche ho avuto modo di apprezzare alcune delle loro ultime fatiche, con I Milanesi Ammazzano il Sabato avevo smesso di seguirli. Ed ero veramente scettica sulle doti vocali di Agnelli che invece ci ha regalato esecuzioni di tutto rispetto e urla strazianti alla vecchia maniera su “Male di Miele”, “Lasciami Leccare l’Adrenalina” e su “Rapace”. Belle anche “Dea” e “Simbiosi”, intense come allora “Pelle” e “Voglio una Pelle Splendida”. C’è di che sentirsi vecchi a urlare la strofa di “Sui Giovani d’Oggi ci Scatarro Su” saltando come un’idiota e pensando che non cambia mai un cazzo, in fondo, in questa società. Finiscono il disco. Bravi bravi.

E ma che vuoi da gente che comunque suona da più di vent’anni. Escono di nuovo, si sono cambiati: tutti vestiti di nero, tranne quell’eclettico di Roberto Dell’Era che si è conciato in maniera del tutto improbabile, in un mix bianco ghiaccio tra Elvis e Elio e Agnelli annuncia che è venuto il momento di fare sul serio. Il pubblico, per altro poco numeroso (forse sconfortato dai venti euro di biglietto), è gasatissimo. Peccato che seguano venti minuti di rottura di palle devastante (“Spreca una Vita”, “Ci Sarà una Bella Luce”, “Costruire per Distruggere”, “Io So Chi Sono” e “Padania”). Aritadeci gli anni 90. E il secondo encore ci accontenta. Una “Strategie” tiratissima ci ricatapulta indietro nel tempo, giusto in tempo per far spazio a “La Verità che Ricordavo” e alla sempreverde “Non è per Sempre”. Mi stupisco di essere quasi la sola a cantare “Ballata per la Mia Piccola Iena”. Eppure quello era ancora un gran bel disco della formazione milanese. Seguono “La Sottile Linea Bianca”, “Quello che Non C’è” e, finalmente, “Bye Bye Bombay”. E su quella mi saluto. Saluto gli Afterhours che non credo onestamente rivedrò più nella mia vita, perché quell’epoca è finita, e saluto la piccola me, tutta fasci di nervi, incazzatura facile, grandi speranze, letteratura, ambizioni, speranze e psicodrammi che non sono un cazzo rispetto a tutto quello che viene dopo, nel bene e nel male.

Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va.

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