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Hesitant Ballad – Seasons

Written by Recensioni

Esordio discografico per i partenopei Hesitant Ballad, band con già alle spalle un discreto successo nelle realtà web (myspace etc…) che ormai da alcuni anni stanno sostituendo, nel bene e nel male,  formati d’ascolto e modalità di usufruire del tanto amato mondo delle sette note. L’attitudine della band, che già ha all’attivo tournèe in Europa e tanto di video lancia-singolo, è perfettamente in linea con queste alternative possibilità di comunicazione raccogliendone in pieno sia i frutti positivi e, inevitabilmente, cadendo in pieno nei limiti delle produzioni create “ad hoc” con il solo scopo di ottenere il consenso e la visibilità più larghi possibili. Nonostante, come detto, si tratti di un disco d’esordio la band si è già avvalsa in fase di mastering e produzione di collaborazioni di tutto rispetto e, ad un primo ascolto, appare come l’opera di una band collaudata con alle spalle già parecchi anni di gavetta. L’effetto “presa diretta” è inevitabile e canzoni come “Once” o “Rockstar Portrait” ti entrano in testa dopo venti secondi dandoti la rassicurante sensazione di qualcosa di conosciuto (stra-conosciuto, iper-conosciuto) e precisa per finire dritta in pasto a radio, sigle video e quanto altro. “Music for the Masses” dicevano i Depeche negli anni’80. Gli Hesitant Ballad non si scostano di un millimetro da qualsiasi clichè tipico del pop rock anglosassone che da una decina d’anni ha sfornato una quantità mostruosa di video, canzoni, canzonette, album e Mp3 vari tutti somiglianti e tutti riconducibili alla stessa classic rock school che parte con i Pearl Jam e arriva fino a Creed e Him. Gli arrangiamenti sono decisamente scontati e mai lasciano il segno in termini di originalità così come i riff, ripetitivi e davvero poco intriganti. Fosse uscito nel ’92 questo disco staremmo saltando sulle sedie ballando e consacrando la band all’interno della sua era naturale. Ma, purtroppo, siamo nel 2013 quasi e brani come “Australia” hanno davvero poco da dire e suonano davvero anacronistici e fuori luogo. Insomma se l’originalità e l’eccitazione delle novità è quello che cercate…lasciate perdere quest’album, che, al contrario, si adatta perfettamente a chi adora cullarsi con quel pop rock che Mtv & Co. hanno contribuito a distribuire in lungo e in largo nella fascia adolescenziale d’ascolto. Da salvare nell’album c’è senza dubbio la voce del cantante e chitarrista Stefano Esposito che non sbaglia una nota e possiede un timbro graffiante perfetto per il genere trattato (“Seal of my soul” a nostro giudizio il brano migliore dell’album, ne è un esempio lampante). Sarebbe bello vederli dal vivo per scoprire che magari sanno esprimere meglio quell’attitudine rock che questo “Seasons” lascia solo intuire. E magari per scoprire se siano o meno in grado di partorire un impatto sonoro che non sia figlio legittimo del più scontato rock d’autore ma che magari possegga una vena creativa più autorevole e un’identità meglio definita.

 

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